Sabato, 28 Marzo 2020 19:36

Coronavirus, il metodo coreano raccontato da un'imprenditrice aquilana residente a Seoul: "Mappatura dei contagi online e mascherine fornite dal governo a prezzi simbolici"

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Passare a una fase due della gestione dell’emergenza coronavirus adottando il modello coreano.

In Italia se ne parla ormai da diversi giorni, anche perché inizia a farsi la strada la consapevolezza che la linea che si è seguita fin qui per contenere l’epidemia ha avuto delle falle e soprattutto non potrà essere applicata all’infinito.

La strategia che ha permesso al governo di Seoul di vincere, fino ad ora, la battaglia contro il Covid 19 – poco più di 9mila contagiati e “solo” 91 decessi su una popolazione di 50 milioni di abitanti - poggia su due pilastri: test di massa e controllo degli spostamenti di contagiati, persone in quarantena e sospetti contagiati attraverso i dati raccolti dai loro telefonini.

Ma come funziona concretamente questa metodologia e che effetto pratico ha avuto sulla vita quotidiana delle persone?

Lo abbiamo chiesto a Lia Iovenitti, imprenditrice aquilana che in Corea del Sud vive dal 1997.

lia iovenitti

Dopo aver lavorato per dieci anni all’ambasciata italiana a Seoul, ha aperto una società di servizi che aiuta le aziende italiane nello sviluppo delle vendite sul mercato coreano e procura prodotti e servizi italiani ai grandi gruppi coreani.

Com’è adesso la situazione a Seoul e in generale nel Paese?

In superficie, la situazione è tranquilla. Non avendo adottato misure di quarantena per la popolazione, eccetto nella zona rossa di Daegu, per strada si vede molta gente, anche sui mezzi pubblici e nei ristoranti. Tutti con le mascherine. Il governo ne fornisce 2 a settimana a chiunque sia iscritto al Sistema Sanitario Nazionale. Non c’è fila nei supermercati, né abbiamo problemi di approvvigionamento, i corrieri continuano a consegnare a casa. Le scuole e le Università sono chiuse, ma sono partite quasi immediatamente con programmi di insegnamento a distanza. Aiuta il fatto che in Corea il 95% di popolazione sia connessa ed è anche il paese con la velocità media di connessione più alta al mondo.

Da qualche giorno in Italia si sta parlando sempre più insistentemente della possibilità di adottare il modello coreano, che prevede una strategia di contenimento dell’epidemia basata su un massiccio ricorso ai tamponi e su un uso altrettanto massivo della tecnologia. Lei che l’ha vissuto sulla sua pelle, può descriverci concretamente in cosa consiste e anche come ha influito a livello pratico sulla sua vita?

A livello pratico, ogni giorno mi arrivano sul cellulare messaggi di testo automatizzati che comunicano le posizioni recenti di pazienti di nuova diagnosi. Gli elenchi di ristoranti, negozi e chiese sono accompagnati dai tempi approssimativi della visita in modo che io possa decidere rapidamente se potrei essere a rischio. Collegandomi ai siti del comune, posso controllare l’elenco dei contagiati, e verificarne età, sesso, modalità del contagio, luogo di ricovero e dettaglio degli spostamenti. Il nome è ovviamente oscurato ma tutto il resto è a disposizione.  Quindi, in concreto, posso sapere se ho visitato un minimarket con persone infette e prendere decisioni informate sull'opportunità di sottopormi al test.

Accadono anche episodi inquietanti come quello di un signore che ha mentito sugli spostamenti ed è stato sbugiardato dai controlli incrociati di carta di credito, cellulare e telecamere: era in un love motel con la sua amante. Non so come abbia poi trascorso la quarantena con la moglie. In ogni caso non sono sicura che questo modello sia interamente applicabile in Italia, o in generale in Paesi in cui si configurerebbe come violazione della privacy.

