Nei giorni scorsi l'ISPRA ha presentato l'edizione 2020 del report "Consumo del suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici" da cui emerge come la corsa del cemento in Italia non si arresta.
Nel momento in cui nasciamo abbiamo già la nostra porzione di cemento: 135 mq per ogni neonato.
L'aumento del consumo di suolo non va di pari passo con la crescita demografica e in Italia cresce più il cemento che la popolazione: nel 2019 i 57 milioni mq di nuovi cantieri e costruzioni (2 mq al secondo) si registrano in un Paese che vede un calo di oltre 120.000 abitanti nello stesso periodo.
La copertura artificiale avanza anche nelle zone più a rischio del Paese: nel 2019 risulta ormai sigillato il 10% delle aree a pericolosità idraulica media P2 (con tempo di ritorno tra 100 e 200 anni) e quasi il 7% di quelle classificate a pericolosità elevata P3 (con tempo di ritorno tra 20 e 50 anni).
L'Abruzzo, secondo i dati ISPRA pubblicati negli anni precedenti, su un'estensione di 10.831 kmq presenta un'area a pericolosità frana di 1.678,2 kmq (15,5%, ben oltre la media nazionale ferma all'8,4%) e ha poi oltre il 90% di comuni interessati da aree a pericolosità da frana P3 e P4 e/o idraulica P2: di 305 comuni, ben 304 sono quelli a pericolosità frana elevata o molto elevata e pericolosità idraulica media. Fortunatamente nel 2019 si è costruito meno nelle aree naturali protette anche se dei 61,5 gli ettari di suolo compromesso, ben 10,3 ettari sono concentrati in Abruzzo.
Pesante l'occupazione delle coste, già cementificate per quasi un quarto della loro superficie: qui il consumo di suolo cresce con un'intensità 2-3 volte maggiore rispetto a quello che avviene nel resto del territorio.
In un precedente studio dell'ISPRA del 2018, dalla linea di costa entro i primi 300 metri l'Abruzzo col 36,6% di suolo consumato si collocava tra le regioni con la percentuale più alta mentre in collina segnava addirittura il primato nazionale col 21,7%. In generale, secondo i dati del Report ISPRA 2020 l'Abruzzo è al 4,96% di territorio consumato e si posiziona ancora sotto la media nazionale, ma il dato è in crescita: in termini di incremento percentuale rispetto alla superficie artificiale dell'anno precedente, nella nostra regione si registra il secondo valore più elevato (+0,39%), subito dopo la Puglia (+0,40%), e prima di Sicilia (+0,37%) e Veneto (+0,36%).
L'incremento di consumo di suolo pro-capite regionale è stato di 1,60 mq/abitante contro la media nazionale di 0,9 mq. Sempre nel confronto tra il 2018 e il 2019, l'Abruzzo nell'incremento di percentuale di consumo di suolo registra lo 0,39%, quasi il doppio della media nazionale che è allo 0,24%.
Tra le province italiane, Teramo con lo 0,57% raggiunge il quarto posto tra quelle che hanno registrato l'incremento percentuale maggiore rispetto al valore del 2018 dopo Cagliari (+0,98%), Messina (+0,64%) e Verona (+0,62%). Pescara risulta essere tra i capoluoghi di provincia con la maggiore percentuale di superficie artificiale rispetto ai confini amministrativi (51%), anche se viene segnalato il dato positivo di circa mezzo ettaro recuperato grazie alla rinaturalizzazione di alcuni piazzali in terra battuta.
Con la situazione descritta è evidente che la Regione Abruzzo dovrebbe applicare una politica urbanistica che punti al controllo del consumo inteso però non in termini assoluti, bensì in ragione di un bilancio, tra suolo occupato e recuperato, che tenga conto anche delle variazioni qualitative degli usi del suolo oltre che quantitative. Va approvata una norma regionale, coordinata con le normative urbanistiche vigenti (da aggiornare, peraltro: la legge urbanistica regionale è del 1983!), che disciplini l'uso del suolo nell'ottica conservativa di recupero e rigenerazione dell'edificato esistente e dei suoli a vario titolo impermeabilizzati.
Non è possibile contenere il consumo di suolo senza avere un quadro esaustivo della situazione attuale e dei trend in atto: per questo è fondamentale avere contezza del bilancio netto tra suolo occupato e recuperato, dato che si può ottenere solo introducendo meccanismi di contabilizzazione del fenomeno. La procedura di VAS degli strumenti urbanistici potrebbe rappresentare il dispositivo per dare efficacia a tale forma di monitoraggio. A ciò deve accompagnarsi una maggiore manutenzione del territorio (e non solo delle infrastrutture) basata su criteri di rinaturalizzazione e ripristino della funzionalità ecologica. In particolare, la Regione dovrebbe favorire il recupero della capacità di ritenzione delle acque nelle zone di montagna e collinari, promuovendo il mantenimento e, ove possibile, l'aumento della superficie boschiva strutturata e di qualità e rinaturalizzando i corsi d'acqua montani per garantire una reale riduzione del rischio idrogeologico. Deve essere netta l'opposizione a qualsiasi nuova costruzione negli alvei fluviali ed è fondamentale recuperare e ampliare, nei fondovalle e nelle pianure, le zone di esondazione naturale dei fiumi per consentire un'adeguata gestione dei sempre più frequenti devastanti e improvvisi eventi di piena.