Mercoledì, 01 Maggio 2019 00:05

Altro che Festa del Lavoro: in provincia dell'Aquila -10mila occupati in 10 anni

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Festa mesta.

Si potrebbe usare il titolo di una vecchia canzone dei Marlene Kuntz per raccontare il Primo Maggio che si appresta a vivere L'Aquila e la sua provincia.

Altro che Festa del Lavoro. C'è davvero poco da celebrare.

Rispetto a 10 anni fa, nel nostro territorio ci sono 10mila occupati in meno, aumentano le ore di cassa integrazione e il ricorso agli ammortizzatori sociali e i pochi posti che vengono creati sono a tempo determinato. Nemmeno la ricostruzione post-terremoto ha generato quell'effetto leva che molti si aspettavano.

"Secondo i dati Istat" racconta il dossier che la Cgil ha presentato in occasione del decennale "stimiamo che il nostro territorio ha perso a partire dal 2007 circa 10.000 occupati (al 2018 risultavano circa 114.000 lavoratori), con un recupero parziale ma ancora lontano da un’effettiva ripresa occupazionale. Numeri che evidenziano il permanere di una profonda crisi del lavoro nei territori colpiti dall’evento sismico".

"Per l’intero 2018" spiega il sindacato "sono state utilizzate 2.010.827 ore di cassa integrazione, contro 1.309.946 ore del 2017, con un incremento di 700.881 ore. In termini di beneficiari, poi, si passa da 631 a 969 unità lavorative".

Quella dell'Aquila, dice il rapporto, è la provincia abruzzese più in difficoltà: "Mentre le altre vedono un calo significativo dell’utilizzo delle ore di cassa integrazione, la nostra provincia tra il 2017 e il 2018 ha visto un aumento del 53,5%. Un ulteriore allarme è riferito all’utilizzo della tipologia di ammortizzatore sociale: nel settore industriale, infatti, la cassa integrazione straordinaria passa da 592.958 ore del 2017 a 1.554.311 ore dell’anno scorso, con un incremento annuale del 162,13%. Questo strumento di gestione della crisi, inoltre, potrebbe sfociare in eventuali licenziamenti in caso di mancata ripresa dell’attività lavorativa ordinaria. Ad aggravare la situazione economica provinciale sono i dati relativi alle richieste di disoccupazione nelle varie forme previste (ASPI-Mini ASPI-NASPI-DISCOLL), che passano dai 5.061 beneficiari del 2017 ai 7.125 del 2018: +2.064 domande di disoccupazione, con un incremento del 40,78%".

Le cose non vanno meglio nemmeno se si restringe il focus dalla provincia all'Aquila città, dove, teoricamente, la ricostruzione avrebbe dovuto fare da volano per la ripresa economica. E' assurdo ma nel cosiddetto "più grande cantiere d'Europa" uno dei settori più in difficoltà è proprio quello dell'edilizia.

"Elaborando i dati forniti dagli Uffici speciali e dalla Cassa edile, la Cgil ha registrato "un significativo rallentamento nella capacità di spesa e di conseguenza del numero degli addetti nei cantieri, con una riduzione che supera il 20% delle maestranze (da circa 10.000 addetti siamo scesi oggi a 8.000) e conseguentemente da una massa salari di circa 82 milioni siamo passati a circa 70 milioni (ottobre 2017-settembre 2018); dunque, l’economia del territorio ha perso 12 milioni di denaro circolante. Si stima inoltre che il numero medio mensile di lavoratori per impresa è di 5 addetti, e che ogni cantiere occupa in media 4,4 unità lavorative".

"Nella ricostruzione post-sisma 2009 il rapporto tra il costo del lavoro e l’importo complessivo dei lavori finanziati per quell’intervento è pari al 13,2 %, mentre tale percentuale media dovrebbe attestarsi al 15% secondo gli indici di congruità convenzionali della manodopera, come è previsto oggi per il cratere del sisma Centro Italia. Per questa ragione continuiamo a chiedere la reintroduzione del DURC per congruità, per poter verificare cantiere per cantiere l’indice di congruità per la manodopera, ovvero il numero di operai necessari nel cantiere in base all’importo dei lavori, uno strumento utile e necessario per contrastare il fenomeno del dumping contrattuale e del lavoro nero".

"Se nella prima fase la ricostruzione privata ha visto un’accelerazione, con una capacità di spesa che ha superato il miliardo l’anno (l’importo richiesto fu di 10.851.378.878 euro, finanziato per 7.561.706.141 euro, mentre oggi ne sono stati erogati 5.584.986.452), negli ultimi anni al contrario - e in particolare dal 2017 in poi - si è registrato un pericoloso e significativo rallentamento della capacità di spesa. Se infatti per il 2012 risultavano finanziati importi per 1.314.622.979 euro, nel 2018 si passati ad un importo finanziato di appena 250.432.832 euro".

"Peggio ancora va per la ricostruzione pubblica, che a dieci anni dal sisma ancora sconta tutte le criticità che hanno impedito l’apertura dei cantieri. Gli interventi pubblici portati a compimento sono infatti appena 358 rispetto ai 1.038 quantificati dopo il terremoto, per una richiesta di spesa pari 1.345.150.120 euro, di cui finanziati 1.286.707.420 euro ed erogati 462.658.530. Con un dato ancora peggiore per quel che riguarda le scuole, dove sono stati portati a conclusione soltanto 53 dei 142 interventi previsti".

"Vanno sottolineate" continua il rapporto "le problematiche dei dipendenti pubblici impegnati nella filiera della ricostruzione e le necessarie e complessive soluzioni normative e finanziarie per questo personale, anche al fine di scongiurare un ulteriore inesorabile esodo; interventi che devono superare le disuguaglianze e le criticità generate in questi anni, armonizzando le leggi e i provvedimenti emergenziali finalizzati alle assunzioni del personale nelle diverse tipologie contrattuali con le attuali previsioni normative per rendere stabile il lavoro dopo dieci anni di precariato e portare all’ordinarietà contrattuale centinaia di lavoratori impegnati quotidianamente in queste attività".

"Per parte nostra" afferma la Cgil "torniamo a ribadire che il terremoto ha interessato una parte rilevante delle aree interne dell’Abruzzo, zone già soggette a uno spopolamento dovuto a carenza di servizi sanitari, infrastrutture, trasporti, scuole e lavoro. Basti pensare che nella sola Asl della provincia dell’Aquila mancano oltre 700 unità lavorative, con la conseguente riduzione dei servizi e liste di attesa sempre più lunghe che limitano il diritto costituzionale alla cura e alla salute".

All'Aquila ci sono decine di vertenze ancora aperte (basti pensare a quella che coinvolge i 70 lavoratori ex Intecs, ingiustamente licenziati, come ha stabilito anche il giudice del lavoro, un anno e mezzo fa e come se non bastasse privati, da una sentenza del Tar, anche della Naspi) e anche le aziende che sono riuscite a superare la crisi hanno dovuto pagare un prezzo salatissimo in termini di perdita di posti di lavoro: basti pensare alla Burgo, che ha riassunto poco più di 100 dipendenti contro gli oltre 200 del periodo pre-crisi, alla ex Otefal o anche alla Accord Phoenix, che avrebbe dovuto riassorbire gli oltre 100 dipendenti dell'ex polo elettronico mentre ad oggi ne ha ripresi "solo" una quarantina.

Ultima modifica il Mercoledì, 01 Maggio 2019 00:31

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