A Roma, il 7 luglio 2010, c'erano migliaia di persone per lanciare un Sos al governo. Nessuna bandiera di partito, solo quella neroverde della città. Aderirono 53 dei 59 comuni del cratere, la Provincia dell'Aquila, i sindacati, compreso quello di polizia, tutte le organizzazioni di categoria.
Sospensione di tasse e tributi, occupazione, sostegno all'economia: queste le richieste dei cittadini aquilani. L'esecutivo fu costretto a cedere, almeno in parte: Gianni Letta annunciò che, grazie ad un emendamento alla manovra economica in discussione, il recupero dei tributi e dei contributi non versati a causa del sisma sarebbe stato effettuato in 120 rate mensili a decorrere dal gennaio 2011.
Prima, però, i manifestanti furono presi a manganellate. Polizia e carabinieri, schierati in assetto antisommossa, bloccarono con la forza i cittadini disarmati che volevano raggiungere Montecitorio per urlare la loro indignazione. Due ragazzi rimasero feriti alla testa per i colpi ricevuti. Prese qualche schiaffo anche Giovanni Lolli, allora deputato del Pd: "Le ho prese anche io", raccontò a chi gli chiedeva cosa fosse accaduto. "Ero lì davanti, di schiena, e a un certo punto sono arrivati colpi. Non ce l'ho con i poliziotti, che sono solo ragazzi mal pagati. Ma con chi li comanda...".
Fu spintonato persino il sindaco Cialente. "Non meritiamo di essere trattati così, abbiamo sempre fatto manifestazioni pacifiche e il blocco da parte delle forze dell'ordine non me lo aspettavo. Non ci è bastato il terremoto abbiamo preso anche le botte", sbottò il primo cittadino.
Tre ragazzi, quel giorno, furono identificati dalla Digos di Roma: sono sotto processo, rispondono a vario titolo delle accuse di resistenza a pubblico ufficiale pluriaggravata (perché in concorso) e violazione delle leggi sulla pubblica sicurezza. E stamane, a Roma, si è tenuta una nuova udienza del procedimento a loro carico. Dopo aver visionato i video dell'accusa, il giudice l'ha rinviata al prossimo 10 dicembre.
Nel corso dell'udienza, è stato concluso l'esame dei testimoni dell'accusa, in particolare di esponenti della Digos capitolina. Tra gli altri, un ispettore della polizia di Roma: "C'era una manifestazione di aquilani arrivati a Roma per avere dei finanziamenti", ha raccontato. "Erano in migliaia e dovevano andare a a Piazza Santi Apostoli. Invece, si sono incamminati verso il palazzo del governo dove era stato allestito un blocco della polizia".
"Nelle vicinanze del palazzo del governo c'è stato un contatto con i manifestanti e si è perso tempo per cercare di capire se consentire agli aquilani di arrivare a Piazza Montecitorio", ha continuato. "Alla fine, grazie anche alla mediazione dei parlamentari, si è acconsentito a Piazza Montecitorio" L'ispettore della polizia di Roma ha poi aggiunto: "Alle 6mila persone si sono uniti aderenti ai centri sociali di Roma, L'Aquila ed altre province. E' stato quindi fatto un ulteriore cordone al bivio con Montecitorio, dove c'è stato un altro contatto con i manifestanti che poi sono arrivati davanti la sede del governo dove sono rimasti per un'ora. Successivamente, si sono spostati verso piazza Venezia dove hanno deviato verso Via del Plebiscito, davanti a Palazzo Grazioli dove Berlusconi (al tempo capo del Governo) stava tenendo un vertice". Secondo l'ispettore della polizia di Roma "i manifestanti si sono poi spostati davanti la sede della Protezione Civile capeggiati da G.C. (una delle denunciate) lanciando slogan".
La denunciata, e non è un caso, non è aquilana. In quelle ore, infatti, su tutti i media nazionali si moltiplicarono commenti e video sulle manganellate ricevute dagli aquilani. La questura rispose, pubblicamente, che la manifestazione non era organizzata dai cittadini terremotati ma dai centri sociali romani. Giustificando, così, le tensioni di quella giornata. In realtà nessuno capeggiò gli aquilani, quel giorno, se non la rabbia. La rabbia di una città intera che invase le strade di Roma per rivendicare dei diritti e per mostrare all'Italia cosa stava accadendo davvero a L'Aquila. Per quella manifestazione, nel silenzio imbarazzato delle Istituzioni, stanno pagando tre ragazzi.
Tra loro un attivista aquilano, anch'egli ascoltato nell'udienza di stamane: "Non ho fatto nessun atto di violenza quel giorno - ha dichiarato al giudice - Sventolavo la bandiera neroverde, come tanti altri, e non ho mai avuto un contatto diretto con le forze dell'ordine. Non ero in prima fila, dove erano presenti le nostre istituzioni locali, e quando hanno iniziato a manganellare c'è stata una calca terribile. Una ragazza ha persino vomitato. C'erano famiglie, bambini e anziani". Insomma, l'ennesima ingiustizia ai danni della comunità aquilana, che non ha avuto nessuna colpa tranne quella di voler rialzare la testa e battersi per una ricostruzione giusta.
Nel pomeriggio arriva anche il duro comunicato di 3e32: "La pubblica accusa, continua a tenere in piedi la tesi ridicola della presenza di 'centri sociali aquilani e romani' che avrebbero provocato gli scontri. In sede processuale diversi testimoni della questura romana si sono avvicendati per ribadire questa fantasiosa versione, mentre i testimoni della difesa sono stati ridotti solamente a due. Ancora una volta ci troviamo a dover ribadire che non ci fu nessuno 'scontro', ma solo delle sonore manganellate ai danni di cittadini che volevano solo esprimere il proprio dissenso sotto i palazzi del governo - continua il 3e32 nella nota - questa tesi accusatoria ridicola è stata costruita ad arte, fin dalla sera stessa dalla manifestazione, da parte del Governo e delle forze dell’ordine, con il solo scopo di nascondere il fatto che l’unica risposta del Governo alle proteste dei terremotati era stata quella di farli manganellare e di provare ad impedirgli di manifestare sotto Palazzo Chigi".
Il comitato cittadino è critico anche nei confronti della classe dirigente della città, soprattutto quella che partecipò alla manifestazione: "Di fronte a queste accuse assurde, i tre accusati sono oggi lasciati soli, da parte dei politici, delle istituzioni, dei media e di tutti gli altri cittadini che parteciparono alle manifestazioni. Dove sono i politici che hanno usato le foto della manifestazione per farsi propaganda elettorale? Dove sono i soggetti economici che grazie a quelle manifestazioni hanno ricevuto un trattamento migliore? Ma soprattutto dove sono oggi tutte quelle forze sociali e politiche che si sono battute con noi sotto le bandiere neroverdi?".
In conclusione, un appello alla partecipazione dell'udienza del 10 dicembre: "Facciamo un appello a tutta la città ad essere presenti durante la prossima udienza del 10 dicembre (ore 9), a Roma, che sarà anche quella in cui il giudice esprimerà il suo verdetto". Durante la prossima udienza il giudice ascolterà inoltre i due testimoni chiamati dalla difesa, una manifestante e l'ex deputato Giovanni Lolli.