Sabato, 06 Maggio 2023 13:29

Nel restyling della città la politica locale non vuole cittadini ma opinionisti

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Tra ricostruzione e linee di arredi urbani la questione estetica nella città dell’Aquila è divenuta preminente, ma come spesso accade è strettamente legata ad un altro piano quello etico, di cui può essere paravento oppure sintomo.

Nel giro di una manciata di mesi abbiamo visto mutare profondamente l’assetto del centro storico con cambiamenti drastici che hanno rinnovato e stravolto la consuetudine di tutta la cittadinanza e la visione della città.

Tra l’avanzata del bianco in centro storico, la scalinata/tribuna di Collemaggio, la nuova veste di Piazza Regina Margherita, i lavori in corso in Piazza Duomo (con particolare attenzione per i lampioni) e con tutti gli interventi che seguiranno da piazza Chiarino a piazza del Teatro tutto cambia e si riveste. Tutte cose buone e utili che ammodernano e portano vento nuovo in città, ma in tutto ciò dove sono i cittadini? Chi ne ha discusso? A nessuno è dato sapere.

Infatti in questi cambiamenti e nei processi che li governano i cittadini non sono altro che fruitori, osservatori che da un giorno all’altro vedono la recinsione di un’area cantierizzata che dopo qualche mese verrà svelata totalmente cambiata, senza che nessuno li consideri parte attiva nel processo decisionale. Il centro della questione ovviamente non vuole essere l’immobilismo o la chiusura ottusa del nulla cambi in difesa della tradizione, nessuno vuole avanzare lamentele pretestuose, ma come dentro casa il proprietario è interessato agli interventi che vengono disposti così il cittadino meriterebbe di conoscere e prender parte alla discussione, sempre se viene considerato proprietario e non inquilino.

Questa riflessione vuole mettere proprio in evidenza la mancanza di coinvolgimento di coloro della città sono l’humus ovvero le donne e gli uomini che la vivono. Infatti, processi partecipativi e modalità di coinvolgimento esistono e sono strade percorribili, perfettamente compatibili con il sistema rappresentativo. La questione di fondo alberga proprio nel concetto di rappresentanza e amministrazione.

L’Aquila è una città in ricostruzione e in continuo cambiamento, che ha vissuto un primo momento, nell’immediato post sisma, di totale slancio e partecipazione al quale è seguito un lungo torpore talvolta rotto dall’entusiasmo di frange di cittadini. La tendenza al torpore propria del secondo momento però è stata assecondata da una classe politica non incline al coinvolgimento e alla partecipazione, ma piuttosto alla strategia della decisione pro domo mea.

La modalità infatti è sempre la stessa: si parte con una conferenza stampa in cui si annuncia l’intervento, si chiude il luogo interessato, si fa trapelare qualcosa sui social per far crescere la suspence e poi si organizza una grande inaugurazione con passerelle mediatiche per accumulare gradimento. Analizzando tale sequenza appare in maniera plastica la dicotomia radicale fra l’amministratore, proprietario della città, che per il suo buon cuore e le sue grandi capacità regala ai suoi cittadini un luogo rinnovato secondo il suo gusto e a suo piacimento. Mentre dall’altra parte non abbiamo altro che opinionisti che possono essere entusiasti o contrariati ma comunque ciò che è stato fatto è stato fatto, il dado è tratto, la città cambia e i "nostri" luoghi insieme ad essa.

 Esistono altri modi e altre inclinazioni. Il cittadino può ricoprire ben altri ruoli, così come comitati e movimenti hanno dimostrato negli scorsi anni proprio nell’aquilano. Esistono bilanci partecipativi e assemblee aperte, si può stimolare il dibattitto e porre questioni.

Si può e si deve, perchè il rischio che si corre perseguendo una politica a gradoni e non a rampe alla portata di tutti è quello di creare barriere che rendono accessibile la possibilità di sentirsi proprietari della città solo ad alcuni mentre dovrebbe essere prerogativa di tutte e tutti. Il destino di questa politica è quello di ritrovarsi con politici sceriffi e cittadini intorpiditi che puntano il dito contro quelle schegge che al diktat dello sceriffo si oppongono.

Secoli e secoli fa Socrate era considerato “il tafano che punzecchia la vecchia cavalla” ovvero la società di Atene, perché incentivava i giovani a discutere e a occuparsi delle questioni che interessavano la città. Una politica fatta a gradoni, con decisioni non condivise e amministratori padroni non è altro che un insetticida che annienta ogni disturbo per una cavalla che vuole essere sola e schermata.

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