Domenica, 30 Giugno 2019 11:48

Sea Watch, i fatti oltre la propaganda: cosa è accaduto e cosa rischia Carola

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I fatti: la capitana della imbarcazione 'Sea Watch 3' battente bandiera olandese, la 31enne Carola Rackete, dopo 17 giorni di stasi al largo delle acque italiane ha deciso di violare l'alt di Guardia di Finanza e Guardia Costiera attraccando al porto di Lampedusa e portando così a terra le 40 persone ancora a bordo.

Appena attraccato, Carola Rackete è stata posta in stato di fermo ed ha trascorso la prima notte agli arresti domiciliari in una abitazione privata di Lampedusa, eletta come suo domicilio temporaneo in attesa del trasferimento ad Agrigento per l'interrogatorio di garanzia davanti al Gip del Tribunale. Rackete potrà avere contatti solo con i suoi legali che ieri l'hanno supportata nella caserma della Guardia di Finanza dove è rimasta per quasi tutta la notte.

E' accusata di violazione dell'articolo 1100 del codice della navigazione, resistenza o violenza contro nave da guerra, che prevede una pena dai tre ai 10 anni di reclusione, e di tentato naufragio, previsto dagli articoli 110 e 428 del codice penale, sanzionato con la pena massima di 12 anni. Non sarà processata per direttissima.

Fin qui i fatti. 

Alcuni numeri per inquadrare la vicenda. Dal 1° gennaio 2019, in Italia sono sbarcati 2.447 migranti; in Spagna sono arrivati in 12.522, hanno tentato la rotta balcanica in 17.565, a Malta sono approdati in 1.048. Ciò significa, da un lato, che i porti in Italia non sono affatto chiusi, e non potrebbe essere altrimenti - si tratta di una dichiarazione di pura propaganda politica - tant'è vero che, in questi giorni, nel pieno della vicenda 'Sea Watch 3', a Lampedusa sono sbarcate oltre 200 persone; d'altro lato, la situazione in Italia non può in alcun modo definirsi d'emergenza, stando almeno al numero di migranti arrivati dall'inizio dell'anno. Tra l'altro, a leggere i dati Eurostat in Italia si contano 5 migranti ogni 1000 abitanti, tra i paesi europei con la minor incidenza in termini percentuale.

Questi sono i numeri. 

E' evidente che ciò non significa che i paesi dell'Unione Europea possano volgere lo sguardo dall'altra parte, lasciando i paesi di primo approdo a gestire l'arrivo di migranti che, in particolare nella penisola iberica e lungo il corridoio balcanico, premono sull'Europa e, nei prossimi anni, aumenteranno di numero. E dunque? Va modificato il regolamento di Dublino III, entrato in vigore il 1° gennaio 2014, che - di fatto - impone l'esame delle richieste d'asilo dei migranti al primo paese di sbarco. Una persona che entra in Europa non può decidere in quale Stato presentare la sua richiesta di asilo: il principio generale alla base del regolamento Dublino III è che qualsiasi domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro, quello individuato come competente, e la competenza per l’esame di una domanda di protezione internazionale ricade in primo luogo sullo Stato che ha espletato il ruolo maggiore relativamente all’ingresso e al soggiorno del richiedente nel territorio degli Stati membri, salvo eccezioni. Quindi, la richiesta di asilo per un migrante proveniente da un Paese terzo deve essere fatta nel primo Paese dell’Unione in cui mette piede.

Detto ciò, le regole comunitarie si modificano con l'interlocuzione politica, non certo lasciando in mare 40 persone per 17 giorni; un governo forte, credibile, autorevole e competente, dovrebbe avere la forza di trattare ai tavoli europei per cambiare le 'regole del gioco'. Nel 2018, dopo molte trattative si era anche riusciti a trovare un compromesso per cambiare il regolamento in favore di un meccanismo di ricollocazione automatica: l’Italia però, già governata da Lega e M5S, si è opposta. Inoltre, il ministro dell'Interno Matteo Salvini - già parlamentare europeo con un altissimo tasso di assenteismo alle sedute dell'assise - da quando è al governo ha saltato 6 degli ultimi 7 incontri sul tema dei migranti. A voi, le dovute considerazioni. 

Tra l'altro, in campagna elettorale Salvini aveva promesso 600mila rimpatri: nei primi sei mesi di governo - da giugno a dicembre 2018 - ha rimpatriato 3.851 irregolari; nello stesso periodo di tempo, l'anno prima, il suo predecessore Marco Minniti ne aveva rimpatriati 3.968.

Insomma, il Ministro dell'Interno si sta mostrando debolissimo nella gestione della 'questione' immigrazione: pochi rimpatri, nessuna azione incisiva in Europa per modificare le regole dell'accoglienza comunitaria, nessun accordo con i paesi di origine dei disperati che tentano la traversata verso il vecchio Continente. Forse è anche per questo che la vicenda della 'Sea Watch 3' ha rappresentato un'occasione propizia per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dai fatti, portandola al livello della propaganda mediatica. E chissà, anche per nascondere sotto il tappeto le difficoltà del governo nel far quadrare i conti di un paese che rischia la procedura d'infrazione da parte dell'Europa, con la prospettiva, concreta, di una manovra di bilancio lacrime e sangue. 

Torniamo, così, al punto di partenza, all'atteggiamento tenuto dalla capitana della 'Sea Watch 3', Carola Rackete, e ai rischi che potrebbe correre. 

