La settimana scorsa a Beinasco, in provincia di Torino, un ex agente di polizia municipale ha sparato alla moglie e al figlio e poi si è tolto la vita. A Roma un 23enne ha ccoltellato la madre e la sorella. Lo scorso 20 marzo l'Ansa ha pubblicato la drammatica testimonianza di una donna vittima di violenza domestica che ha rivelato di essere costretta a dormire in cucina per non prendere calci dietro la schiena dal proprio partner. Ieri, a Padova, una 46enne è stata massacrata dal marito a colpi di martello. La donna si è salvata grazie all'intervento dei vicini.
In questi giorni si susseguono notizie di femminicidi e di violenze subìte da donne che, a causa dell'emergenza coronavirus, si trovano costrette a condividere la casa con i propri aggressori. Eppure ai centri antiviolenza italiani non arrivano più telefonate. Anche le chiamate al numero nazionale antiviolenza e stalking 1522, attivato dalla presidenza del consiglio e gestito dal Telefono Rosa, sono diminuite di circa il 55% dall'entrata in vigore delle restrizioni per contenere l'epidemia di Covid-19.
Per migliaia di donne l'isolamento forzato ha conseguenze drammatiche: la coesistenza obbligatoria esaspera i comportamenti violenti dei maltrattanti, creando circostanze che mettono ancora più a rischio l'incolumità delle vittime di violenza domestica, mentre la condivisione degli spazi unita alla forte limitazione delle relazioni sociali rende molto più difficile chiedere aiuto.
In Italia, dove l’81,2% dei femminicidi, nel 2019, è avvenuto all’interno della famiglia, la violenza di genere assume oggi i contorni di una vera emergenza nell'emergenza, che le operatrici e le volontarie dei centri antiviolenza nazionali si trovano a fronteggiare sole in mancanza di disposizioni da parte delle istituzioni nazionali. In tutta Italia i Cav proseguono la loro attività ma è evidente la difficoltà a conciliare le misure dell'ultimo dpcm con la tutela delle donne.
A L'Aquila il Centro antiviolenza Donatella Tellini, come molte altre strutture della rete D.i.re, continua a garantire asssitenza legale e psicologica telefonica 24 ore su 24. Con l'entrata in vigore delle misure anti-contagio, però, la sede fisica di via Angelo Colagrande è stata chiusa al pubblico.
"Siamo state costrette a sospendere le attività che prevedono un contatto con il pubblico. - spiega a NewsTown Simona Giannangeli, presidente del cav Donatella Tellini - Continuiamo, come facevamo anche prima dell'emergenza sanitaria, a garantire consulenza legale e psicologica via skype e telefonicamente al numero 3400905655. Le donne che potevano rispondere a telefono senza esporsi a un pericolo eccessivo sono state informate delle chiusura della nostra sede. Per molte questa possibilità era troppo rischiosa per via della condivisione forzata degli spazi con il proprio maltrattante. Speriamo che leggano, vedano e sappiano che noi ci siamo e che tutti i centri antiviolenza continuano a garantire tutela e assistenza".
Ciò che chiedono le operatrici e le volontarie dei cav è un intervento del Governo e un maggior coordinamento a livello nazionale. Senza misure a sostegno dei Centri antiviolenza e delle case rifugio né disposizioni che garantiscano maggiori tutele alle donne, denunciare la violenza, se già prima dell'emergenza sanitaria comportava dei rischi, oggi risulta quasi impossibile.
Tra i tanti problemi che hanno contribuito a ridurre ulteriormente le occasioni per chiedere aiuto, c'è l'obbligo dell'autocertificazione. Sollecitata sulla questione dai Centri antiviolenza, la ministra delle Pari Opportunità e della Famiglia Elena Bonetti ha chiarito che le donne vittime di violenza domestica che intendano allontanarsi dalla propria abitazione per denunciare una violenza sono sollevate dall'obbligo di fornire indicazioni precise riguardo il motivo del loro spostamento.
