Mercoledì, 30 Agosto 2017 14:07

Abruzzo, in fiamme le aree interne: le responsabilità di un disastro ambientale

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In questi minuti, in Abruzzo sono attivi sette fronti di fuoco. Il Monte Morrone brucia, oramai, da 11 giorni e, stando ad alcune stime prudenti, sarebbero andati in fumo 3mila ettari di boschi, il 5% circa del Parco nazionale della Majella. In Valle Subequana, l'abitato di Secinaro è ancora minacciato dalle fiamme che hanno aggredito la pineta a ridosso del borgo; è ridotto in cenere il fronte montano della magnifica statale che conduce a Goriano Valli.

Un filo rosso tiene insieme i focolai dolosi che sono divampati in questi giorni: ne è convinto il procuratore capo di Sulmona Giuseppe Bellelli che ha riunito in un unico fascicolo le sette inchieste aperte; "c'è un unico disegno criminoso", ha ribadito il Procuratore. "Ci sono almeno tre nessi", ha spiegato': "il primo è temporale, il secondo è legato alle modalità d'innesco e il terzo ai luoghi. Io non vedo nulla di casuale dietro i roghi sul Morrone oppure a Prezza e in tutti gli altri posti della Valle Peligna dati alle fiamme". E' ancora prematuro fare ipotesi sulle ragioni che sottendono alle azioni criminose che stanno flagellando l'Abruzzo interno, "questa vicenda dev'essere interpretata nella sua complessità" ha tenuto a precisare Bellelli.

La Giustizia dovrà fare - e presto - il suo corso, e in queste ore il supporto va ai professionisti e ai volontari che si stanno impegnando generosamente per spegnere i roghi. Tuttavia, innanzi ad un disastro ambientale di tali proporzioni, è anche giunto il momento di capire che cosa non ha funzionato, come si è arrivati al punto di non ritorno, i motivi della mancata risposta di Regione Abruzzo all'attacco criminoso che sta devastando le aree interne, già martoriate dai terremoti e dall'emergenza maltempo del gennaio scorso.

Le caratteristiche boschive del territorio e le alte temperature che, da giugno, si registrano in regione, la scomparsa del Corpo Forestale dello Stato - e sul punto, torneremo - l'abbandono della montagna, la marginalità dei Parchi nel ruolo di tutela del patrimonio naturalistico, avrebbero richiesto una risposta pronta dell'Ente Regione - e di riflesso degli Enti locali - con la messa in campo di azioni di gestione, manutenzione del patrimonio boschivo e di prevenzione degli incendi, con un controllo capillare del territorio, mappando le aree maggiormente a rischio ed elevando il sistema di controllo anti-piromani, chiedendo - prima - mezzi e uomini per affrontare eventuali emergenze. Così non è andata, evidentemente; e le aree interne d'Abruzzo bruciano, con le ultime speranze di chi, su questi territori, ha deciso d'investire opponendosi all'abbandono e allo spopolamento. 

Un paio d'evidenze, tra le altre: ad inizio giugno, l'allora capo della Protezione civile nazionale Fabrizio Curcio denunciava che sei Regioni - l'Abruzzo oltre a Basilicata, Molise, Marche e Umbria - avevano dichiarato di non avere a disposizione alcun mezzo aereo per intervenire in caso d'incendi boschivi impegnativi. "Dobbiamo fare i conti con una profonda riorganizzazione a tutti i livelli dell'utilizzo delle risorse, delle procedure e della filiera delle responsabilità, è vero; ma non possiamo permetterci - l'appello di Curcio - di sottovalutare il rischio degli incendi boschivi soprattutto con queste temperature così elevate già oggi". D'altra parte, il Conapo - sindacato autonomo dei Vigili del Fuoco - aveva messo in guardia sui rischi derivati dal fatto che "molte Regioni" - Abruzzo compreso - non avevano ancora "stipulato le convenzioni che stanziano i fondi di potenziamento del servizio".

"La legge tuttavia impone in capo alla Regione attività di predisposizione di strategie e mezzi per la prevenzione anche degli incendi", aveva ricordato l'associazione abruzzese 'Nuovo Senso Civico'; "ed il fatto che al momento non vi sia un servizio attivo in Abruzzo nonostante il pericolo è un fatto che dovrebbe far riflettere. Questa volta l’allarme arriva prima di una eventuale sciagura che nessuno si augura ma nel caso dovesse accadere in linea di principio la situazione non sarebbe molto diversa da quella di Rigopiano", le parole stampate su un comunicato stampa che, oggi, suonano tristemente profetico.

Il 28 giugno, il governatore Luciano D'Alfonso dichiarava, però, come non fosse affatto vero che la Regione non si era attivata per prevenire gli incendi e spiegava che "fin dai primi giorni di maggio" era stato istituito un "tavolo tecnico con i Vigili del Fuoco; "nei prossimi giorni sarà firmata la convenzione definitiva, così da garantire il servizio a partire dal 1° di luglio". Evidentemente, qualcosa non ha funzionato.

