Disastro ambientale e avvelenamento delle acque destinate al consumo umano. Con questi pesantissimi capi d'accusa, nell'aprile del 2013, il gup del Tribunale di Pescara ha rinviato a giudizio diciannove persone. Si tratta degli ex amministratori della Montedison, società che è stata proprietaria del polo industriale di Bussi dove, nel 2007, il Corpo Forestale dello Stato ha scoperto una megadiscarica di rifiuti tossici. La più grande d'Italia, se non d'Europa.
Nel terreno, sono state intombate sostanze altamente tossiche per quasi 250.000 tonnellate. Una quantità immensa di veleni che - stando agli inquirenti - sono il risultato di decenni di sversamenti operati almeno fino agli anni '90. La falda aquifera - superficiale e profonda - è stata inquinata con sostanze tossiche e cancerogene, a livelli che superavano i limiti di legge di centinaia di migliaia di volte. Inoltre, nel terreno è stata riscontrata la presenza di diossina e contaminanti. Una vera e propria bomba ecologica. I veleni a ridosso del fiume Pescara, si scoprirà, avevano contaminato pesantemente anche l'acqua potabile distribuita ai Pescaresi e documenti confermano che gli enti pubblici sapevano ma hanno taciuto.
Il processo è in Corte d'Assise a Chieti. I legali della Montedison hanno presentato ieri istanza di ricusazione del presidente del Tribunale, Geremia Spiniello. Il magistrato - stando al collegio degli avvocati della società - a margine dell'udienza del 9 febbraio, nel corso della quale aveva accettato il rito abbreviato in modo da impedire la prescrizione dei reati, avrebbe dichiarato alla stampa: "Faremo giustizia per il territorio". E i legali della Montedison sono convinti che la dichiarazione di Spiniello farebbe supporre una volontà precostituita di colpevolezza. Di qui, l'istanza di ricusazione.
Un nuovo sequestro
Sono passati sette anni dalla scoperta della Forestale che ha portato al processo di questi giorni in Corte d'Assise. E il 5 febbraio scorso, i militari della Stazione Navale appartenenti al Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Pescara, e del Corpo Forestale dello Stato di Pescara e Tocco da Casauria, hanno sequestrato di nuovo le discariche a nord del sito industriale di Bussi perché permane il pericolo per l'ambiente e la salute pubblica. La Solvay - società che è subentrata alla Montedison - non avrebbe posto in essere opere idonee ad impedire ai veleni la contaminazione del terreno e delle falde acquifere. In sostanza, vi sarebbe stata una pericolosa inerzia, nonostante le pressioni del Ministero dell'Ambiente affinché venisse effettuta la messa in sicurezza e la bonifica del sito.
I terreni interessati dal provvedimento hanno un’estensione di circa 55mila mq. Si tratta di una vasta area a due passi dal fiume Tirino dove insistono tre discariche di rifiuti pericolosi ubicate a monte del polo chimico di Bussi sul Tirino. "Dall'accertamento svolto dal Corpo forestale", si legge nel decreto di sequestro firmato dal gip Maria Michela Di Fine, "è emersa la mancata effettuazione di interventi di messa in sicurezza".
Come svelato da Alessandro Biancardi - direttore di Primadanoi.it - che da tempo denuncia la 'vergogna di Bussi', in realtà già nel 2005 il Ministero dell'Ambiente aveva avviato degli studi approfonditi dei luoghi e del livello di inquinamento della zona. Erano seguiti alcuni interventi di messa in sicurezza della falda superficiale, assolutamente "insufficienti" però ad impedire il versamento dei veleni nel fiume Pescara. In altre parole, il livello di inquinamento nel tempo non è affatto diminuito. Anzi.
E' stato un geologo dell'Arta a denunciare alla Finanza l'insufficienza del sistema di barriere idrauliche adottate dalla Solvay, rivelando i monitoraggi dei veleni con superamenti rispetto ai limiti imposti dalla legge e spiegando che è stata la stessa società - nell'aprile 2013 - a presentare al Ministero una proposta per l'ottimizzazione del progetto.
