Lo scorso 4 novembre, nella seduta straordinaria convocata per discutere dell’emergenza sanitaria causata dalla seconda ondata della pandemia, il consiglio comunale ha approvato, all’unanimità, un ordine del giorno che, tra le altre cose, proponeva di “accreditare e coinvolgere l’università nel processamento dei tamponi molecolari”, quelli che vengono effettuati sulla popolazione per rintracciare i casi di positività al virus.
La proposta, rilanciata da diversi esponenti politici anche nei giorni successivi, partiva dal presupposto che l’ateneo aquilano dispone già di un laboratorio di diagnostica molecolare, che quindi potrebbe essere facilmente “riconvertito” a centro per effettuare screening di massa, in un momento in cui i tamponi che vengono processati sia dalla stessa Asl che dai laboratori privati come Dante Labs non riescono a stare dietro al reale diffondersi del virus.
In attesa del nuovo consiglio che si terrà il 27 novembre, durante il quale si farà un nuovo punto della situazione per verificare anche lo stato di attuazione dell’ordine del giorno approvato a inizio mese, siamo andati a visitare il laboratorio Univaq.
Il Centro di ricerca di diagnostica molecolare e terapie avanzate dell’Università dell’Aquila, situato al piano terra dell’edificio Delta 6 dell’ospedale S. Salvatore (intitolato a Rita Levi Montalcini), nasce nel 2013 grazie a una donazione da un milione e mezzo di euro ricevuta dalla provincia dell’Ontario e dall’ Aerf, l’Abruzzo Earthquake Relief Fund, con sede a Toronto, in Canada.
Il laboratorio, diretto dalla professoressa Maria Concetta Fargnoli, è convenzionato, dal 2018, con la Asl, per conto della quale effettua test e analisi per la diagnostica oncologica.
Tra gli strumenti di cui dispone il laboratorio ce n’è uno che consente di effettuare test diagnostici basati sul metodo Real Time Pcr (acronimo inglese di “reazione a catena della polimerasi”), che ha varie applicazioni ma che è uno dei metodi più efficaci e attendibili per rilevare il coronavirus durante la fase attiva dell'infezione, indipendentemente dal fatto che una persona sia sintomatica o meno.
E’ una macchina che non ha bisogno di grandi spazi (è grande grosso modo come una fotocopiatrice) e che ha un costo abbastanza contenuto (circa 20mila euro). Se venisse impiegata per l’emergenza Covid, potrebbe a refertare 200 tamponi ogni tre ore, il che significa che, a regime, in un normale giorno lavorativo, potrebbe arrivare a processare, in totale sicurezza per gli operatori, oltre 600 test, i cui risultati sarebbero pronti in 24 ore.
E’ chiaro che se si decidesse di fare una cosa del genere sarebbe necessario acquistare altre macchine, perché quella che c’è oggi dovrebbe comunque continuare a essere usata per la diagnostica oncologica, ma in questo momento trovare questo tipo di tecnologia sul mercato, insieme ai reagenti di cui avrebbe bisogno per funzionare, è ancora relativamente facile.
Nel laboratorio ci sono altri strumenti che consentirebbero di aumentare di molto le attuali capacità diagnostiche anti Covid delle strutture pubbliche: un sequenziatore di acini nucleici e un macchinario per i test sierologici. Quest’ultimo è in grado di effettuare migliaia di test al giorno. Univaq lo ha già sperimentato con successo per sottoporre a screening i propri dipendenti (dai professori agli amministrativi) ma, in questa fase, potrebbe essere agevolmente utilizzato anche per i privati.
Oltre ai macchinari, il laboratorio, dove già lavorano una trentina tra professori, specializzandi e tecnici, avrebbe già anche il personale, il know how e le competenze per riconvertirsi, nel giro di poche settimane, in un “punto tamponi”.
Per entrare in funzione avrebbe bisogno solo del personale infermieristico, quello deputato a fare materialmente i tamponi naso-faringei. Ma sarebbe un ostacolo facile da superare: basterebbe sottoscrivere una convenzione con la Asl o allargare quella già esistente.
Una volta entrato in funzione, il laboratorio avrebbe anche dei costi contenuti, limitati all’acquisto dei kit, dei reagenti e alla manutenzione dei macchinari. Questo consentirebbe probabilmente di processare i tamponi a prezzi molto più contenuti rispetto a quelli che vengono sostenuti oggi per mandarli allo Zooprofilattico di Teramo o ai laboratori di Pescara e Chieti.
La strada, insomma, sarebbe bella che spianata e davvero non si capisce il motivo per cui le istituzioni locali non si siano ancora attivate per l'accreditamento. In tempi di “guerra” come quelli che stiamo vivendo, è impensabile non avvalersi di una struttura di eccellenza come questa.
“Da parte nostra” dice il rettore Univaq Edoardo Alesse “c’è la massima disponibilità nel mettere a disposizione le nostre competenze e le nostre eccellenze. Se ci chiamassero, saremmo pronti”.