La situazione, però, resta critica. "Il dato più grave e più significativo è che in più 15 giorni sono arrivate soltanto tre telefonate - conferma Giannangeli - Le donne non hanno nessun margine di sicurezza a chiamarci da casa o a decidere di andare a fare una denuncia senza sapere, oggi ancor meno di ieri, come evolverà la situazione logistica, chi se ne dovrà andare da casa e soprattutto in che tempi".
L'assenza di disposizioni che permettano la distribuzione ai Cav di materiale sanitario ha inoltre costretto molte case rifugio a sospendere l'accoglienza. "A L'Aquila - ha spiegato la presidente - non siamo riuscite a rendere agibile la casa rifugio in emergenza che ci ha concesso il Comune prima dello scoppio dell'emergenza. Ci sono ritardi nell'attivazione delle utenze e le condizioni igienico sanitarie in cui si trovava l'appartamento ha reso necessari interventi che non avevamo preventitvato. Per quanto riguarda le altre strutture in Abruzzo, dalle informazioni che ho, le donne che erano dentro restano, mentre sono state bloccati i nuovi ingressi. Le operatrici, al momento, stanno autonomamente cercando delle soluzioni alle innumerevoli criticità, ma è difficle senza un sostegno del Governo. Non siamo state fornite di DPI, di materiale sanitario, e non sappiamo al momento accertare la provenienza delle donne che chiedono riparo, le quali dovrebbero essere messe in quarantena preventiva in altre strutture. Siamo completamente sole a gestire un'emergenza nell'emergenza. L'ultimo dpcm licenziato dal governo, così come il primo, non contiene nulla rispetto ai Cav. E' assurdo, considerando che molte delle misure anti-contagio colpiscono in modo diretto le donne vittime di violenza".
Il difficle lavoro portato avanti in questi giorni dalle operatrici rischia di essere ulteriormente aggravato dai problemi legati alla mancanza di fondi. Ad oggi la ripartizione dei 30 milioni di fondi ordinari del 2019 è ferma. Ieri la ministra Bonetti ha promesso non solo lo sblocco dei fondi dello scorso anno, ma ha anche assicurato il nuovo riparto alle regioni dei fondi del 2020 (un totale di 20 milioni), oltre allo stanziamento di "risorse straordinarie messe a disposizione dal Dipartimento per le Pari Opportunità, per poter permettere alle autorità locali con cui è a contatto il Ministero dell'Interno di recuperare alloggi straordinari in cui inserire le donne che escono di casa e mantenerle alloggiate in una situazione di sicurezza sanitaria".
"Sarebbe una boccata d'ossigeno", il commento di Giannangeli che tuttavia precisa: "vedremo come intendono dare seguito a queste promesse. Se non riescono a sbloccare le risorse ordinarie, quelle dovute dalla legge 119 2013 e da tutte le normative a livello europeo, è difficile pensare che riescano a sbloccare fondi straordinari. Temo che ancora una volta, considerando anche l'impatto che il coronavirus sta avendo sull'economia italiana, saremo le ultime tra le ultime di una scala di priorità".
Scarsa è stata finora anche l'attenzione da parte delle istituzioni locali. "Siamo stati contattati dalla Regione Abruzzo quindi dall'assessorato alle poltiche sociali per una mappatura dei cav regionali e delle attività attualmente garantite - ha affermato Giannageli - Il Centro antiviolenza dell'Aquila è stato contattato anche dal servizio sociale del Comune dell'Aquila che intendeva essere informato su come stiamo gestendo casi di emergenza. So che anche la Prefettura era interessata a questa verifica. Questi sono stati gli unici contatti che abbiamo avuto con le istituzioni locali, niente di più, niente di concreto".
"Spero che il Governo si muova presto in sostegno dei Centri antiviolenza. Nel frattempo qualche piccolo intervento potrebbe essere di grande aiuto. Ad esempio, la procura di Trento ha firmato un provvedimento antiviolenza per predisporre l’allontanamento immediato del maltrattante dall’abitazione, in modo che donne non debbano preoccuparsi di lasciare il domicilio. Guardiamo a quella esperienza come qualcosa di valido, che auspichiamo possa essere adottato anche in altri territori", conlude Giannangeli.