Dunque, si legge nel decreto di sequestro, pur a fronte "delle corpose iniziative anche recenti poste in essere dalla Solvay, l'attività investigativa ha evidenziato l'inadeguatezza delle politiche aziendali di messa in sicurezza, soprattutto quelle riguardanti le aree ubicate a nord dello stabilimento ove insistono le discariche di tipo 2A e 2B risultando totalmente omesse iniziative di messa in sicurezza e di bonifica nonostante le reiterate sollecitazioni provenienti dal ministero".
"La grave situazione ambientale da ultimo acclarata", scrive il gip Di Fine, "può dunque essere ricondotta nei termini contestati nei capi d'imputazione anche agli indagati che attraverso le condotte omissive hanno fornito un ulteriore apporto di inquinamento e di contaminazione oltre la soglia di rischio consentito su area già irrimediabilmente compromessa. Tale situazione evidenzia, dunque, la sussistenza del periculum in mora posto che il perdurare dell'inerzia della Solvay evidenzia la concreta possibilità di protrazione delle condotte di reato ed aggravamento delle conseguenze dannose".
Gli indagati
L’indagine è coordinata dai pm Giuseppe Bellelli e Annarita Mantini. Gli indagati sono Bruno Aglietti, rappresentante legale e amministratore delegato della Solvay Chimica Bussi spa dal 4 agosto 2009; Stefano Spezzaferro, amministratore delegato di Solvay Chimica Bussi spa fino al 4 agosto 2009; Kristian Thomas Domicic Sanksida, amministratore della Solvay Specialty Polimers Italy spa dal 1 gennaio 2013; Marco Martinelli, già amministratore della Solvay Specialty Polimers Itali per il 2012; Augusto Di Donfrancesco amministratore dal 2011 al 2012; Jacques Francois Joris Pierre amministratore dal 2006 al 2011; Marco Francesco Colatarci presidente del Cda delle società Solvay dal 2005. Sono accusati di mancata messa in sicurezza, disastro ambientale continuato e inquinamento delle acque.
La società si è detta completamente estranea ai fatti imputati. "Come attuale proprietaria del sito - si legge in una nota - Solvay ha iniziato e sta implementando, in accordo con le autorità, un progetto di Messa in Sicurezza Permanente che è stato richiesto dal ministero dell'Ambiente. Alcune azioni sono già state intraprese, ed altre sono in fase di attuazione, con un progressivo miglioramento dell'impatto ambientale. Solvay non è minimamente responsabile dell'inquinamento pregresso, e da quando è partita l'emergenza ambientale nel 2007 nell'area di Bussi sul Tirino, ha da subito collaborato con gli Enti e le forze di investigazione". L'azienda ha poi ricordato come sia stata riconosciuta parte civile nel processo in corso presso la Corte di Assise di Chieti.
La reazione di comitati e associazioni
"A Bussi e in Val Pescara basta temporeggiare, serve avviare la bonifica senza se e senza ma", ha sottolineato invece il Forum Abruzzese dei Movimenti per l’Acqua. "Bastava leggere le carte depositate da anni presso il Ministero dell’Ambiente, l’ARTA e gli altri enti pubblici interessati per verificare che il sito, a ben 6 anni dalla perimetrazione come Sito di Interesse Nazionale per le Bonifiche (avvenuta nel 2008) e a 9 anni dalle prime denunce sulla situazione di inquinamento (nel 2004!), non era stato messo in sicurezza come prescrive la legge", il commento di Augusto De Sanctis del Wwf che - grazie ad un semplice accesso agli atti - è riuscito ad avere le prove documentali della pericolosa inerzia della Solvay. E a far partire il nuovo filone d'indagine.
"I dati della stessa Solvay sul funzionamento della barriera idraulica (un sistema di pompaggio delle acque inquinate per procedere alla rimozione degli inquinanti) realizzata dalla stessa azienda indicavano che la stessa non era del tutto efficace, visto che non bloccava i contaminanti all’interno delle aree inquinate. Pertanto", aggiunge De Sanctis, "una parte di questi inquinanti andava nella falda verso valle. Sostanze pericolose come il monocloroetilene raggiungevano, a valle della barriera idraulica, valori anche di 200 volte i limiti di legge. Ricordiamo che la messa in sicurezza è l’operazione da svolgere 'in emergenza' (la legge prevede che debbano essere realizzati 'ad horas'!) in attesa della caratterizzazione del sito e della successiva bonifica. Questo intervento è (era) necessario per impedire l’ulteriore fuoriuscita verso valle degli inquinanti".
