Di Francesco Marrelli, segretario provinciale Cgil L'Aquila - Si avvicina un 1 maggio 2020 singolare a cui l’emergenza coronavirus offusca il senso della festa e dello stare tutti insieme in una grande piazza.
Cgil, Cisl e Uil hanno giustamente, nel pieno rispetto delle norme emergenziali, sospeso la manifestazione nazionale prevista a Padova ed il concertone a Piazza San Giovanni. Si prevedono modalità alternative per ricordare come ogni anno che sul lavoro si fonda la nostra Repubblica.
Lo slogan “Il lavoro in sicurezza: per costruire il futuro”, scelto per questo primo maggio, ci riporta al tema della sicurezza così importante e delicato in un momento in cui tutte le nostre sicurezze sono in discussione.
Il Decreto del 26 Aprile 2020, che dispone la lenta e graduale ripartenza delle attività produttive interrotte, ci pone di fronte a scenari di necessarie distanze mai così lontani dal nostro consueto agire sindacale, né dal nostro modo di intendere e sentire la vita quotidiana anche nei luoghi di lavoro.
E’ davvero difficile per la Cgil dell’Aquila non ricordare un altro 1 maggio che si svolse anch’esso in piena emergenza e fu espressione di solidarietà e di vicinanza.
Era il 2009, quando le segreterie unitarie Cgil, Cisl ed Uil, cambiando anche allora programma, scelsero la Piazza dell’Aquila per la manifestazione nazionale.
Fu un 1 maggio all’insegna della sobrietà, senza bandiere, senza cortei, senza striscioni, ma carico di un grande significato prospettico: dalla tragedia che vivevano le popolazioni del territorio duramente colpito dal sisma si doveva rinascere e ricostruire all’insegna della sicurezza, della legalità e della sostenibilità ambientale che, sembra banale ricordarlo, sono concetti che non si concretizzano senza diritti e senza solidarietà.
Nella ricostruzione di case ed anime, attraverso il lavoro, si vedeva allora una possibile via d’uscita dalla crisi che colpiva duramente tutto il Paese.
La rinascita e la ricostruzione della città dell’Aquila e del suo territorio provinciale potevano diventare terreno di sperimentazione di modalità differenti per la ripresa economica attraverso il lavoro che, come ebbe a dire allora Epifani, muovendosi contestualmente sul doppio binario della sicurezza, della legalità, della serietà da una parte e su quello di investimenti su università e ricerca dall’altra, avrebbe dovuto rappresentare il principale motore di rinascita economica ed avrebbe dovuto scongiurare il riproporsi di tragedie come quella che stava vivendo la nostra gente.
Non è difficile comprendere una certa amarezza nel fare parallelismi tra le due date di una stessa Festa del Lavoro per la Cgil dell’Aquila: da una parte ritroviamo ancora oggi l’idea che il mondo del lavoro, saprà fornire un grande e sostanziale contributo alla soluzione di un’altra drammatica emergenza che avrà conseguenze critiche facilmente immaginabili per l’economia e la tenuta sociale dei Paesi coinvolti; dall’altra sappiamo, però, che, pur avendo coerentemente lavorato in tutti questi anni per una ricostruzione di qualità, improntata ai valori di cui sopra, un nuova tragedia ha chiuso il cantiere più grande d’Europa e ha bloccato ogni progetto di rilancio economico e sociale del nostro territorio cittadino e provinciale. Un territorio dove, in questi undici anni, nonostante il nostro impegno quotidiano, si sono persi 10.000 posti di lavoro. Un territorio che crisi, sisma, abbandono ed incapacità della politica stanno drammaticamente condannando allo spopolamento.
Ora come allora il nostro pensiero non può non rivolgersi alle tante lavoratrici ed ai tanti lavoratori, che nonostante l’emergenza hanno continuato a lavorare per garantirci la produzione e la commercializzazione dei beni di prima necessità; hanno continuato ad assicurare a tutti noi l’erogazione dei servizi essenziali; ci hanno garantito l’istruzione, la formazione e l’informazione; hanno presidiato i nostri territori; hanno garantito la sicurezza contro il dilagarsi del virus. Con abnegazione e spirito di servizio hanno curato i nostri malati, mettendo a rischio la propria salute e quella delle loro famiglie.
Tutti e tutte hanno adempiuto al loro dovere, hanno prestato il loro lavoro, arrivando anche a sacrificare le loro vite. Sono i tanti lavoratori e lavoratrici di questo Paese, che esaltiamo come eroi nella fase emergenziale per poi riposizionarli nell’abisso del dimenticatoio, umiliandoli, sfruttandoli, sottopagando il loro lavoro e privandoli dei diritti fondamentali.
Nessuno può dimenticare l’immane opera di salvataggio messa in campo dai Vigili del Fuoco e da tutta la catena dei soccorsi a poche ore dal sisma del 2009, come oggi nessuno potrà mai dimenticare l’immagine dei medici, infermieri, o.s.s. e tecnici sanitari con i volti provati dalla fatica, feriti nel fisico e nell’anima dalla tragedia che hanno vissuto in prima linea.
In questa fase storica il nostro pensiero va ai tanti lavoratori e alle tante lavoratrici private del salario; che vivranno per i prossimi mesi con il sostegno economico della cassa integrazione, con la riduzione economica che questa comporta, con le difficoltà che dovranno affrontare per sostenere se stessi e le loro famiglie; con la paura che quel posto di lavoro forse non ci sarà più in futuro; con il terrore di ritrovarsi da soli ad affrontare l’emergenza.
Non è più ammissibile lasciare le persone prive del reddito necessario per vivere una vita dignitosa, nessuno può esser lasciato solo. Il senso di comunità e di appartenenza deve avere la priorità rispetto al profitto e deve far riflettere la Politica e le Istituzioni affinché si intervenga con un nuovo progetto di inclusività e di tutela delle fasce più deboli della popolazione.
Scopriamo oggi, dopo aver reso schiavi i migranti che lavorano in agricoltura, che senza di loro non si coltivano i campi e non si hanno raccolti.
Il lavoro che svolgevano e che svolgono per pochi euro l’ora e in condizioni di vita disumane ci consente di poter trovare sulla nostra tavola i prodotti della terra con cui ci nutriamo. Bisogna garantire loro la regolarizzazione e l’applicazione dei contratti di lavoro.
Il lavoro deve tornare ad essere il valore fondante della nostra Repubblica!
La costrizione in cui viviamo, la necessaria distanza tra le persone non può trasformarsi in una distanza dalla memoria. Quella delle lotte contadine ed operaie che riconsegnarono il nostro Paese ai valori di libertà, democrazia, giustizia sociale e solidarietà. La Festa del 1 maggio, come la Festa della Liberazione, devono rappresentare nella coscienza di tutti e tutte patrimonio valoriale collettivo ed individuale. Si tratta di un patrimonio che abbiamo il dovere di conservare, difendere e trasmettere.
Troviamo quindi conforto nella coerenza ideologica e programmatica del tema scelto per il 1 Maggio 2020 e riassunto nello slogan. Ci consente ancora di continuare a pensare che la (ri)costruzione di un mondo migliore, anche locale, si declini attraverso la dignità di un lavoro che, anche se sicuramente va ridefinito impegnando ogni livello di responsabilità, deve sempre rappresentare il punto fermo per la ripartenza e la rinascita.