"Esiste una piccolissima possibilità che i quattro escursionisti fossero usciti dalla Valle Majelama e che siano da qualche parte fuori dalla valle; le ricerche, però, sono state molto estese. Al 99,99%, sono sepolti dalla gigantesca valanga, in realtà pare siano state diverse valanghe staccatesi dai ripidissimi pendii del Monte Cafornia verso la parte finale della Valle Majelama, che prende il nome di Valle del Bicchero. Purtroppo, hanno commesso un grave errore: in montagna, come in altre situazioni della vita, a volte gli errori si pagano in modo terribile".
Al tramonto del sedicesimo giorno di ricerche dei quattro escursionisti dispersi sul Monte Velino, con uno spiegamento di uomini e mezzi che non si era mai visto in Abruzzo, Stefano Ardito, tra le firme più note del giornalismo di montagna, ragiona ai nostri microfoni su ciò che potrebbe essere accaduto il 24 gennaio scorso.
"La storia dell'alpinismo è piena di errori, che possono essere commessi anche da escursionisti esperti; è una impressione, sia chiaro, ma quel giorno c'era vento fortissimo e chiunque, me compreso, avrebbe potuto avere la tendenza ad infilarsi in una valle protetta piuttosto che salire per un pendio scoperto ed esposto al vento. Aveva scaldato, nei giorni precedenti era persino piovuto, e la neve sui versanti a sud era abbastanza poca, lo si vedeva chiaramente dal campo base di Forme. Entrando nella valle, però, si va a finire su pendii quasi completamente esposti a nord che erano evidentemente carichi di neve. Purtroppo, errori di questo genere possiamo compierli tutti".
Ci sono persone inesperte che vanno a fare passeggiate senza essere adeguamente preparate, e infatti - sottolinea Ardito - "la maggior parte degli interventi del Soccorso alpino riguardano escursionisti con le ciaspole a pochissima distanza dalle stazioni sciistiche"; ci sono escursionisti, però, "che frequentano assiduamente le nostre montaghe, che ne hanno esperienza in condizioni estive, ma che non le conoscono abbastanza in veste invernale. Tuttavia, non posso dire se sia questo il caso".
Ardito fa un esempio chiarissimo: "pensate a Campo Imperatore, al pendio che sale al rifugio Duca degli Abruzzi; in estate, è un sentiero semplice che richiede una mezz'ora di cammino. D'inverno si può andare con gli scarponi, a volte possono servire i ramponi; arrivati sulla cresta della Portella però, esposta al vento, si trova quasi sempre ghiaccio: ebbene, nelle belle giornate lì si incontrano sempre, sempre, persone con attrezzatura assolutamente inadeguata. Ho suggerito più volte di creare un filtro alla base del pendio, non per fermare d'autorità gli escursionisti, sia chiaro, ma per dare loro dei suggerimenti. Un meccanismo di questo genere potrebbe portare un po' di lavoro per le guide; in Francia, esistono soluzioni che permettono, con una cifra limitata, di comprare il biglietto della funivia, avere a noleggio materiale corretto e fare un giro sul ghiacciaio con una guida alpina. Si potrebbe organizzare sul monte Portella, per esempio. Vivere la montagna in sicurezza dipende dai comportamenti degli escursionisti ma anche dalla capacità delle strutture organizzate di fare scelte innovative e intelligenti. Non solo divieti di frequentare la montagna fuori dai circuiti, fuori dai paesi, insomma: c'è bisogno di attenzione, creatività, e della presenza di forze che conoscano la montagna non solo dopo, quando c'è da recuperare gli infortunati, ma prima, quando le persone hanno bisogno di indicazioni precise".
Ovviamente, bisogna approcciarsi alla montagna "con attenzione, rispetto e umiltà" ribadisce Ardito; "in Abruzzo, esistono delle realtà che permettono di imparare a frequentare la montagna in sicurezza. Le Guide alpine sono a disposizione, organizzano corsi e uscite, così le sezioni del Cai. I modi per imparare ci sono: servono umiltà e disponibilità all'ascolto".
Tornando sul Monte Velino, c'è chi sostiene che, oramai, sia tempo di fermare le ricerche. "E' una situazione terribile, una scelta dolorissima" sottolinea Stefano Ardito; "va rispettato il dolore dei familiari, degli amici, di tutta la comunità della Marsica. Credo che l'unico spartiacque possibile rispetto a questa decisione sia la sicurezza dei soccorritori; già nelle primissime ore, c'è stata una prima fase di ricerca all'interno della valle con gli elicotteri abilitati al volo notturno: c'era vento forte, è stato pericolosissimo. All'alba, sono arrivate le squadre via terra: dopo qualche ora, si è deciso di rinviare le ricerche al giorno successivo. Non era sicuro stare dentro la valle; ovviamente, i responsabili del Soccorso alpino non possono dichiararlo: è certo, inevitabile e umanamente giusto, però, che i soccorritori accettino dosi di pericolo diverse a seconda che stiano cercando persone che possono essere ancora vive oppure no. E' doloroso ma credo sia giusto".
Certo è che, in campo, sta operando uno spiegamento interforze più che adeguato, con l'utilizzo di tecnologie all'avanguardia. "La tecnologia ha fatto passi avanti incredibili negli ultimi anni", riflette Ardito; "gli scialpinisti e molti frequentatori della montagna invernale usano l'Arva o Artva, uno strumento che non solo consente di essere ritrovati ma che permette di ritrovare i compagni finiti sotto una valanga. Così, aumenta tantissimo la possibilità di trovare persone vive: le ricerche ci dicono che dopo un quarto d'ora, venti minuti è difficile estrarre una persona ancora viva. E in venti minuti, l'elicottero di certo non può arrivare. Negli ultimi giorni, ho approfondito il sistema Recco - in uso sul Monte Velino - parlando con i responsabili in Italia e con la casa madre in Svezia: è un sistema che funziona bene con l'utilizzo di apposite piastrine, già inserite in capi d'abbigliamento, scarponi da sci e così via, ma che si possono anche comprare ad un prezzo accessibile. Stiamo parlando, però, di una ricerca passiva, che si fa qualche ora dopo. Il sistema potrebbe funzionare, anche se meno bene, con strumenti elettronici, anche se spenti o scarichi, come telefonini e chiavi della macchina; ha una vaga possibilità di ritrovare oggetti di metallo ma le funzionalità, in questi casi, sono molto ridotte. Ho visto usare il georadar nelle ricerche scientifiche sui ghiacchi dell'Himalaya: se il georadar portato in quota in queste ore riuscirà a trovare qualcosa, sarà una buona notizia per il futuro e avrà dato senso a ricerche portate avanti così a lungo".
Intervista realizzata da Marco Giancarli