Restano profonde le differenze tra regioni nella diffusione dei tamponi: se il tasso settimanale più basso si registra in Puglia - è di 2,64 tamponi per 1000 abitanti nell'ultima settimana, a cavallo tra la 'fase 1' e la 'fase 2' - quello più alto è nella Provincia Autonoma di Trento (14,14 per 1000 abitanti); segue il Veneto con 12,78 per 1000 abitanti.
L'Abruzzo si ferma a 5,44, sotto la media nazionale (6,62 per 1000 abitanti): la nostra regione fa meglio soltanto del Lazio (4,87), di Sardegna (4,12), Campania (3,88), Sicilia (3,66), Calabria (3,47) e Puglia.
Osservando il dato dall'inizio dell'epidemia da coronavirus, a livello nazionale il 2,51% della popolazione ha eseguito il tampone. Il valore massimo si registra in Valle d'Aosta con il 5,05% ed in Veneto con il 4,64%, il minimo in Campania (0,84%): anche in questo caso, l'Abruzzo è al di sotto della media nazionale col 2,35% della popolazione sottoposta a test; la regione fa meglio di Liguria, Lazio, Calabria, Puglia, Sicilia, Sardegna e Campania.
A fotografare l'andamento della diffusione dei tamponi diagnostici in Italia è la sesta puntata dell'Instant Report Altems Covid-19, il report settimanale dell'Alta scuola di economia e management dei servizi sanitari dell'Università Cattolica (Campus di Roma), il primo nella 'fase 2' [puoi scaricarlo qui]. Il report si basa sull'utilizzo di un set di indicatori per misurare le performance nell'affrontare questa crisi senza precedenti.
Anche per quanto riguarda i test sierologici, che hanno generato attesa e sono additati da tutti come uno strumento essenziale della Fase 2, le Regioni si sono mosse in ordine sparso. Sono 6 quelle che hanno avviato i test per verificare chi ha avuto l'infezione da Sars-CoV-2 nell'ambito di programmi che vedono diverse strategie di campionatura e diverse tecnologie: la prima è stata il Veneto (31 marzo), l'ultima il Lazio che attiverà il programma lunedì 11 maggio; l'Emilia Romagna, le Marche, il Piemonte e la Lombardia sono le altre regioni che si sono mosse.
Il Decreto Legge 9 marzo 2020 art 14, prevede l’attivazione delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale – USCA nella misura di una ogni 50.000 abitanti e con il mandato di gestire in assistenza domiciliare i pazienti che non necessitano di ricovero. Ebbene, in questo caso l'Abruzzo fa registrare una delle performance migliori, col 69%, ben al di sopra della media nazionale (31%). Valle d’Aosta (84%) ed Emilia Romagna (91%) mostrano i tassi più alti, mentre i valori più bassi si registrano in Campania (4%) e Sardegna (3%). Nel report si ricorda, però, come la presenza delle USCA non sia di per sé un indicatore di assistenza territoriale, in quanto ogni Regione ne ha deliberato o meno l’attivazione con lo scopo di integrare, secondo le necessità, una capacità di gestione territoriale pre-esistente, che appariva e appare molto eterogenea nel confronto tra le diverse regioni.
I ricercatori hanno fotografato anche la cosiddetta 'readiness' (prontezza) per la 'fase 2'. E se dall'analisi delle delibere regionali emerge che per la 'fase 1' ben 16 Regioni hanno predisposto un provvedimento di 'programmazione sanitaria regionale', al momento "solo Toscana ed Emilia Romagna hanno deliberato un documento di programmazione sanitaria a supporto della gestione nella fase 2", segnala il report. In totale sono 8 le Regioni ad aver dato delle 'Linee di indirizzo per la ripresa delle attività ospedaliere e ambulatoriali' non legate all'emergenza Covid-19: tra queste Toscana ed Emilia Romagna, insieme a Veneto, Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.