A detta dei comitati è "allucinante" che in questi anni, invece di procedere alla bonifica, si sia perso tempo dietro ad ipotesi come quella del gruppo Toto (la megacava di 400 ettari con un cementificio) "del tutto insostenibili in un’area già martoriata".
La storia del sito di Bussi: le indagini della Forestale
Nella primavera del 2007, il personale del Comando Provinciale di Pescara del Corpo forestale dello Stato, guidato dell'allora Comandante Guido Conti, svelava, sepolta nella verdeggiante Valle del fiume Pescara, la discarica abusiva di rifiuti tossici più grande d'Europa, una superficie grande come venti campi di calcio, per un totale di 500mila tonnellate di rifiuti.
Ha inizio così il processo che vede oggi imputate diciannove persone tra ex vertici della società che gestiva il sito, direttori e vicedirettori che hanno gestito il polo chimico in quegli anni, accusati di disastro doloso e avvelenamento delle acque. Otto, invece i dirigenti delle società gestori dell'Acqua in Abruzzo (Ato e Aca), accusati a vario titolo di commercio di sostanze contraffatte e di turbata libertà degli incanti. L'acqua contaminata potrebbe essere uscita dai rubinetti di centinaia e centinaia di case. La discarica si trova, infatti, in un collo di imbuto e raccoglie le acque di un terzo della regione, punto di confluenza delle acque che provengono dal Gran Sasso della Maiella, gli acquiferi più importanti d'Abruzzo. Ed è proprio lì, in questo punto di raccolta, che si trova la discarica che rilascia veleni.
La discarica venne scoperta dalla Forestale dopo più di un anno di indagini, avviate a seguito del ritrovamento nel fiume Pescara di considerevoli quantità di clorometanoderivati. Tali elementi chimici erano stati individuati nel corso di una precedente operazione denominata "Blue River", sul controllo delle acque di scarico industriali e civili nei fiumi della Provincia, portata a termine diversi anni prima dal personale del Comando Provinciale di Pescara del Corpo forestale dello Stato. Il blitz aveva condotto a numerose sanzioni (2.200.000 euro) e cinque denunce a carico dei responsabili dell'avvelenamento delle acque. Sotto la regia della Procura della Repubblica, gli agenti della Forestale avevano condotto le indagini e cercato le cause del ritrovamento delle sostanze tossiche, di derivazione industriale, nelle acque del fiume abruzzese.
La campagna di controlli ed analisi unita a sequestri, perquisizioni, acquisizione di documenti, secondo quanto disposto dal Gup, aveva portato al riscontro di sufficienti elementi di reato per sequestrare l'area e denunciarne i presunti responsabili dell'inquinamento. Il personale del Corpo forestale dello Stato sequestrava così il sito vicino al polo industriale chimico di Bussi sul Tirino (PE). L'analisi delle foto aeree degli ultimi cinquant'anni e i sorvoli con gli elicotteri del Corpo forestale hanno fatto il resto. Già le prime ricerche condotte dalla Forestale avevano messo in luce che per molti decenni la zona sarebbe stata la tomba di un numero imprecisato di sostanze tossiche contenute in rifiuti e scarti industriali. Una pratica reiterata nel tempo, visto che, molte delle sostanze originariamente palabili, cioè a metà fra stato liquido e solido, furono ritrovate cristallizzate.
Le sostanze interrate, mischiate ai terreni che sono stati inquinati da questi materiali, per effetto delle piogge, avrebbero ceduto lentamente gli inquinanti al fiume per arrivare al mare. L'odore dei solventi interrati nel momento in cui le ruspe hanno cominciato a scavare per avere la prova definitiva, era nauseabondo. I danni prodotti all'ambiente erano e sono incalcolabili, considerando che le sostanze tossiche hanno prodotto un inquinamento serio del terreno e delle falde acquifere circostanti.