Da ieri, è attivo un nuovo sistema per indagini epidemiologiche: in meno di 10 minuti, il localizzatore consente di analizzare e fornire immediatamente agli investigatori sanitari i dati dei pazienti confermati. In precedenza, erano necessarie circa 24 ore. Il nuovo sistema di sorveglianza digitale è nato dalla collaborazione di 27 organizzazioni pubbliche e private tra cui la National Police Agency, la Credit Finance Association, tre operatori di telefonia mobile e 22 società di carte di credito.

Come stanno andando avanti la vita sociale e le attività economiche e produttive?    

Le attività non essenziali restano aperte, ma a rischio e pericolo dei gestori: chi gestisce una palestra, per esempio, e decide di tenerla aperta, in caso di accertata responsabilità nel diffondersi di infezioni, è tenuto a rimborsare le spese mediche di ogni contagiato. Oltre a pagare una grossa multa. Alcune aziende hanno chiesto ai dipendenti di lavorare da casa, ma non tutte, è un provvedimento discrezionale. Le attività produttive sono inevitabilmente rallentate.

Io che mi occupo di sviluppare business per aziende italiane in Corea, mi trovo ad avere produzioni bloccate per l’interruzione delle filiere, merce in stand-by, containers con enormi difficoltà a trovare posto sulle navi, non parliamo nemmeno delle spedizioni aeree.

Non c’è il rischio che alcuni metodi di tracciamento usati possano poi diventare una prassi ed estendersi anche in tempo di pace?

In Corea, ma credo anche nei paesi vicini come Cina e Giappone, si tende ad anteporre il benessere collettivo a quello personale, o comunque a considerarlo una premessa indispensabile. Non ci dimentichiamo che la Corea è stato il primo Paese a risollevarsi pienamente dopo la crisi del 1998, in un colossale sforzo collettivo, che portò addirittura alla donazione di oro alla Patria.  Anche prima dell’emergenza coronavirus, le mascherine venivano ampiamente utilizzate sia come protezione per le polveri sottili, sia da persone raffreddate: in questo caso non tanto come dispositivi per proteggere sé stessi, quanto per gli altri. Credo che il successo del caso coreano sia dovuto all’alto livello di cooperazione volontaria dei cittadini, congiunto alla eccezionale qualità dei sistemi di controllo e contenimento. Con questo non voglio dire che non vi siano eccezioni: il cosiddetto paziente 31, la sessantenne che, nonostante evidenti contatti con infettati, ha rifiutato ben due volte di farsi testare, ha finito per contagiare almeno 40 persone. A seguito di questi incidenti, il Governo ha varato in emergenza una legge per cui si rischia il carcere per la violazione della quarantena, conferendo così agli operatori sanitari una maggiore autorità.

Qui in Italia si è detto che la Corea si è fatta trovare più preparata nella gestione dell’emergenza perché veniva dall’esperienza della Sars. E’ così? Ci sono stati investimenti pubblici, in questi anni, per potenziare strutture, sistemi e metodologie di prevenzione e gestione di emergenze sanitarie?

Esatto. La Corea e Taiwan sono tra i pochi paesi che hanno dimostrato Procedure Operative Standard (SOP) solide e coerenti. La Corea ha investito molto nel controllo delle malattie infettive a seguito di precedenti esperienze con SARS e MERS.  La SOP sudcoreana richiede essenzialmente cinque passaggi: una campagna di informazione aggressiva e trasparente, test ad alto volume, veloce identificazione della popolazione a rischio e quarantena, trattamento di coloro che ne hanno bisogno e disinfezione di ambienti contaminati. Queste possono sembrare misure ovvie, ma non lo sono.

Come funzionano i test? Avete problemi nel reperimento delle mascherine?

I test sono gratuiti per chi presenta sintomi, altrimenti costano circa 80 euro. Il governo ci fornisce le mascherine ma le paghiamo a un prezzo simbolico, un euro l’una. In farmacia ne possiamo ritirare due a settimana presentando un documento d’identità.

Ultima modifica il Domenica, 29 Marzo 2020 13:02

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