In attesa che vengano proclamati ufficialmente i consiglieri regionali eletti e che si conosca la composizione definitiva della nuova assemblea, abbiamo posto alcune domande riguardanti la legge elettorale con cui gli abruzzesi hanno votato il 10 febbraio a Sabrina Altamura, avvocato e dottore di ricerca in diritto pubblico all’Università dell’Aquila, che sull'argomento ha scritto un saggio, La legge elettorale della Regione Abruzzo, in cui viene affermato, tra l'altro, che, così com'è stata pensata, scritta, votata una prima volta e emendata, la legge elettorale abruzzese non riesce ad assicurare quel binomio rappresentatività/governabilità che ogni legge in materia elettorale dovrebbe cercare di garantire.
Il neo eletto presidente Marco Marsilio non ha mai parlato finora, né in campagna elettorale né nelle sue prime dichiarazioni da governatore, della volontà del centrodestra di rimettere mano alla legge elettorale, come invece fece Lucianio D'Alfonso nel 2014, senza peraltro dar seguito ai suoi impegni.
Tuttavia, forse è il caso che il futuro consiglio pensi davvero alla possibilità di apportare dei correttivi al testo attualmente in vigore, per correggere alcune evidenti anomalie, come quella a causa della quale la coalizione perdente può prendere meno consiglieri di una lista, pur ottenendo molti più voti.
Avvocato, partiamo proprio da quest'ultimo punto e da una domanda che si sono fatti in molti subito dopo la fine dello spoglio e la comunicazione dei risultati: perché ai Cinque Stelle spettano sette seggi mentre al centrosinistra solo 5, nonostante i primi abbiano preso meno voti rispetto alla coalizione di Legnini? Come si spiega questa ripartizione?
Al fine di comprendere il meccanismo delineato dall’attuale Legge elettorale regionale rispetto all’assegnazione dei seggi, è necessario soffermarsi sul numero delle preferenze riportate dai singoli partiti. E così, considerato che il Movimento 5 Stelle ha partecipato alla competizione elettorale come lista unica mentre il Centrosinistra in “formato” coalizione, avendo il primo ottenuto un maggior numero di preferenze rispetto a quelle espresse in favore del partito più votato della coalizione di Centrosinistra, ovverosia il Partito democratico, il numero dei seggi attribuito al Movimento non può che essere superiore rispetto a quello spettante al Centrosinistra.
Legnini ha detto che questa parte della legge va interpretata perché è "poco chiara sul punto". Secondo lei ci sono margini di interpretazione oppure la norma è chiara?
Mi sento di dire che la Legge regionale sullo specifico punto è chiara, presentando comunque non poche criticità guardando ad essa in un’ottica complessiva, soprattutto con riferimento al profilo alla garanzia della rappresentatività della volontà popolare.
Lei aveva scritto qualche tempo fa: "La previsione per cui ad ogni lista che raggiunge il 2% viene garantito almeno un seggio, unitamente al vincolo della ripartizione dei seggi su base provinciale, potrebbe determinare l’ingresso in Consiglio da parte di un candidato che abbia raccolto un minor consenso popolare rispetto a chi, pur avendo ottenuto un maggior apprezzamento elettorale, abbia concorso all’interno di una lista relativa ad una circoscrizione nella cui provincia non sia, però, più disponibile alcun seggio". Non è proprio quel che è accaduto? Pietrucci, nella provincia dell'Aquila, non entra pur avendo preso più voti dei Cinque Stelle Smargiassi e Taglieri Sclocchi, che correvano nella provincia di Chieti, alla quale spettano 8 seggi.