Come non bastasse, Regione Abruzzo è in forte ritardo nel varare il piano antincendio boschivo (L. 353/2000) di tutte le sue aree protette; ad oggi, solo il Piano AIB 2017 redatto dal Parco Nazionale d'Abruzzo risulta uno strumento credibile e approfondito. Al contrario, quello del Parco Nazionale del Gran Sasso Monti della Laga denuncia - nero su bianco - la totale mancanza di fondi per la prevenzione e la lotta attiva contro gli incendi, con i capitoli letteralmente lasciati a zero euro, e l'AIB del Parco della Majella e di altre aree abruzzesi, teoricamente 'protette', non risultano ancora pubblicati. "Ecco perché, pur tenendo conto dell'eccezionale ondata di caldo, davanti alla quasi totale disattenzione e alla cronica mancanza di fondi per la prevenzione da parte della Regione e al fiume di denaro che si spende poi, purtroppo spesso inutilmente, per l'emergenza, nasce il sospetto che anche in Abruzzo siano cominciati a nascere episodi fino ad ora registrati in altre Regioni, dove il sostanziale disinteresse degli enti locali nella prevenzione fa da spola ai troppi interessi privati collegati alla gestione delle emergenze", la denuncia del Consigliere regionale Domenico Pettinari.

Che ha aggiunto: "Fino a quando ci sarà anche un solo privato (società, ditta, cooperativa, ecc.) che dagli incendi guadagnerà, il problema non si risolverà. E' impensabile dare l'opportunità di arricchirsi sugli incendi: strutture, mezzi e uomini per gli interventi di soccorso e spegnimento devono essere pubblici". E' questa la legge che un Paese serio "dovrebbe varare immediatamente", ha ribadito il Consigliere pentastellato. "Se in uno Stato, con più di tre quarti della superficie territoriale occupata da montagne (35,2%) e da colline (41,6%), il Corpo forestale viene soppresso e dislocato in vari corpi, sminuendo ed eliminando la prima forza statale per la prevenzione e la lotta agli incendi boschivi, qualcosa non torna. E a chi pensa che parlare di politica sugli incendi è sbagliato, voglio ricordare che la soppressione del Corpo forestale è stata una scelta politica! Acquistare F35 piuttosto che Canadair è una scelta politica! Perché è nelle stanze dei palazzi che si continua a decidere del nostro futuro".

Così, arriviamo al nodo della vicenda.

La riforma Madia si è rivelata una vera e propria sciagura, in particolare per la decisione di sopprimere il Corpo Forestale dello Stato in nome di una semplificazione che, tuttavia, come già accaduto con le Province, non ha tenuto in alcun conto le prevedibili complicazioni che si stanno verificando.
"Sopprimendo la Forestale, si è notevolmente indebolita quell’opera di presidio sul territorio e di prevenzione che era propria dei nostri uomini", l'affondo di Gabriele Pettorelli, coordinatore nazionale dei Forestali per il Conapo, al Fatto Quotidiano.

Erano 8mila i forestali, fino al 31 dicembre 2016: poi sono stati distribuiti tra i vigili del fuoco (360 appena) e la Pubblica amministrazione (circa 1240). Ma è ai carabinieri che sono stati destinati in modo massiccio: ben 6400. Ed è stato un passaggio che ha lasciato conseguenze pesanti. Soprattutto per quanto riguarda il ruolo dei cosiddetti Dos, ovvero i direttori operativi degli spegnimenti: la Forestale era particolarmente preparata in questo compito e le ex guardie trasferite tra i pompieri speravano di vedersi riassegnare automaticamente quell’incarico (i carabinieri non operano nell’antincendio). Così non è stato. Anzi. I Forestali - da norma - hanno soltanto compiti investigativi e non più di spegnimento dei roghi e di bonifica delle aree distrutte.

Poco dopo le 13 di ieri, a Secinaro, con le fiamme che si erano alzate da qualche minuto, i carabinieri forestali sul posto erano impossibilitati ad intervenire dovendo attendere l'arrivo del Dos, appunto. Un paradosso.

Sul punto, l'Abruzzo sta diventando però un caso pilota vista l'eccezionalità degli avvenimenti delle ultime ore. Grazie ad un accordo siglato ieri tra il capo della Protezione civile Angelo Borrelli e il generale Tullio Del Sette, comandante dell'Arma dei Carabinieri, è stata infatti stabilito che i Forestali potranno tornare in azione, sul campo, per coordinare i volontari nelle operazioni di bonifica. Così, si è intervenuto per modificare la Legge Madia.

D'altra parte, il procuratore capo di Sulmona Bellelli l'ha detto chiaramente: "Con il venir meno dei Forestali, sono mancate l'esperienza, la preparazione e la competenza nello spegnimento a terra. Non voglio accusare nessuno ma gli attuali carabinieri forestali, per legge, non possono più svolgere lotta attiva agli incendi"; con effetti devastanti, se è vero che i Vigili del Fuoco hanno straordinaria preparazione nello spegnimento dei fuochi "ma l'esperienza in montagna è patrimonio dei Forestali".

 

Ultima modifica il Mercoledì, 30 Agosto 2017 17:52

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