Sono ore di attesa e di speranza, sempre più flebile, al campo base dei soccorsi sulla Marmolada, a poche ore dalla tragedia che è costata per ora la vita a 7 alpinisti e con il numero dei dispersi sceso a cinque. Numeri provvisori che dovranno fare i conti con ciò che la montagna deciderà di restituire e che tracciano l’enormità di questa sciagura.
Una tragedia per alcuni prevedibile, per altri invece una assurda fatalità non calcolabile neanche per gli alpinisti più esperti. Di questo abbiamo parlato con il presidente generale del Cai Antonio Montani, presente all’Aquila per prendere parte alla presentazione del volume di Antonio Massena, “La memoria della luce”.
Presidente con i contorni di questa tragedia che ancora non sono ancora ben definiti, alcuni parlano di una tragedia annunciata. E’ così?
Era prevedibile per certi versi ma non in quel posto, in quel momento e soprattutto con quelle dimensioni. Si sta ragionando molto in questi momenti se fosse o meno prevedibile. Noi sappiamo che purtroppo da qui alla fine della stagione, ci saranno altri crolli sulle Alpi a causa della scarsità di innevamento. Durante l'inverno si è tolta quella coltre protettiva dalle montagne non soltanto nelle zone dove ci sono i ghiacciai, ma anche dove c'è la roccia, il permafrost, insieme a questi apparati rocciosi, quindi siamo in una situazione davvero difficile.
In quella giornata in cima alla Marmolada c'erano circa 14°. In queste ore abbiamo ascoltato i pareri di molti esperti della montagna, dall'alpinista Simone Moro fino a Mauro Corona e altri alpinisti che hanno dato la loro impressione su quello che è accaduto, la cosa su cui concordano è che una temperatura così elevata in una quota fa riflettere su quelli che sono i cambiamenti climatici. Lei cosa ne pensa?
I cambiamenti climatici sono molto gravi e io credo che quello che è successo sia anche per certi versi un grido di dolore della montagna e del pianeta. La montagna è il luogo dove certi fenomeni accadono prima, ma io credo che se noi non riusciamo a comprendere che davvero il nostro tempo è scaduto e non interveniamo in maniera significativa, quello che oggi è accaduto in montagna, domani accadrà in pianura. Ci troviamo di fronte a cambiamenti epocali, dobbiamo aprire gli occhi ognuno nel suo piccolo, la politica deve attivarsi per fare qualcosa.
L'Abruzzo con le sue montagne ha pagato un tributo di sangue elevato con la tragedia del Velino dello scorso anno e ogni volta che accadono incidenti così gravi spesso sindaci e amministratori tendono a prendere provvedimenti di chiusura della montagna. Lei è daccordo?
Non si può generalizzare naturalmente ci sono situazioni di evidente pericolo dove è giusto chiudere, ma una chiusura generalizzata o peggio ancora una paura diffusa di quelle che possono essere le conseguenze e quindi una chiusura preventiva, senza troppe attenzioni sarebbe altrettanto dannoso perché, ricordiamoci, la montagna crea un benessere nelle persone che la frequentano, ed ha dei benefici anche a carattere sociale, per cui noi siamo assolutamente contrari alla chiusura della montagna. Naturalmente come dicevo prima al netto di casi particolari .
Spesso si parla di persone che salgono in quota mal equipaggiate, sia in termini di attrezzatura che culturalmente, spesso privi di quella che è la conoscenza di base per l'approccio di una qualsiasi montagna che possa essere appenninica o di altre catene montuose che comunque sono presenti nel nostro territorio. Al netto della preparazione però, sulla Marmolada sono morte guide alpine, membri del CAI, persone che avevano esperienza. Può essere questo un ulteriore allarme che anche l'esperienza a volte non basta?
Sì è vero la montagna è pericolosa intrinsecamente. Chiaro, l'esperienza aiuta, la preparazione è fondamentale però noi dobbiamo capire, e questo dobbiamo ricordarcelo sempre, che la montagna ha in sé una dose di pericolo e che quindi la sicurezza assoluta in montagna non esiste. In montagna, può esistere l'incidente, la casualità, la tragedia fatale per cui non si può ragionare con le logiche di pianura. Se io cammino sul marciapiede e inciampo e mi faccio male, mi viene da denunciare il Comune perché c'era una buca, in montagna questa logica non è applicabile. Chi va in montagna deve sapere che ha una componente di rischio che è sempre ineliminabile.
Tornando proprio all'attualità e a questa immane tragedia della Marmolada con le ricerche che sono ancora in corso prevalentemente con droni perché appunto c'è una parte di seracco che potrebbe ancora venire giù, secondo lei come procederà nelle prossime ore la macchina dei soccorsi?
Intanto approfitto di questa domanda per fare un ringraziamento a tutti i nostri volontari del Soccorso alpino, sono oltre 4000 in Italia che a una semplice chiamata si mettono a disposizione e sovente mettono a rischio la propria vita per andare a soccorrere. Io credo che l'attenzione principale deve essere rivolta a questi volontari, a queste persone che sono lì a operare per i soccorsi. Per questa ragione, proprio perché c'è una situazione che non è tranquilla è meglio sospendere e riprendere successivamente, piuttosto che sottoporre a rischio queste persone. Io spero che tutti i dispersi vengano trovati ma come diceva lei ormai le possibilità sono veramente flebili. Io purtroppo ho anche amici che non sono più tornati dalla montagna, che sono rimasti sepolti nei ghiacciai e magari sembra, per chi non è appassionato, un prezzo inconcepibile da pagare però, dobbiamo ricordare che l'uomo è fatto anche per seguire le proprie passioni. Sono tragedie che vorremmo non succedessero mai, ma bisogna avere anche comprensione per tutte quelle persone che in montagna provano emozioni che altrimenti non riescono a trovare.
Un'ultima domanda: il CAI e la montagna, due concetti paralleli che percorrono una strada spesso tortuosa, lastricata certamente da molte imprese coraggiose, ma anche da tanti incidenti. Proprio dinanzi a questi incidenti come può cambiare l'approccio del CAI per quanto riguarda la formazione?
Noi dobbiamo insistere tantissimo sulla formazione. L'abbiamo visto negli anni dopo la pandemia, in quel periodo c'è stato un incremento massiccio della frequentazione della montagna soprattutto da parte di persone che non l'avevano mai frequentata e quindi noi abbiamo un grande compito che ci siamo dati da soli, che è quello di fare formazione e informazione ai nostri titolati che sono quelle persone che poi a loro volta vanno a fare formazione ai soci e non soci. Il nostro compito è proprio quello di fornire la possibilità di una montagna consapevole e anche una montagna più bella e che da maggiori gratificazioni.