Scuole aperte, stamane, e studenti 'fuori'.
Cosa ci sta insegnando la protesta delle scuole aquilane? Messo alla prova dei fatti, il modello di ricostruzione aquilano - se di 'modello' si può parlare - ha mostrato 'crepe' che dovrebbero far riflettere, anche per evitare che, in futuro, possano commettersi gli stessi errori. Non solo. E' proprio il concetto di sicurezza degli edifici pubblici strategici che ne esce parecchio ridimensionato.
Andiamo con ordine.
A livello regionale, sono soltanto 280 su 1300 gli istituti scolastici sottoposti a verifica di vulnerabilità sismica; significa che gli Enti pubblici proprietari, Comuni e Province, sono per lo più inadempienti rispetto ad una ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri che prevedeva la verifica entro il 31 marzo 2013, quattro anni fa. Come è possibile? Per quale motivo le amministrazioni locali non hanno adempiuto alle prescrizioni normative? E' una responsabilità che non si può sfuggire. Le amministrazioni avrebbero dovuto adempiere alle verifiche, per scattare - almeno - una fotografia dello stato di sicurezza degli edifici scolastici e programmare, nel tempo, interventi di adeguamento sismico.
Non può essere una giustificazione la dimostrata opacità delle normative, seppure lo Stato centrale abbia responsabilità altrettanto gravi. Infatti, se le verifiche di vulnerabilità erano obbligatorie, per legge, non lo erano - altresì - eventuali interventi di messa in sicurezza. E non sono state previste sanzioni, per gli Enti inadempienti. L'indice di vulnerabilità doveva servire soltanto a stabilire il tempo entro il quale prendere provvedimenti, calcolato attraverso una formula matematica che avrebbe dovuto considerare la probabilità di un accadimento sismico di una presunta entità in un determinato tempo e in un dato territorio. Una definizione che "a rigore" - scriveva l'allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso, firmando una circolare di chiarimento sulla gestione degli esiti delle verifiche - avrebbe senso "solo in relazione alla tutela economica della costruzione, e non anche alla tutela delle persone" ma che è "la sola in grado di consentire una programmazione degli interventi nel tempo".
D'altra parte, non esistono soglie cui riferire con automatismo le azioni di Protezione civile da porre in atto in riferimento alle problematiche delle strutture pubbliche che mostrino un basso indice di vulnerabilità; a dirla semplice, non è stato istruito un protocollo unico di vulnerabilità da cui emerga con chiarezza quale deve essere l'indice minimo oltre il quale un edificio scolastico possa definirsi sicuro. E non è stata approntata una procedura standardizzata nazionale per arrivare ad un valore omogeneo dal punto di vista procedurale: sinora, si è proceduto a verifica con criteri diversi.
Si sta parlando, ovviamente, degli edifici costruiti prima del 2008, prima, cioé, della definizione delle nuove Norme tecniche di costruzione che - se rispettate - dovrebbero garantire un indice di vulnerabilità del 100%.
E così, arriviamo alla vicenda aquilana, al modello di ricostruzione. Se è vero, infatti, che sarebbe impossibile immaginare di adeguare sismicamente al 100% tutti gli edifici pubblici italiani, scolastici e strategici, costruiti prima del 2008 - per questioni economiche, banalmente - e che l'indice di vulnerabilità avrebbe dovuto scattare una prima fotografia per programmare gli interventi nel tempo, seppure - come detto - la normativa sia piuttosto opaca, nel cratere sismico aquilano è successo qualcosa di diverso. E che dice molto del presunto 'modello' di ricostruzione.
Infatti, sugli edifici scolastici che - a seguito del terremoto - hanno riportato danni alle parti non strutturali o danni lievi alle strutture, sono stati approntati interventi di rafforzamento, e non di adeguamento sismico; il ragionamento seguito, è stato il seguente: le strutture hanno dimostrato, con un 'collaudo' naturale, di saper resistere a sollecitazioni provocate da un sisma di magnitudo 6.3 senza riportare danni strutturali; dunque, è ragionevole presumere che possano resistere ad un altro sisma capace di produrre accelerazioni pari o minori, tanto più a seguito di interventi di rafforzamento. Così, il Provveditorato alle Opere pubbliche - a seguito dei lavori - ha dichiarato le strutture agibili, pur sapendo che non soddisfavano i criteri di vulnerabilità sismica.
A dimostrarlo, le verifiche effettuate dalla Provincia sulle scuole di proprietà, le 'superiori', che presentano indici di vulnerabilità ben al di sotto della norma.
