Martedì, 10 Dicembre 2013 11:33

#7luglio '10, assolti i tre manifestanti a processo: "Il fatto non sussiste"

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A Roma, il 7 luglio 2010, c'erano migliaia di persone per lanciare un Sos al governo. Nessuna bandiera di partito, solo quella neroverde della città.

Aderirono 53 dei 59 comuni del cratere, la Provincia dell'Aquila, i sindacati, compreso quello di polizia, tutte le organizzazioni di categoria. Sospensione di tasse e tributi, occupazione, sostegno all'economia: queste le richieste dei cittadini aquilani.

L'esecutivo fu costretto a cedere, almeno in parte: Gianni Letta annunciò che, grazie ad un emendamento alla manovra economica in discussione, il recupero dei tributi e dei contributi non versati a causa del sisma sarebbe stato effettuato in 120 rate mensili a decorrere dal gennaio 2011.

Prima, però, i manifestanti furono presi a manganellate. Polizia e carabinieri, schierati in assetto antisommossa, bloccarono con la forza i cittadini disarmati che volevano raggiungere Montecitorio per urlare la loro indignazione. Due ragazzi rimasero feriti alla testa per i colpi ricevuti. Prese qualche schiaffo anche Giovanni Lolli, allora deputato del Pd: "Le ho prese anche io", raccontò a chi gli chiedeva cosa fosse accaduto. "Ero lì davanti, di schiena, e a un certo punto sono arrivati colpi. Non ce l'ho con i poliziotti, che sono solo ragazzi mal pagati. Ma con chi li comanda...".

Fu spintonato persino il sindaco Cialente. "Non meritiamo di essere trattati così, abbiamo sempre fatto manifestazioni pacifiche e il blocco da parte delle forze dell'ordine non me lo aspettavo. Non ci è bastato il terremoto abbiamo preso anche le botte", sbottò il primo cittadino.

Tre ragazzi, quel giorno, furono identificati dalla Digos di Roma: hanno dovuto subire un processo, per rispondere a vario titolo delle accuse di resistenza a pubblico ufficiale pluriaggravata (perché in concorso) e violazione delle leggi sulla pubblica sicurezza. E stamane, a Roma, si è tenuto.

Tra i denunciati, e non è un caso, c'èra una ragazza non aquilana. In quelle ore, infatti, su tutti i media nazionali si moltiplicarono commenti e video sulle manganellate ricevute dai terremotati. La questura rispose, pubblicamente, che la manifestazione non era organizzata dai cittadini aquilani ma dai centri sociali romani. Giustificando, così, le tensioni. In realtà nessuno capeggiò gli aquilani, il 7 luglio 2010, se non la rabbia. La rabbia di una città intera che invase le strade di Roma per rivendicare dei diritti e per mostrare all'Italia cosa stava accadendo davvero a L'Aquila. Per quella manifestazione, nel silenzio imbarazzato delle Istituzioni, stanno pagando tre ragazzi.

Eppure, il Pubblico Ministero ha tentato di dimostrare, anche stamane, che la manifestazione era stata pensata dai centri sociali romani. Nonostante la testimonianza dell'ex onorevole Giovanni Lolli: "Sono stato io ad aver fatto richiesta formale per quanto riguarda l'autorizzazione alla manifestazione. Non ci è stato concesso di arrivare a Montecitorio ma era ingestibile virare migliaia di persone a piazza Santi Apostoli. Nessuno spingeva davanti, sono stato tutto il tempo in prima linea, l'iniziativa era assolutamente serena".

Tra gli imputati anche un attivista aquilano, che nell'ultima udienza aveva raccontato: "Non ho fatto nessun atto di violenza quel giorno. Sventolavo la bandiera neroverde, come tanti altri, e non ho mai avuto un contatto diretto con le forze dell'ordine. Non ero in prima fila, dove erano presenti le nostre istituzioni locali, e quando hanno iniziato a manganellare c'è stata una calca terribile. Una manifestante ha persino vomitato". E la ragazza, stamane, ha raccontato che su via del Corso fu colpita dall'impugnatura di un manganello, allo stomaco: "Mi sono accasciata e ho vomitato". Anche a lei, il Pm ha chiesto se erano stati invitati i centri sociali: "c'era qualche nostro amico di Roma", la risposta della ragazza. "Ci è dispiaciuto, però, che la città non fosse estremamente solidale con noi". Risposta eloquente, insomma.

Il Pubblico Ministero, pur chiedendo la concessione delle attenuanti generiche per la 'grande massa di persone - e tra loro i tre imputati - che moltiplicavano al massimo la condotta di massa, ha comunque sottolineato che 'nell'uso della bandieriuola di plastica morbida dell'attivista aquilano non possiamo non vedere una condotta in qualche modo violenta". E, per questo, ha chiesto per i 3 imputati una pena di 15giorni, 6mesi e 9mesi di reclusione. 

Il giudice, però, non ha accolto la richiesta. Assolti tutti e tre gli imputati, perché il fatto non sussiste. Si chiude, così, l'ennesimo processo 'farsa' alle giuste mobilitazioni dei cittadini aquilani. Sperando che anche gli altri procedimenti, molto presto, si trasformino in un lontano ricordo. 

Intanto, alle porte del Tribnale di Roma, il comitato 3e32 sta festeggiando l'assoluzione dei tre imputati.

3e32

Ultima modifica il Martedì, 10 Dicembre 2013 12:12

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