Si addensano nubi pesanti sul futuro di Accord Phoenix, la società operante nel settore del trattamento e smaltimento dei rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE) che si è insediata all'ex polo elettronico con un finanziamento pubblico di quasi 11milioni di euro, fondi provenienti dal 4% delle risorse per la ricostruzione destinate allo sviluppo economico, a fronte di un investimento privato indicato in 45 milioni, e che ha avviato le attività a regime nel febbraio dell'anno scorso.
In questi anni, l'esperienza di Accord Phoenix è stata segnata da diverse criticità che hanno messo in dubbio, sin dall'insediamento, la tenuta dell'azienda; inutile tornare con la memoria a ciò che è accaduto, su NewsTown ce ne siamo occupati diffusamente: dalle ombre sull'assetto societario al trust schermato a Cipro, dai dubbi sulla effettiva disponibilità economica dei soci alle perplessità sulla tenuta dell'azienda in un settore complesso, dai sigilli posti all'area produttiva per lo stoccaggio non autorizzato di rifiuti pericolosi fino allo scontro con Neon appalti che, nei mesi scorsi, aveva staccato l'energia elettrica perché la società non aveva pagato i servizi di housing.
Per non dire degli oltre 3 milioni di passivo a bilancio nel 2017.
Ora, però, i finanzieri del Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria della Guardia di Finanza dell’Aquila hanno dato esecuzione ad un sequestro preventivo per equivalente di quasi 5 milioni di euro, i fondi fin qui trasferiti da Invitalia, nei confronti della società e di tre persone - Francesco Baldarelli, Ravi Shankar e Luigi Ademo Pezzoni - accusate del reato di indebita percezione di contributi statali.
Che cosa sappiamo, fino ad ora? Sappiamo che il provvedimento di sequestro è giunto al termine di complesse indagini delegate dal Sostituto Procuratore della Repubblica dell’Aquila, David Mancini, finalizzate a riscontrare la sussistenza dei requisiti legittimanti l’accesso ai finanziamenti pubblici per il sostegno delle attività produttive e di ricerca, stanziati a seguito del sisma che ha colpito l’Abruzzo il 6 aprile 2009. Le indagini svolte dalle Fiamme Gialle hanno evidenziato che per l’acquisizione dei finanziamenti i responsabili della Accord Phoenix avevano falsamente attestato di possedere, tra l’altro, quei requisiti minimi di innovazione tecnologica e di durevole capacità economica previsti dal bando di Invitalia (l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa).
Stando alle autorità inquirenti, però, nessuno dei soggetti appartenenti alla società e coinvolti a vario titolo "aveva la previste ed indispensabili alte professionalità nel settore del riciclo dei rifiuti elettronici e come l’intera organizzazione dell’impianto fosse approssimativa ed improvvisata". In particolare, nonostante le attestazioni prodotte, l’analitica ricostruzione investigativa ha consentito di riscontrare che la Accord Phoenix non era in possesso del necessario "know how" nello specifico settore del trattamento dei rifiuti, carente di un’adeguata organizzazione e di macchinari ad alta innovazione tecnologica. A leggere uno dei passaggi del dispositivo firmato dal pm David Mancini, si evince come infrastrutture hardware e software fossero nient'affatto adatte e addirittura sovrastimate, "del valore accertato di 10 milioni di euro a fronte dei 19 milioni di euro indicati nel business plan".
L’impresa risultava inoltre inadempiente alle disposizioni di legge vigenti in materia di tutela e sicurezza del lavoro.
Non solo. La politica locale - è la tesi del pubblico ministero - sapeva delle presunte irregolarità della società sin dal 2016, ma preferì volgere lo sguardo dall'altra parte, facendo sì che l'azienda violasse "l'impegno all'assunzione dei cassaintegrati dell'ex polo elettronico", a vantaggio di "soggetti vicini ai vertici aziendali o ai politici locali, in ossequio a logiche clientelari".
Un passaggio durissimo.
Tali condotte, realizzando gli estremi del reato di indebita percezione di erogazione a danno dello Stato, hanno fatto scattare anche indagini di natura patrimoniale da parte dei finanzieri, tese alla ricostruzione e alla quantificazione dei beni e delle disponibilità finanziarie riconducibili agli indagati, portando, dunque, all’esecuzione del provvedimento di sequestro di conti correnti, partecipazioni societarie, immobili e macchinari nei confronti della società e dei tre responsabili individuati, per l’equivalente importo di 4.842.000 di euro, pari alla somma dei S.A.L. già percepiti da Invitalia.
Ed ora? Ed ora c'è forte preoccupazione per il destino dell'azienda e, in particolare, dei 49 lavoratori assunti da Accord Phoenix, soltanto una parte dei quali individuati nel bacino degli ex lavoratori dell'ex polo elettronico, sebbene fossero state assicurate, in principio, 120 assunzioni. D'altra parte, da qualche settimana si parlava insistentemente di una possibile cessione dell'azienda, con i sindacati che erano stati rassicurati dal direttore generale Francesco Baldarelli e dal presidente Piercarlo Valtorta che avevano parlato di tre manifestazioni d'interesse all'acquisizione.
Sta di fatto che Accord Phoenix attendeva gli ulteriori 6.5 milioni di euro da Invitalia, ultima tranche dei 10.7 riconosciuti a finanziamento del progetto, risorse necessarie per implementare il piano industriale che prevedeva la messa in funzione della lavorazione di cavi di rame che, si era detto, avrebbe permesso l'assunzione di ulteriori 25 unità di personale. Soldi che, a questo punto, potrebbero non arrivare mai. E c'è chi parla di un trasferimento all'estero dell'azienda.
E' certo che nei prossimi giorni emergeranno altri particolari e non si può affatto escludere che la lista degli indagati possa allungarsi.