Venerdì, 02 Settembre 2016 09:31

'Ndrangheta, 25 arresti e 149 indagati per maxi operazione in Abruzzo

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L'Abruzzo e il Molise come crocevia di un traffico internazionale di stupefacenti al vertice del quale c'era la famiglia Ferrazzo (Felice e suo figlio Eugenio), una delle principali 'ndrine calabresi, e che aveva in Sud America (Colombia, Argentina, Repubblica Dominicana, Ecuador) il principale bacino di approvvigionamento.

E' questo lo scenario portato alla luce dalla maxi operazione antidroga ribattezzata “Isola Felice”, condotta dalla Procura distrettuale antimafia dell'Aquila e dai carabinieri di Pescara.

In manette sono finite 25 persone (14 in carcere, 6 agli arresti domiciliari e 5 con obbligo di dimora) mentre altre 149 risultano indagate. I reati contestati sono quelli di traffico di droga e di armi, estorsione e riciclaggio. Le ordinanze di carcerazione sono state emesse dal gip del tribunale dell'Aquila.

I dettagli dell'operazione sono stati illustrati in una conferenza stampa svoltasi al tribunale dell'Aquila alla presenza, tra gli altri, del Procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti.

L'operazione. L'Abruzzo “isola felice” per lo spaccio

Con "Isola felice", i carabinieri hanno scoperto un imponente e tentacolare traffico di cocaina esteso tra il Sud America, l'Europa e l'Italia.

La droga, nascosta in ovuli o in forma liquida, giungeva in Europa dal Sud America trasportata da un esercito di corrieri che lavoravano al soldo delle organizzazioni criminali. Le porte di accesso al mercato europeo erano paesi come Spagna, Belgio, Inghilterra, Svizzera. Da lì, le partite di stupefacente venivano smistate nelle principali piazze di spaccio, tra cui, appunto, c'erano l'Abruzzo e il Molise.

A capo di questa “coca connection”, che poteva contare su centinaia di luogotenenti, soldati, spacciatori, prestanome utilizzati per riciclare i capitali di provenienza illecita, c'era il clan 'ndranghetista Ferrazzo di Mesoraca (Calabria), in particolare Felice Ferrazzo e suo figlio Eugenio, due delle 25 persone arrestate.

Felice Ferrazzo era un collaboratore di giustizia che si era apparentemente dissociato dal clan di appartenenza e che, in virtù dei programmi di protezione di cui godono i pentiti, era stato trasferito, dopo un periodo trascorso in un carcere straniero per traffico internazionale di stupefacenti, in Abruzzo. Qui, però, approfittando anche del vuoto lasciato dalla caduta del clan camorristico Cozzolino (che aveva a lungo controllato il traffico di droga della zona), aveva riallacciato i legami con il suo clan e aveva ripreso la sua attività, puntando proprio sul fatto che la regione fosse, ai suoi occhi, un'isola felice (di qui il nome dato dagli inquirenti all'operazione).

L'indagine che ha portato agli arresti di oggi ha avuto inizio nel 2010, a seguito di un arresto operato dai carabinieri di Pescara a carico di uno degli indagati, sorpreso con quasi 1 chilo di cocaina purissima.

“La qualità dello stupefacente e altri elementi acquisiti dagli investigatori” hanno spiegato i carabinieri in conferenza stampa “hanno determinato l'avvio delle indagini coordinate dalla Procura distrettuale antimafia dell'Aquila al fine di individuare i complici dello spacciatore arrestato e risalire la filiera che aveva permesso di importare quel quantitativo di stupefacente. Nel corso dei mesi successivi, una serie di arresti mirati e sequestri (come gli 8 chili di cocaina liquida destinati alla piazza abruzzese trovati dalla polizia di Buenos Aires all'aeroporto, ndr) ci hanno consentito di scoprire un autentico fiume di cocaina che, dal Sudamerica, giungeva sul territorio nazionale tramite disparate modalità di invio”.

Raffinerie di droga e depositi di armi

Durante le indagini, condotte anche con l'ausilio di intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, i carabinieri hanno scoperto anche l'esistenza di una sorta di raffineria casalinga, dove la droga veniva trattata e tagliata, in un'abitazione privata di San Salvo e di vari depositi di armi (alcune, prive di matricola, importate anche dalla Svizzera), situati in più punti. Tra questi, un vero e proprio arsenale è stato rinvenuto a Termoli, dove i trafficanti avevano nascosto armi da guerra, kalasnikov, fucili a pompa, pistole e munizioni. Nel corso dei sequestri e delle perquisizioni ernao spuntati fuori anche giubbotti antiproiettile e jammer, gli apparecchi usati per disturbare le frequenze dei telefoni cellulari impiegati dagli investigatori per le attività di intercettazione.

