E' la fine di novembre del 2013. Con il voto di fiducia dell'Assemblea del Senato, viene approvato il maxi emendamento alla Legge di stabilità, con un pacchetto di misure per la ricostruzione post terremoto che recepisce alcune modifiche firmate da Stefania Pezzopane. Vengono sbloccati, tra l'altro, i 3milioni di euro destinati alla realizzazione del Centro antiviolenza dell'Aquila, tolti alla Regione inadempiente e assegnati alla Provincia, scelta come stazione appaltante per dar vita al Centro d'intesa con il Comune che ha già individuato lo stabile.
I fondi previsti con il decreto 39 del 2009 per il ripristino delle attività dell’unico centro antiviolenza presente nel cratere prima del sisma non erano mai stati utilizzati. Uno scippo perpetrato ai danni delle donne. Erano finiti tra le mani di Letizia Marinelli, consigliera alle pari opportunità della Regione Abruzzo, al centro dello scandalo rimborsopoli che ha travolto Gianni Chiodi. Non aveva alcun titolo per gestirli. A scriverlo, stamane, 'La Repubblica' e 'Il Fatto Quotidiano'. Una vicenda che avevamo raccontato su NewsTown qualche mese fa, sfogliando un interessante dossier di ActionAid: "Un euro per i tuoi pensieri: dove sono finiti i soldi per le donne dell'Aquila?".
La storia di un decreto controverso
A leggere il decreto 39 del 2009, era difficile capire a chi fossero destinati i 3milioni di euro stanziati: l’articolo 10, al comma 5, prevedeva infatti che per “favorire la ripresa delle attività dei centri di accoglienza, di ascolto e di aiuto delle donne e delle madri in situazioni di difficoltà, ivi comprese quelle derivanti dagli effetti degli eventi sismici, era autorizzata la spesa di 3 milioni di euro, per l’anno 2009, a sostegno degli oneri di ricostruzione o di restauro di immobili a tale scopo destinati”. Ci si riferiva genericamente a centri di accoglienza, ascolto e aiuto per donne e madri in difficoltà.
L’anno seguente, all’interno del "Piano Nazionale contro la violenza e lo stalking", approvato dal Governo nell’ottobre 2010, la questione viene chiarita: per i “Centri antiviolenza e servizi di assistenza, sostegno, protezione e reinserimento delle vittime”, prevede “il sostegno ai Comuni interessati da eventi sismici per la ripresa delle attività, la ricostruzione e il restauro degli immobili adibiti a fornire aiuto alle donne dell’Abruzzo”. E’ chiaro come i beneficiari dei fondi fossero i centri antiviolenza. Risorse assolutamente sufficienti a permettere di riavviare i servizi operativi prima del terremoto e, dunque, a raggiungere l’obiettivo inserito nel decreto 39, vale a dire quello di ricostruire e assicurare il ripristino delle attività preesistenti al terremoto. Se solo fossero stati erogati.
Vige lo stato di emergenza: i fondi prendono altre strade
L’8 novembre 2011 viene emanata l’ordinanza 3978 del Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi: l’articolo 10 dirotta metà dei 3 milioni di euro “alla diocesi de L’Aquila e alle altre diocesi abruzzesi” mentre l’altra metà viene affidata alla consigliera di parità della Regione Abruzzo, Letizia Marinelli, che propone la realizzazione di una casa-rifugio per donne vittime di violenza e di un centro poliedrico per “persone che vivono in condizioni di disagio”. Progetti che non saranno mai realizzati.
Si legge all'articolo 10: “Il commissario delegato (Chiodi, ndr) provvede a realizzare un centro poliedrico per le donne… avvalendosi della consigliera di parità dell’Abruzzo come soggetto attuatore… nel limite massimo di 1,5 milioni di euro”. E il soggetto attuatore è responsabile della spesa. L’ordinanza fa riferimento specifico alla destinazione dei fondi per la ripresa delle attività di sostegno alle donne e madri in difficoltà, “con particolare riguardo alle situazioni di oppressione, violenza e discriminazione lesive della condizione femminile e in contrasto con i diritti umani fondamentali". Si esplicita che il Commissario delegato “provvede alla ristrutturazione di edifici colpiti dal sisma già utilizzati quali centri antiviolenza e di lotta all’emarginazione, nonché per la realizzazione di nuove strutture”. Il decreto 39, però, non prevedeva affatto la costruzione di nuovi edifici.
Non solo. L'ordinanza stabilisce che “agli oneri derivanti dall’attuazione del presente articolo, pari a 3 milioni di euro, si provvede a valere sulle risorse di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge n. 39 del 2009, che verranno trasferite sulla contabilità speciale del Commissario delegato”, da cui si deduce che le risorse non sono ancora state trasferite. In effetti, al mese di marzo 2012, i fondi non risultavano ancora trasferiti dal Governo al Commissario delegato per la ricostruzione, il presidente della Regione Abruzzo Gianni Chiodi.
L’intervento del Commissario
Qualche mese dopo, il 14 agosto 2012, il presidente della Regione, nel rispetto dell’ordinanza governativa, emana il decreto n. 134 per versare i fondi all’Arcidiocesi de L’Aquila: in ballo c'è il progetto Samaria per la realizzazione di un centro antiviolenza e di aggregazione. L’azione del Presidente risponde a un’ordinanza governativa, in ragione della carica di Commissario delegato. Un corto circuito.