Eccolo, il punto: non si sarebbe potuto e dovuto pretendere - almeno per gli edifici pubblici strategici, e per le scuole in particolare, su cui dovrebbe costruirsi il senso stesso di una comunità - l'adeguamento sismico delle strutture, anche se questo avesse significato ricostruirle ex novo? Avremmo evitato, così, di spendere soldi per il miglioramento degli edifici - si pensi ai lavori eseguiti sul 'Cotugno' - sapendo bene che, comunque, le strutture non avrebbero raggiunto mai gli standard di sicurezza previsti dalle normative vigenti. Invece, nel 2009 il Governo fece scelte diverse.
Ora, si procederà con ulteriori verifiche che, però, non cambieranno la sostanza delle cose: le strutture costruite prima del 2009 e migliorate a seguito del sisma non garantiscono un indice di vulnerabilità sismica del 100%; è più che ragionevole presumere che resisterebbero alle sollecitazioni provocate da un terremoto di pari intensità e accellerazione - ed in effetti, le scosse che si susseguono dal 24 agosto non hanno provocato ulteriori danni - ma non basta a studenti, genitori e personale docente che, al contrario, pretenderebbero - a ragione - di frequentare edifici che rispettino appieno gli indici di vulnerabilità previsti dalle normative vigenti.
Dovrebbe essere così, in un Paese che vuol dirsi civile; doveva essere così, in una città in ricostruzione che, ad otto anni dal terremoto, avrebbe dovuto e potuto garantire la piena sicurezza ai suoi cittadini.
Che fare, dunque? A questo punto, è necessario approntare la verifica di vulnerabilità sismica di tutti gli edifici pubblici strategici, a partire proprio dalle scuole, e anche sulle strutture già sottoposte a prova; fatto questo, va pretesa una parola di chiarezza sull'indice minimo di vulnerabilità oltre il quale un edificio scolastico possa definirsi sicuro, stante le caratteristiche del territorio, il tipo di costruzione, e il rischio connaturato ad una zona fortemente sismica. Programmati gli interventi di adeguamento - a seconda delle criticità emerse - andranno chieste risorse e tempi certi per la realizzazione delle opere necessarie.
E' una battaglia di civiltà, che dovrebbe interessare l'opinione pubblica nazionale; e se è vero che non ci sono i soldi per adeguare sismicamente tutti gli edifici pubblici strategici, è vero anche che, prima o poi, bisognerà pure iniziare a mettere in sicurezza il Paese: dunque, si parta proprio dal centro Italia, dalle zone a rischio sismico 1 e 2, abbandonando le pretese di opere faraoniche e investendo seriamente, invece, sulla sicurezza dei cittadini. E non si commettano più gli errori fatti a L'Aquila: nei processi di ricostruzione di un territorio colpito da terremoto, gli edifici strategici andrebbero ricostruiti ex novo, se non è possibile adeguarli sismicamente al 100%.
E torniamo, così, all'Aquila. Qui, abbiamo la fortuna di avere a disposizione moduli ad uso scolastico provvisorio che garantiscono il 100% di sicurezza a migliaia di studenti. Dunque, si proceda con le verifiche e si pretenda dal Comune dell'Aquila, colpevolmente inadempiente fino ad oggi, di fare in fretta: scattata una fotografia dello stato degli edifici strategici, e pretesa chiarezza sull'indice minimo di vulnerabilità, si cerchino soluzioni dignitose per le scuole che dovranno essere chiuse, sfruttando, appunto, anche gli spazi offerti dai Musp, per quanto possibile.
Intanto, l'amministrazione provveda alla progettazione dei lavori di ricostruzione delle scuole danneggiate strutturalmente dal terremoto: in cassa, ci sono - da almeno 4 anni - ben 46 milioni di euro, vincolati, che il Comune dell'Aquila non è stato ancora in grado di spendere. E' la pagina più oscura dell'amministrazione Cialente. Si fosse proceduto dando priorità alle scuole, infatti, ci ritroveremmo oggi con strutture già ricostruite che, con i Musp, avrebbero potuto garantire una risposta alle legittime esigenze di studenti, genitori e personale docente delle scuole che presentano indici di vulnerabilità non adeguati ai vincoli vigenti.
La normativa nazionale è carente, la burocrazia insopportabile, le scelte assunte dal Governo nel 2009 sono state sbagliate: l'amministrazione comunale, però, non ha adempiuto alle prescrizioni di verifica, non ha preteso una parola di verità sullo stato degli edifici dichiarati agibili a seguito dei lavori di restauro, e non ha saputo spendere i milioni in cassa per la ricostruzione delle scuole gravemente danneggiate; responsabilità che non si possono sottacere.