"Mancano elementi per sostenere l’accusa in un processo".
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale dell'Aquila Mario Cervellino, su richiesta del pm Fabio Picuti subentrato ad Antonietta Picardi, trasferita per suo istanza presso la Procura generale di Cassazione, che aveva formulato le accuse, ha mandato in archivio l’inchiesta su presunti favoritismi nell'appalto da circa 13 milioni di euro per il restauro del prestigioso Palazzo Centi, fino al 2009 sede della Giunta regionale nel centro storico del capoluogo.
Le indagini che hanno coinvolto il senatore del Pd Luciano D'Alfonso, all'epoca dei fatti governatore di Regione Abruzzo, vedeva indagate altre 15 persone nell'ambito del principale filone della maxi inchiesta su presunte mazzette negli appalti gestiti dall'Ente. Sono stati tutti scagionati: oltre a D'Alfonso, l'ex capo della segreteria Claudio Ruffini, l'ex dirigente della Soprintendenza Berardino Di Vincenzo e suo figlio Giancarlo, architetto come il padre, i costruttori Giancarlo Di Persio e Mauro Pellegrini, titolari dell'impresa Dipe, conviolta anche in altre inchieste, i componenti della commissione aggiudicatrice, il dirigente regionale Giancarlo Misantoni, l'architetto Roberto Guetti e l'ingegnere Silverio Salvi, entrambi dipendenti regionali, il funzionario della Regione Carlo Giovani, il tecnico Carlo Ciabattoni, l'imprenditore Eugenio Rosa, amministratore delegato di Iciet Engineering di Castelli (Teramo), azienda che si è classificata terza e sulla quale c’erano i dubbi di favoritismi, il costruttore teramano Sabatino Cantagalli, il funzionario della Soprintendenza Roberto Orsatti, e i tecnici Alessandro Pompa e Gianluca Marcantonio su cui, però, pende ancora l'accusa di turbativa d'asta per la quale il pm ha chiesto il rinvio a giudizio.
Le indagini erano state condotte dai carabinieri del Noe. "Per quanto riguarda D'Alfonso e Ruffini", si legge nel decreto di archiviazione del gip, "va segnalata l'assenza di condotte rilevanti con riferimento alla gara d'appalto. Dal contenuto delle telefonate intercettate emergono attività lecite integranti l'esercizio dell'attività amministrativa e doverosa sorveglianza, mancando in modo assoluto pressioni illecite. Non sono emersi contatti tra i due indagati e le imprese partecipanti alla gara nonché i progettisti dell'opera. Le telefonate oggetto di captazione non forniscono prova di alcuna attività criminosa".