C’è da aspettare, però, il vaglio della Corte dei Conti. E la Corte dei conti, il 17 settembre 2012, blocca l’assegnazione dei fondi poiché il progetto prevede l’acquisto di un immobile situato a L’Aquila e il completamento di un immobile a Pescara - quindi fuori cratere - di proprietà della fondazione Abruzzo-Pescara. La spesa prevista per l’acquisto e il completamento di immobili è di circa 956mila euro, su un totale di 1,5 milioni di euro stanziati. Secondo la Corte dei Conti non solo questi costi ridurrebbero drasticamente le risorse destinate all’erogazione dei servizi, ma “l’acquisizione di un immobile di proprietà, ovvero la realizzazione di consistenti interventi di ristrutturazione, non può ritenersi coerente con la ratio sottesa al finanziamento pubblico”.
Il progetto viene bocciato. Decade, così, l’intero decreto del Commissario Chiodi, anche l’assegnazione dei fondi alla Consigliera di Parità, che non ne poteva più disporre. L'assegnazione dei fondi - pari ad un milione e mezzo di euro - resta però a Letizia Marinelli, come si legge nel dossier - datato 15 settembre - che viene consegnato al ministero della Coesione quando termina la gestione del commissario Chiodi. A pagina 28: “Centro poliedrico per le donne, 1,5 milioni, soggetto attuatore: consigliera regionale di Parità”. Finché, pochi mesi fa, la senatrice Stefania Pezzopane non recupera i fondi nel maxiemendamento alla Legge di stabilità. Sbloccando una situazione oramai paradossale.
Un tentativo di scippo alle donne aquilane
Dunque, la decisione del Governo e della Regione di attribuire la metà dei fondi all’Arcidiocesi, di fatto, ha privato i centri antiviolenza già presenti sul territorio delle risorse necessarie per la ricostruzione e il riavvio delle attività così come previsto dal decreto 39/2009. L’ordinanza del Governo e il decreto regionale non hanno tenuto in alcun conto delle strutture esistenti nell’area del cratere, riconosciute all’interno del suo stesso database come centri e servizi antiviolenza. I fondi per la ricostruzione, se in principio dovevano servire alla ripresa di attività in essere, di fatto per i ritardi nell’erogazione e impropri tentativi di attribuzione, hanno rischiato di essere un ulteriore ostacolo alla ripresa e sostenibilità di servizi a favore della collettività. Resta, inoltre, l'inadempienza della consigliera alle pari opportunità, Letizia Marinelli, che in due anni non è riuscita a spendere i soldi che le erano stati affidati per le donne del cratere. Parliamo di un milione e mezzo di euro. Soldi affidati dal presidente della Regione, Gianni Chiodi, con cui la consigliera aveva intrattenuto una relazione. Nulla di illegale, per carità.
Pezzopane: "Adesso Chiodi chiarisca l'assegnazione di quei fondi"
"Dalle recenti inchieste giudiziarie sul presidente della Regione Chiodi, sembra emergere un perverso intreccio tra sfera pubblica e privata", sottolinea la senatrice Stefania Pezzopane. "Non intendo entrare nel merito delle vicende personali. Mi interessa, tuttavia, comprendere i motivi, mai chiariti, per cui Chiodi ha deciso di destinare i fondi per i centri antiviolenza alla Consigliera di Parità e alla Caritas. Due scelte rivelatesi inopportune e illegittime, di cui il Presidente non ha mai dato una spiegazione sensata".
Spiega Pezzopane: "Sono anni che denuncio la gravità e la scelleratezza di alcune scelte. Sui fondi per i centri antiviolenza, i fondi ex Carfagna, ci fu un’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, firmata da Silvio Berlusconi e ispirata evidentemente da Gianni Chiodi, a cui ha fatto seguito un decreto dello stesso Commissario per la ricostruzione, che assegnava i tre milioni per i centri antiviolenza, in parte alle Caritas d’Abruzzo e in parte alla Consigliera di Parità, senza che nessuno dei due fossero o potessero essere soggetti attuatori. Una scelta gravissima, su cui ho chiesto più volte chiarimenti e spiegazioni. Senza avere mai risposte. Sull’argomento sono state presentate ben due interrogazioni parlamentari, una a firma di Giovanni Lolli e Paola Concia, nella precedente Legislatura, una a firma mia in questa Legislatura".
Poi, la senatrice ricorda la sentenza della Corte dei Conti, che da una parte ha bocciato la scelta del Commissario Chiodi di assegnare i fondi alle Caritas abruzzesi, con la motivazione che si sarebbero attribuiti soldi pubblici a enti privati, dall’altra ha fatto decadere l’intero decreto del Commissario Chiodi, dunque anche l’assegnazione dei fondi alla Consigliera di Parità, che non ne poteva più disporre. "Da quella sentenza sono trascorsi altri due anni, ma il Presidente della Regione non ha rivisto le sue scelte, anzi è andato avanti con pervicacia ed ostinazione, ostacolando così la possibilità di realizzare il centro antiviolenza. Il mese scorso è passato al Senato un mio emendamento che ha destinato i fondi alla Provincia dell’Aquila, in collaborazione con il Comune, con cui possiamo recuperare il tempo perso. Tuttavia, il danno nei confronti delle tante donne che si sono mobilitate per il centro antiviolenza è grave e sarebbe ancora più pesante se dietro ai ritardi e alle inadempienze per realizzare una struttura destinata alle donne e alle politiche di genere, ci fossero retroscena piccanti, che nulla hanno a che fare con le scelte politiche".