Una recente indagine internazionale condotta da Boston Consulting ha mostrato che per gli italiani le donne non sono buone scienziate. Per il 70% degli intervistati, infatti, le donne non sono idonee a ricoprire posizioni scientifiche di alto livello.
Non solo. Dall’indagine è emerso anche che il 33% delle donne italiane che in fascia di istruzione superiore ha seguito studi scientifici non ha beneficiato del sostegno dei professori, rispetto al 19% degli uomini. E anche se le ragazze rappresentano la metà degli studenti delle scuole superiori di secondo grado, le studentesse sono significativamente sottorappresentate nelle discipline Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), che invece sono quelle in grado di abilitare nuovi mestieri e nuovi professioni.
Un’altra indagine, dell’Unesco, ha evidenziato come nel biennio 2014-2016, solo il 30% delle studentesse approdate all’università ha scelto materie scientifiche. E in alcune specializzazioni, come l’informatica, questo dato crolla addirittura al 3%.
Percentuali così basse vanno ad impattare, naturalmente, anche sull’occupazione: le manager nei ruoli apicali nel settore digitale - che sono, tipicamente, quelli più remunerazioni più alte – sono ancora pochissime. Senza contare la questione del ricollocamento in caso di perdita di lavoro: le donne “guadagnano” un nuovo posto ogni 20 persi, in netto contrasto con gli uomini, che trovano un nuovo lavoro in ambito Stem ogni quattro persi.
Questa disparità di genere si manifesta già dall’infanzia e cresce con l’età. A influenzare le scelte sono diversi fattori ma risultano determinanti soprattutto il contesto culturale e sociale e gli stereotipi.
Per questo l’Università dell’Aquila ha dato vita, in questi giorni, al Pinkamp, un progetto ideato per avvicinare le ragazze delle scuole superiori allo studio della matematica, dell’informatica e dell’ingegneria dell’informazione.
Dal 17 giugno, per 11 giorni (il camp si chiuderà oggi con l’evento finale al quale parteciperà l’ex segretario generale della Cgil Susanna Camusso), 50 studentesse delle classi terze e quarte delle scuole superiori, provenienti da varie regioni, hanno potuto seguire lezioni teoriche, attività laboratoriali di gruppo (organizzate in collaborazione con studenti delle lauree magistrali, dottorandi e post-doc), incontri con professioniste che hanno raccontato le loro testimonianze, visite guidate, seminari, esercitazioni.
Il Pinkamp è stato finanziato grazie al contributo del Fondo Territori Lavoro e Conoscenza di Cgil Cisl Uil ed è stato organizzato dal Disim, Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell'Informazione e Matematica dell'Univaq, che provveduto a pagare alle ragazze partecipanti tutte le spese di viaggio, vitto e alloggio. Al progetto hanno acollaborato anche Alumni Univaq, Papert digital Class@Univaq, Living Lab, Terre Mutate - L'Aquila Donne e IEEE Women in Engineering - Italy Section Affinity Group.
“Siamo molto soddisfatti” afferma Antinisca Di Marco, professore associato di Ingegneria del software “I riscontri che abbiamo avuto sono più che positivi, le ragazze si sono dimostrate vivaci e desiderose di imparare, manifestando un interesse nel’apprnedimento maggiore di quello delle nostre classi universitarie. Proprio in virtù di questo successo il Disim tenterà di ripetere l’esperienza Pinkamp, l'unica, tra l'altro, in tutto il Centrosud, anche l’anno prossimo e di renderla permanente”.
“I dati sulla presenza delle donne nei corsi di laurea Stem all’interno di Univaq” spiega la professoressa Di Marco “non sono incoraggianti: a parte matematica, per ingegneria e informatica siamo al di sotto della media nazionale. Le cause di questa situazione sono tante. Certo gli stereotipi contano molto e anche un certo tipo di comunicazione non aiuta per niente. Per questo, nei giorni del camp abbiamo voluto fare entrare in contatto queste ragazze con esempi positivi. Alla Thales Alenia Space, dove siamo state in visita, a accogliere le studentesse c’erano quattro ingegnere che hanno fornito la loro testimonianza su come sia stato difficile non tanto lo studio ma quello che è venuto dopo”.
Poche donne tra gli iscritti nei dipartimenti scientifici oggi significa anche poche donne nel personale docente domani, specie man mano che si sale nella gerarchia universitaria, tra i professori associati e ordinari. Spesso sono gli stessi bandi di concorso a contenere degli ostacoli: “In molti di essi” osserva la professoressa Di Marco “è richiesta la cosiddetta continuità di produzione scientifica, che però è compromessa se una donna ha un figlio”.
“Le aziende” conclude la Di Marco “hanno sempre più bisogno di laureati altamente specializzati sulle tecnologie digitali, in informatica e ingegneria. Il più delle volte chi intraprende questo percorso di studi trova lavoro ancor prima di laurearsi. Incentivando sempre più ragazze a iscriversi a questi corsi risolviamo due problemi: non solo favoriamo l’emancipazione ma colmiamo anche un vuoto nel mercato del lavoro”.
“Abbiamo selezionato queste ragazze” racconta Laura Tarantino, professore associato di Calcolatori elettronici “tenendo conto della media scolastica e di una lettera motivazionale. Ne abbiamo ricevute di bellissime, evidentemente questa iniziativa ha intercettato un bisogno molto forte. Le partecipanti hanno affrontato le lezioni e i laboratori con un impegno e un entusiasmo encomiabili, dimostrando di avere idee progettuali molto creative e interessanti, considerando il poco tempo che hanno avuto per tradurre in esperienza tutte le conoscenze acquisite nella parte teorica e anche il fatto che si sono dovute confrontare con piattaforme e linguaggi di programmazione per loro del tutto nuovi”.
I pregiudizi e le disparità di genere, osserva la professoressa Tarantino, “iniziano già in famiglia, quando le bambine sono ancora piccole e come primo giocattolo ricevono magari delle bambole da accudire mentre ai bambini si regala il meccano. Determinante è poi la rappresentazione della donna sui media. Ci sono statistiche a livello mondiale che mostrano come la donna, negli articoli di giornale o nei tg, non venga mai caratterizzata per la sua professionalità ma venga spesso dipinta come moglie, figlia o madre, laddove per gli uomini viene sempre specificata invece la professione. Per fortuna si stanno mettendo in campo iniziative per spezzare questo circolo vizioso rendendo più visibili i role model femminili. Penso, ad esempio, al progetto Inspiring Fifty, in cui ogni anno vengono selezionate 50 tra imprenditrici, manager d’azienda, docenti universitarie, ricercatrici ed esponenti delle istituzioni che diventano ambasciatrici delle Stem, o il data base delle “100 Esperte”, che ha l'obiettivo di valorizzare le competenze femminili incrementando la presenza delle esperte nei media. Numerose ricerche nel mondo dell'informazione dimostrano che le donne sono raramente interpellate dai media in qualità di esperte. Il senso del Pinkamp è proprio quello di abbattere questi stereotipi e contribuire a imprimere un’accelerazione ai processi di parificazione”.