In principio, il governo italiano aveva avanzato la proposta di portare i naufraghi a bordo dell'imbarcazione in Libia e lo sbarco, in effetti, era stato autorizzato: tuttavia, la ong tedesca ha rifiutato in ossequio alle leggi internazionali che regolano il soccorso in mare. In particolare, la convenzione di Amburgo del 1979, cui l’Italia ha aderito con la Legge n. 147/1989, prevede l’obbligo di prestare soccorso ai naufraghi e di farli sbarcare nel primo "porto sicuro" sia per prossimità geografica al luogo del salvataggio sia dal punto di vista del rispetto dei diritti umani. Come noto, la Libia non è considerato un "porto sicuro". Secondo l’Onu, anzi, i naufraghi riportati in Libia sono sistematicamente ricondotti nei campi di concentramento, dove ricomincia l’inferno di schiavitù, torture e stupri, fino alla fuga successiva. Riportare un naufrago in Libia spesso significa condannarlo a morte.

Anche la Tunisia non è attrezzata per garantire i bisogni dei migranti e non ha una legislazione completa sulla protezione, essenziale per garantire il rispetto dei diritti umani. Dunque, se la 'Sea Watch 3' avesse deciso di puntare verso la Libia o la Tunisia, paradossalmente, avrebbe violato le leggi internazionali sulla navigazione e il soccorso. Ecco il motivo per cui la scelta di Lampedusa era la più ovvia, per la capitana Carola Rackete.

In Italia, direte, è entrato in vigore di recente il così detto 'Decreto sicurezza bis'; è vero anche, però, che la comandante ha obbedito ad una legge di rango superiore: stando all'art. 117 della Costituzione, un trattato internazionale ratificato e reso esecutivo nell'ordinamento italiano è al 'riparo' da possibili ripensamenti del legislatore. D'altra parte, quando si tratta di tutela dei diritti umani, le convenzioni internazionali prevalgono, appunto, sulle leggi nazionali. 

Non solo.

Il diritto internazionale obbliga la navi a far scendere i naufraghi nel più vicino dei porti considerati sicuri: ecco spiegato il motivo per cui 'Sea Watch' ha puntato verso Lampedusa e non verso la Spagna o la Grecia. C'è addirittura chì ha ipotizzato che la capitana potesse navigare verso la Francia o addirittura l'Olanda, avendo atteso 17 giorni in mare: Carola Rackete, però, avrebbe dovuto affrontare la traversata dell'Oceano Atlantico che, come ovvio, è molto più pericolosa della navigazione in Mediterraneo. Ciò avrebbe messo a rischio la vita dei naufraghi, con violazione della legge.

Resta Malta che, tuttavia, sempre più spesso rifiuta il porto alle Ong ospitando già moltissimi migranti in più di quanti ne accolga l'Italia, in proporzione alla popolazione: l'isola è un quarto del comune di Roma con una popolazione di 100 volte meno numerosa, per intendersi. Di nuovo, è una questione politica che l'Europa dovrebbe affrontare: non si può certo farlo, però, sulla pelle di 40 persone in mezzo al mare.

Ecco perché la posizione di Carola Rackete potrebbe non rivelarsi così pesante, stante anche l'evidente 'stato di necessità' che ha guidato la sua condotta. D'altra parte, cosa avrebbe dovuto fare innanzi ai divieti posti dalla Guardia di Finanza e dalla Guardia Costiera? Poteva forse tornare in Libia, violando così il diritto internazionale? 

E' sulla base di queste considerazioni che gli avvocati penalisti di Milano si sono offerti per difendere Carola Rackete, scrivendo una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella come "garante della Costituzione" e chiedendo un suo intervento "nel momento in cui vengono a gran voce reclamati interventi che violano principi fondamentali, norme positive e non solo..." Secondo i penalisti, il fatto che la capitana sia stata indagata e il ministro degli Interni ne chieda che venga perseguita, è una decisione che va contro ogni regola: "Non c’è alcun crimine da perseguire - scrivono nella lettera al Presidente - anzi vi sono crimini contro i diritti degli ultimi e il buon senso da scongiurare". Il Presidente della Repubblica, secondo i penalisti milanesi, "può invitare tutti alla stretta osservanza della Costituzione" con particolare riferimento all’articolo 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo. Per il direttivo della Camera Penale, la comandante della Sea Watch, "ha fatto solo ciò che ogni comandante di naviglio deve fare seguendo le regole del diritto internazionale e quelle del mare, scritte e non: ha prestato soccorso a naufraghi allo stremo delle forze e in balia del destino oltre che delle onde". Le "vite di 42 esseri umani sono più importanti di qualsiasi gioco politico perché quelle esistenze in vita sono da noi tutelate attraverso un insuperabile parametro costituzionale e non è, pertanto, immaginabile che vi sia una legge superiore che consenta di sacrificarle o metterle ulteriormente a repentaglio".

Secondo i legali, insomma, "se pure dovessero rilevarsi dei profili di illeicità nella condotta della Rackete", la capitana "risulterebbe scriminata dallo stato di necessità e finché il nostro sarà uno stato di Diritto, noi, in quanto avvocati - anzi, difensori - non potremmo che invocare il rispetto e la corretta applicazione della legge".

Tra l'altro, l'articolo 1100 non prevede specificazioni sull'applicazione ad eventuali navi straniere e quando una norma penale si può applicare ad imbarcazione battente altra bandiera viene espressamente detto dal nostro codice della navigazione. Resta il così definito 'speronamento' alla vedetta della Guardia di Finanza: stando al 'Corriere della Sera' Carola Rackete si sarebbe scusata, parlando di un "errore in fase di manovra"; non è chiaro, tuttavia, il motivo per cui, una volta che l'imbarcazione è entrata in porto, stante l'urgenza - a quel punto - di far attraccare la nave, gli uomini della GDF abbiano invece tentato di frapporsi tra la 'Sea Watch 3' e la banchina, consapevoli che non avrebbero potuto certo fermarla. 

Ultima modifica il Lunedì, 01 Luglio 2019 00:00

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