Venerdì, 08 Febbraio 2019 09:11

Call center, l'appello dei Socialisti e Popolari L'Aquila: "Maggiore impegno da parte delle istituzioni"

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"Il settore dei call center, che a L'Aquila occupa quasi 1800 lavoratori, torna a far parlare di se. E' triste, se permettete, che torni nell'occhio del ciclone soltanto alle porte delle imminenti elezioni Regionali.  Molto è stato detto, troppo è stato promesso ma veramente poco, se non addirittura nulla, è stato fatto dalle istituzioni locali e da chi, a livello regionale, avrebbo potuto almeno far finta di interessarsi alle sorti di questi lavoratori".

Lo scrivono, in una nota, Gianni Padovani e Francesca Fantasia rispettivamente coordinatore e responsabile dello sviluppo del territorio dei Socialisti e Popolari per L’Aquila.  

"A poco e nulla è servito anche l'incontro presso il Ministero dello Sviluppo dell scorso 17 gennaio nel quale si parla già di settore in crisi senza andare a concentrarsi sull'unica vera soluzione al problema in questione: l'applicazione della clausola sociale approvata a gennaio 2016. La stessa clausola che è stato finalmente chiarito che si applica a tutto il settore dei call center a prescindere dall'inquadramento contrattuale del lavoratore stesso, sia esso interinale, indeterminato, del settore delle telecomunicazioni o quello delle cooperative".

"La perdita del lavoro -spiegano- a volte è un problema marginale poiché il lavoratore può essere anche ripescato nelle liste dei disoccupati e richiamato in servizio, ma va da se che il datore di lavoro andrà a rivedere le condizioni di lavoro e contrattuali cercando di far pendere quanto più possibile l'ago della bilancia a proprio favore. Fino ad ora i lavoratori riassunti dalle aziende subentranti, in ogni passaggio di commessa avvenuta negli ultimi anni, hanno subito tagli stipendiali anche del 20 % e proposte di variazione della sede di lavoro che lí ha messi in condizione di rifiutare il nuovo contratto. Un netto peggioramento, quindi, della condizione lavorativa".

"Immaginate tutto questo in una città già ferita ed in lenta ripresa come la nostra. Immaginate questa sorte per 1800 persone. I tempi in cui il lavoratore del call center era una ragazzino che si manteneva gli studi è ormai lontano. Nei call center dell'Aquila lavorano persone di ogni fascia di età, dai 18 anni in su. Uomi e donne più o meno giovani, molti dei quali padri e madri di famiglia. Padri e madri della stessa famiglia. Se si fa una rapida indagine è facile scoprire che almeno 2 persone su 3 lavorano in un call center. E' quasi scontato dedurre quello che vorrebbe significare se piano piano la delocalizzazione portasse fuori dalla città questo settore occupazionale".

"E' quello che si sta rischiando in questi giorni nel call center al centro della città C2C -evidenziano Padovani e Fantasia- già in crisi nel 2015. 28 sono, fino ad ora, le persone che hanno perso il lavoro nelle scorse settimane, tutti lavoraori interinali che hanno avuto il numero massimo di rinnovi contrattuali nel corso dell'ultimo anno e mezzo. Ciò che che accade in silenzio non è solo il licenziamento di 28 lavoratori ma anche una delocalizzazione del lavoro stesso che viene dirottato verso altre sedi che invece andranno ad affidare ai proprio addetti il lavoro svolto in precedenza a L'Aquila. Il passaggio di azienda è passato del tutto inosservato e non è stato preannunciato ai sindacati con i sessanta giorni di anticipo necessari. Nella stessa azienda si cerca inoltre di sovraccaricare i lavoratori restanti per poter comunque rispettare le performance richieste".

"Situazione analoga -aggiungono- è quella del call center Ecare che ha subito il passaggio marginale di una parte delle commesse come quella di Acea che potrebbe richiedere una delocalizzazione nella sede romana. E' di ieri la comunicazione della salvezza di queste altre 34 persone che resteranno sul suolo aquilano. Con una corretta applicazione della clausa sociale si andrebbe a risolvere anche il problema della territorialità imponendo motivi oggettivamente validi per il trasferimento dei lavoratori da una sede all'altra".

"Più in ritardo di tutti si sta cercando di concludere la vertenza INPS -proseguono- con la verifica delle tre offerte anomale per l'aggiudicazione della gara stessa. Il call center INPS, nelle sedi di Transcom e del Consorzio Lavorabile vede impiegate oltre 500 persone che rischiano di andare a casa entro giugno 2019. La corretta risoluzione della gara INPS andrebbe a creare un vero e proprio precedente. E' infatti l'INPS insieme alla Direzione territoriale del Lavoro ad occuparsi dei controlli da fare nei call center e nelle aziende in questione. La corretta applicazione della clausola sociale nell'aggiudicazione della gara per il call center INPS andrebbe a vincolare la corretta applicazione anche alle altre commesse e agli altri lavoratori".

"Ad oggi questo non è un settore irrimediabilmente in crisi, è un settore in continuo sviluppo e va chiarito in assoluto come deve essere applicata la clausola sociale così da tutelare i numerosi addetti. In Italia si permette troppo spesso di penalizzare le aziende più serie a favore di aziende, anche estere, che riducono il costo della commessa cercando di rifarsi sulla condizione contrattuale dei lavoratori".

"Tutto questo è successo sotto gli occhi di un troppo assente ed inerme Presidente della Regione Abruzzo, Luciano D'Alfonso -l'affondo- che non ha neanche finto di interessarsi a quanto stesse accadendo nel corso degli ultimi anni. Anni in cui non è pervenuta neanche una finta promessa a sinonimo di interesse verso la vicenda".

"E' da augurarsi un cambiamento radicale di gestione e di predisposizione allo svolgimento di tale mansione, diciamo una sorta di volontà che è stata latitante ed ha caratterizzato il modus operandi dell'ultimo Governatore abruzzese -sottolineano ancora- L'unico auspicio da farsi proprio a ridosso delle imminenti elezioni per il nuovo Presidente della Giunta regionale, è che questi, chiunque esso sia, rappresenti appieno tutti gli elettori e che rivolga una vera attenzione verso le sorti di lavoratori che rischiano -concludono- di restare senza o con un lavoro che non degno di essere chiamato tale. 

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