Lunedì, 07 Marzo 2016 06:53

La questione dei 50 migranti a Fossa: tra accoglienza, periferie ed emarginazione

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Era già successo per il piccolo comune di Fagnano Alto (L'Aquila) e sta accadendo in queste ore a Fossa, comune di circa 700 abitanti confinante con L'Aquila capoluogo.

La questione riguarda l'accoglienza di circa 50 migranti, che secondo quanto comunicato dalla Prefettura al sindaco Antonio Gentile, dovrebbero essere destinati nel territorio comunale della valle del Medio Aterno. Lo scorso 3 marzo la sala polifunzionale dell'area map ha ospitato un'affollata assemblea dei cittadini, cui ha partecipato anche il primo cittadino, durante la quale sono emerse tutte le supposte "criticità" per l'ospitalità di un "numero elevato" di migranti in paese. Questi ultimi dovrebbero recarsi in una struttura di 16 appartamenti nel quartiere del Cerro, ai piedi dell'omonimo monte (nella foto), dove abitano appena una sessantina di persone, e secondo i residenti potrebbero creare "problemi di convivenza".

Per questo, come contempla il regolamento comunale, la cittadinanza ha avviato una petizione popolare chiedendo "all'amministrazione comunale di intraprendere tutte le azioni istituzionali possibili per impedire che i profughi possano essere accolti nella località di Cerro". I fossolani, nonostante quanto emerga dalla lettura della petizione, ci tengono a ribadire che la posizione della popolazione non ha venature razziste, ma solo la necessità di una vera integrazione. Ad ogni modo, è bene ribadire - perché spesso è un aspetto omesso - che i migranti "sostano" solo qualche mese all'interno di una stessa area, prima di essere trasferiti altrove, nel lungo e difficile percorso nella ricerca di una vita migliore, possibilità cui hanno sacrosanto diritto tutti e in tutto il mondo.

Come già riportato anche sulle pagine de Il Centro, le villette al Cerro furono costruite dalla società La Rocca Immobiliare prima del terremoto, completate pochi mesi dopo e successivamente cedute a Europa Risorse, il grande fondo immobiliare che come noto acquisì nel periodo post-emergenziale un gran numero di immobili per destinarli agli sfollati con il meccanismo dell'affitto concordato con comuni e Protezione Civile. Dal 2013, però, gli alloggi sono vuoti, essendo gli inquilini trasferitisi altrove o tornati alle proprie abitazioni di appartenenza.

La struttura che ospiterebbe i migranti sarebbe gestita dalla cooperativa sociale Eta Beta di Roma, uno dei più grandi tra i soggetti accreditati al ministero per l'accoglienza e la gestione dei rifugiati. Eta Beta riceverà 32 euro al giorno per migrante, una cifra che comprende le spese per tutte le attività: dal vitto al vestiario, passando per i corsi di italiano e le attività sportive e sociali da mettere in campo per favorire l'integrazione.

Ed è proprio in relazione alle attività, che potrebbero sorgere dubbi sulle scelte di localizzazione, da parte delle prefetture, degli alloggi e delle zone di accoglienza dei migranti. Cinquanta persone trasferite coattamente nel mezzo di una valle poco abitata, in una frazione dove vivono sessanta persone all'interno di un piccolo comune di un'area interna, quanto può favorire un'integrazione reale e priva di velleitari costrutti retorici? L'assenza di servizi di prossimità - da una efficace rete di trasporti urbana a concrete alternative di quotidiana socialità - può ostacolare l'integrazione, favorire un processo di chiusura e costruire le basi para-culturali degli atteggiamenti razzisti?

Questo giornale ha ribadito più volte il netto sovradimensionamento degli immobili rispetto agli abitanti del Comune dell'Aquila. Alcune domande, in tal senso, sorgono spontanee: perché si tende ad aggiungere emarginazione all'emarginazione, anziché integrare poche decine di persone in contesti urbani più "cittadini" - come L'Aquila - più ricchi dal punto di vista dei servizi di prossimità e delle attività economiche, culturali, sociali e ludiche? Perché, con un (forse) inconsapevole ragionamento di classe, i migranti devono essere (quasi) sempre "destinati" alle periferie delle periferie?

In tutto questo, un ruolo fondamentale dovrà essere ricoperto dai gestori delle strutture di accoglienza. Ad esempio l'Arci, uno degli enti accreditati più presenti nell'Abruzzo interno, ha dimostrato nei fatti la capacità di costruire una vera integrazione. Per questo, anche in comunità piccole come Castel del Monte (L'Aquila), i migranti convivono pacificamente e in diversi casi hanno trovato anche un lavoro e costruito una famiglia.

Vedremo cosa sapranno fare, in tal senso, anche gli altri enti accreditati.

 



Enrico Perilli (Prc): "Cinquanta migranti non sono un problema per la comunità"

"Se guardiamo alle cifre e alle percentuali, vediamo bene, tra l'altro, come la presenza di 50 migranti, peraltro in situazione di stretto controllo all'interno di strutture protette, in cui seguono percorsi formativi, non possa costituire un problema per la comunità. Tanto più che si tratta di famiglie, molte con bambini piccolissimi, stremate dalla guerra e dalle privazioni".

A scriverlo, in una nota, è il capogruppo di Rifondazione comunista in consiglio comunale Enrico Perilli. "È impossibile" afferma Perilli "restare indifferenti davanti alle immagini, drammatiche e toccanti, dei migranti addossati ad una rete di filo spinato, in campi profughi improvvisati dove i bambini combattono quotidianamente in un inferno di fame, freddo e degrado, in condizioni igieniche disastrose".

"Un quadro rispetto al quale lo stesso Papa Francesco ha rivolto appelli accorati alla comunità internazionale. Un obbligo morale che implica un'assunzione di responsabilità da parte di tutti, anche della nostra comunità. L'Aquila, Città della Pace, non può restare a guardare, negando accoglienza ai rifugiati. Invito dunque i colleghi consiglieri D'Eramo e Imprudente, di cui conosco l'umanità e la profonda coscienza civica, al di là delle posizioni politiche contrapposte e dello scontro ideologico, e gli amministratori del Comune di Fossa, a considerare la situazione alla luce del dramma umanitario che si configura".

"Se guardiamo alle cifre e alle percentuali, vediamo bene, tra l'altro, come la presenza di 50 migranti, peraltro in situazione di stretto controllo all'interno di strutture protette, in cui seguono percorsi formativi, non possa costituire un problema per la comunità. Tanto più che si tratta di famiglie, molte con bambini piccolissimi, stremate dalla guerra e dalle privazioni".

"Ricordo" prosegue Perilli "che il numero dei migranti che i Paesi europei, alcuni dei quali hanno un reddito pro capite tra i più alti al mondo, dovrebbero accogliere è insignificante rispetto alla popolazione residente. Nulla a che vedere con quanto accadde in Giordania e in Libano dopo l'occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele, quando Paesi piccoli e senza grandi risorse economiche accolsero un numero di rifugiati che quasi eguagliava gli abitanti di quelle Nazioni".

"La solidarietà" conclude il consigliere "oltre ad essere un obbligo morale, costituisce anche il miglior antidoto contro emarginazione e delinquenza, come sostengono i più autorevoli analisti e come testimonia l'esperienza di altri Stati. Un obbligo che, a maggior ragione, dovrebbe incontrare la sensibilità di un popolo, come il nostro, che è stato segnato da una lunga storia di emigrazione, e di una città, come la nostra, che tanto ha ricevuto in termini di solidarietà".

Ultima modifica il Lunedì, 07 Marzo 2016 16:58

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