"Apprendo da fonti di stampa della probabile richiesta di archiviazione, da parte della Procura della Repubblica di L'Aquila, della mia posizione nell'inchiesta su palazzo Centi. Ringrazio la magistratura per l'opera di analisi scrupolosa sulla vicenda".
Così il governatore Luciano D'Alfonso, candidato del Pd in Senato come capolista sul collegio unico, commenta la notizia, rilanciata in serata dall'Ansa, che dal voluminoso carteggio della Procura non emergerebbero responsabilità penali a suo carico nell'ambito delle indagini sulla ricostruzione del palazzo sede della presidenza di Regione Abruzzo; per questo, nelle prossime settimane i pubblici ministeri inquirenti potrebbero presentare istanza d'archiviazione al Gip. "Sottolineo che ho sempre continuato a lavorare con tranquillità realizzativa, anche dopo aver conosciuto le esigenze di accertamento della Procura, senza dare mai spazio agli sballottamenti tipici dell'emotività e della paura, poiché convinto della liceità del mio operato, sempre orientato all'esclusivo interesse pubblico anche quando l'azione amministrativa si presentava difficile, complessa e bisognevole di coraggio", le parole di D'Alfonso. Che aggiunge: "Ad oggi, ho messo in campo 45 mesi lavorando 16 ore al giorno senza mai cedere ad una visione attendista, anche quando denuncisti isolati hanno scommesso tutte le proprie energie per farmi perdere tempo. Sono sicuro che la stampa farà la sua parte nel far sapere la notizia, così come è accaduto quando essa si diffuse un anno fa, arrivando in qualche caso a mettere a repentaglio il delicato lavoro condotto nel cuore del cratere sismico".
La maxi inchiesta sugli appalti pubblici gestiti dalla Regione, arrivata a 11 filoni e oltre 30 indagati, era coordinata dal pubblico ministero Antonietta Picardi, nel settembre 2017 trasferita presso la procura generale della Corte di Cassazione. Il procuratore capo, Michele Renzo, ha affidato i vari filoni ad altri pm.
Nel caso di palazzo Centi, il testimone è stato raccolto dal sostituto Fabio Picuti: gli indagati finora emersi sono 11 tra funzionari regionali, imprenditori e tecnici: si tratta dell'ex dirigente del ministero dei Beni Culturali Berardino Di Vincenzo, ora in pensione, uomo vicino a D'Alfonso, che lo ha nominato suo consulente, del figlio Giancarlo Di Vincenzo, tecnico progettista, degli imprenditori Giancarlo Di Persio e Mauro Pellegrini, titolari della impresa Dipe, già finiti nei guai in due precedenti inchieste, del capo segreteria di D’Alfonso ed ex consigliere Pd Claudio Ruffini, dell’amministratore delegato di Iciet Engineering di Castelli (Teramo) Eugenio Rosa, dei due progettisti Alessandro Pompa e Gianluca Marcantonio, altro fedelissimo di D’Alfonso, che lo ha pubblicamente sponsorizzato nella nomina come componente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, oltre ad affidargli molti incarichi, tra cui uno in seno al comitato scientifico del commissariato per la ricostruzione del terremoto in Centro Italia. Stando a quanto appreso, per alcuni ci sarà la richiesta di rinvio a giudizio.
Le ipotesi di reato, a vario titolo, sono di corruzione, turbativa d'asta, falso ideologico e abuso d'ufficio. La commessa del valore di circa 13 milioni di euro è stata messa a gara con ritardo [qui, l'approfondimento] e cambi di commissioni da Regione Abruzzo come stazione appaltante: secondo l'accusa sarebbero state attuate procedure per favorire la Iciet Engineering di Castelli (Teramo), arrivata terza, il cui titolare, Eugenio Rosa, è appunto sotto inchiesta. Estranea all'inchiesta la vincitrice, Edil Costruzioni Generali di Venafro (Isernia), che ha praticato un ribasso del 35% [qui]. Attualmente i lavori sono fermi in attesa del pronunciamento della giustizia amministrativa alla quale ha fatto ricorso l'impresa teramana Cingoli Nicola e Figlio Srl.