I dati dell'inquinamento
Per decenni la discarica di Bussi sarebbe stata destinata a smaltire illegalmente oltre centomila tonnellate di scarti di lavorazione chimiche ed industriali quali: il cloroformio, il tetracloruro di carbonio, l'esacloroetano, il tricloroetilene, triclorobenzeni, metalli pesanti, tanto da essere stata definita una delle piú grandi discariche nascoste di sostanze tossiche e pericolose mai trovate. Un disastro ambientale di enorme entità. L'esacloroetano è stato il vero filo d'arianna, in quanto ha consentito di collegare in maniera inequivocabile la discarica di Bussi e l'acqua di rete. Su 43 parametri presi in considerazione, per 35 sono stati riscontrati superamenti delle concentrazioni soglia di contaminazione per la falda superficiale e 23 per la falda profonda.
La stragrande maggioranza dei piezometri della rete di monitoraggio all'interno dell'area industriale evidenzia superamenti dei limiti. Alcune sostanze mostrano superamenti di enorme entitá: il cloroformio 453.333 volte i limiti nella falda superficiale e 46.607 volte nella falda profonda; il tricloroetilene 193.333 volte nella falda superficiale e 156 nella profonda.
Il mercurio 2.100 volte nella falda superficiale; il diclorometano 1.073.333 volte in falda superficiale e 3.267 volte nella falda profonda, il tetracloruro di carbonio 666.667 volte nella falda superficiale e 3733 volte nella falda profonda. I monitoraggi ambientali sono quelli realizzati dalla societá Environ per conto dell'attuale proprietaria del sito industriale, la Solvay Spa, che - come detto - si è costituita parte civile nel processo penale in corso.
Il danno ambientale
L' Ispra, per conto dell'Avvocatura dello Stato, ha stimato un danno ambientale di 8,5 miliardi di euro e una contaminazione di circa 2 milioni di metri cubi di terreni, oltre a quella relativa all'acqua di falda. A fronte di un quadro così preoccupante, come detto, sono stati avviati dalla Solvay due sistemi di messa in sicurezza d'emergenza sia sulla falda superficiale che per quella profonda nonché alcuni interventi di bonifica su piccole aree.
I dati dei monitoraggi realizzati dal privato, validati dall'ARTA (Agenzia Regionale per la Tutela dell'Ambiente), costituiscono il riferimento per tutte le azioni di bonifica del sito e, sono, quindi, pubblici. I dati, si riferiscono esclusivamente all'attuale area di proprietá Solvay e ad alcuni pozzi/piezometri posti a valle dell'area industriale, più esattamente nella Valle del Pescara alla confluenza tra il fiume Tirino e il Pescara. Da questi dati emerge che il sistema di trattamento è in grado di ridurre drasticamente il livello della contaminazione, ma che tra il 2007 e il 2012, nove parametri sono risultati comunque oltre la concentrazione soglia di contaminazione per la falda superficiale e tre per la falda profonda. Alcune sostanze, inoltre, continuano a fuoriuscire dal sito nonostante il trattamento. La situazione peggiora verso valle nei pozzi-piezometri. Nel biennio 2011-2012 per la falda superficiale undici parametri sono risultati essere oltre i limiti di legge, mentre per la falda profonda sono stati dodici i parametri non conformi. Tra questi, sostanze estremamente tossiche e/o cancerogene come il benzene (33 volte i limiti nella falda superficiale) il monocloroetilene (132 volte nella falda superficiale e 112 volte nella profonda), l'esacloroetano (16 volte nella falda superficiale e 152 volte nella falda profonda). Nel 2011 la Environ per conto della Solvay ha ricercato, nei campioni di suolo all'interno del sito industriale, diossine e furani. Su 29 campioni ben 9 sono risultati avere valori superiori ai limiti di legge per le aree industriali. Il campione piú contaminato presentava un valore di 23,7 volte superiore al limite di legge per le aree industriali.