La 'ndrangheta

A seguito di altre indagini, carabinieri e procura hanno scoperto che lo spaccio di droga era gestito da una vasta e articolata organizzazione criminale con basi operative nel Vastese e nel litorale molisano ma anche a Pescara e all'Aquila. Una rete a capo della quale c'era il già citato clan Ferrazzo, nelle persone di Felice e Eugenio (padre e figlio). Altre ramificazioni sono state poi individuate in Campania (Torre Annunziata), Lombardia (Mariano Comense, Varese), Piemonte (nell'Alessandrino).

Il network disarticolato dalle forze dell'ordine e dalla magistratura aveva una struttura verticistica: a comandare era il clan Ferrazzo, la cui famiglia aveva diversi legami anche con altre famiglie calabresi e siciliane (come i Marchese, di Messina), mentre le truppe erano costituite da esponenti apartenenti alla piccola criminalità abruzzese e molisana, la cui affiliazione alla famiglia 'ndranghetista avveniva anche tramite cerimonie, giuramenti e rituali.

Gli inquirenti hanno scoperto anche che buona parte dei proventi derivati dalla vendita della cocaina erano regolarmente riciclati, reinvestiti e ripuliti in attività più o meno lecite, dai piccoli esercizi commerciali ai ristoranti (i cui titolari erano spesso e volentieri minacciati e intimiditi con la violenza) e in imprese attive nel settore dell'edilizia. Tra queste c'è la Molise Costruzioni srl, società vincitrice di diversi appalti nessuno dei quali, però, collegato alla ricostruzione post terremoto dell'Aquila.  

Roberti: “Territorio vulnerabile alle infiltrazioni mafiose”
 
“Gli elementi di maggior interesse di questa indagine mi sembrano due” ha commentato nel suo intervento il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti “Anzitutto il metodo investigativo: le indagini hanno visto la collaborazione di diverse forze inquirenti e di vari reparti delle forze dell'ordine. Entrambi sono intervenuti in modo tempestivo. I radicamenti della 'ndrangheta in regioni diverse da quella di appartenenza possono essere combattutti solo a patto che non si neghi l'esistenza del fenomeno mafioso e lo si combatta in modo deciso. In secondo luogo” ha proseguito Roberti “è interessante notare come l'ascesa dei Ferrazzo sia stata favorita dal declino di un altro gruppo mafioso, quello dei Cozzolino. Questo vuol dire che quando si ottiene una vittoria contro un clan non bisogna abbassare la guardia e non bisogna abbandonare il territorio. Il fatto che questo territorio in particolare, dopo i Cozzolino, sia stato infiltrato anche da un altro clan vuol dire che forse è vulnerabile alle infiltrazioni mafiose”.

Roberti, partendo dalla constatazione che parte dei proventi del traffico di droga erano reinvestiti in aziende ed imprese edili, ha voluto spendere una riflessione anche sul Modello L'Aquila, ossia sulle azioni di contrasto e prevenzione rispetto al rischio di infiltrazioni mafiose nella ricostruzione post sismica attuate all'Aquila in questi sette anni: “Il modello L'Aquila ha funzionato grazie al sistema Crasi (Centro ricerca e analisi per lo sviluppo investigativo, ndr), che, permettendo di incrociare le banche dati della Procura nazionale antimafia con le informazioni contenute nelle varie banche dati della ricostruzione, ha consentito di individuare e prevenire i rischi di penetrazione delle organizzazioni mafiose negli appalti pubblici e privati. Purtroppo il caso della Molise Costruzioni dimostra come le società a responsabilità limitata operanti nell'edilizia siano facilmente infiltrabili con iniezioni di capitali frutto di attività illecite. Il sistema Crasi sarà a disposizione anche per la ricostruzione dei comuni del Centro Italia colpiti recentemente. I rischi” ha poi concluso Roberti “ riguardano soprattutto gli affidamenti in regime emergenziale, come la rimozione delle macerie, i puntellamenti, il movimenti terra e l'attività di intermediazione per il reclutamento della manodopera”.   

Ultima modifica il Sabato, 03 Settembre 2016 13:41

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