In merito alla ripartizione dei seggi, il sistema delineato dall’attuale Legge elettorale prevede il criterio della percentuale della popolazione presente nelle circoscrizioni su base provinciale in cui è diviso il territorio abruzzese; e così, dei 31 seggi previsti, esclusi il Presidente eletto ed il miglior perdente tra i candidati alla presidenza, l’attribuzione dei seggi avviene assegnando 8 consiglieri alla Provincia di Chieti, 7 alla Provincia di Pescara, 7 alla Provincia di L’Aquila e 7 alla Provincia di Teramo. Il criterio geografico deve essere letto in una con la percentuale di preferenze ottenuta dal partito nell’ambito della circoscrizione territoriale di riferimento. E, quindi, considerato quanto già detto, stando ai risultati indicati dalla fonte ministeriale, il numero di preferenze espresse in favore dei candidati nella lista PD è risultato inferiore in Provincia di L’Aquila rispetto alle altre circoscrizioni territoriali (Pescara 13,03%; Chieti, 11,85%; Teramo, 10,64%; L’Aquila, 8,80%). Questo è il dato di cui si deve tenere conto nel momento in cui si procede alla attribuzione dei seggi, a prescindere quindi dal numero delle preferenze ottenute dal singolo candidato che concorre nella lista circoscrizionale presa a riferimento.
Questa legge, quando fu votata, doveva cercare di garantire rappresentatività e governabilità. Lei però ha osservato che non riesce a fare né l'una né l'altra cosa. Perché?
La normativa elettorale oggi vigente, nonostante fosse accompagnata dall’ambizione di superare le criticità del sistema precedente, si ritiene comunque non corrispondente appieno a quelle che sono le esigenze proprie degli elettori e degli eletti. La disciplina che detta le regole per l’elezione dei Consiglieri regionali e del Presidente della Giunta dovrebbe, infatti, quanto più possibile, tendere alla ricerca, non sempre così agevole, di un equilibrio tra rappresentatività e governabilità. Certamente, l’eliminazione del meccanismo del “listino” risponde alla necessità di garantire che tutti i componenti del Consiglio regionale siano votati dai cittadini e, per questo, almeno in linea teorica, dovrebbe il testo normativo rappresentare maggiormente la volontà popolare e, quindi, garantire il principio democratico. Al contempo, la previsione della soglia di sbarramento consente all’Assemblea di avere al proprio interno una maggioranza stabile ed evita in tal modo che vi sia un’eccessiva frammentazione politica consentendo l’accesso in Consiglio soltanto a quelle formazioni che abbiano raggiunto un determinato consenso elettorale. Tuttavia, l’inserimento di tali previsioni non risulta sufficiente a garantire il necessario equilibrio tra le due differenti esigenze. Infatti, ad esempio, l’abolizione del listino, nota certamente di segno positivo, risulta poi vanificata dalla contestuale mancata possibilità di procedere con il voto disgiunto.
Quest'anno si è votato per la prima volta con la doppia preferenza di genere. Nonostante questa misura e malgrado le liste, per legge, dovessero essere composte al 40% da candidate donne, nel nuovo consiglio entreranno solo 5 donne su 31 componenti. Meglio della legislatura che si è appena chiusa, quando erano solo due, ma si tratta comunque di un passo avanti troppo timido. Cosa si potrebbe e dovrebbe fare, secondo lei, per aumentare la presenza delle donne in consiglio?
Tra le note positive che caratterizzano la normativa elettorale viene senz’altro annoverata l’introduzione, rispetto alla legge precedente, di una rappresentanza di genere garantita attraverso la previsione secondo cui il 40% dei candidati presenti nelle liste deve essere di genere diverso. Questo elemento non incontra, modestamente, il mio favore; da elettore, ricerco la competenza e la professionalità in coloro che scelgono, spero sempre consapevolmente e responsabilmente, di candidarsi per rappresentare e governare il nostro territorio con tutto ciò che ne consegue, soprattutto in termini di impegno. Gli uomini e le donne dovrebbero poter rivestire cariche politiche di così importante rilievo in quanto scelti dagli elettori a prescindere da quote loro riservate a priori relativamente al genere di appartenenza. In ogni caso, tale previsione normativa garantisce esclusivamente la partecipazione di candidati di genere diverso alla competizione elettorale, ma non una loro effettiva presenza in Consiglio.
Si ringrazia per la collaborazione Giorgia Trinti, avvocato e dottore di ricerca in giurisprudenza.