di Paolo Pietro Giorgi - In ordine agli arresti avvenuti nei giorni scorsi da parte delle forze dell’ordine [il riferimento è all'operazione Hello Bross, ndr], sento il dovere di intervenire, pubblicamente, per esternare alcune mie impressioni.
Da quando il fenomeno delle migrazioni ha manifestato nella nostra provincia tutta la sua enormità, ci siamo subito attivati, mantenendo fede ai nostri valori, per prestare i nostri servizi. I nostri centri sono organizzati per offrire non solo i servizi essenziali previsti dalle convenzioni con la Prefettura, ma altri ancora che riteniamo essenziali per una convivenza civile. Il rapporto di collaborazione effettiva con le forze dell’ordine e gli Uffici Immigrazione di Prefettura, Comune e con gli altri Enti, come la ASL, sono improntati alla massima collaborazione con scambi epistolari, elenchi, dati giornalieri.
Da quando gestiamo i cosiddetti CAS (Centri di Accoglienza) non abbiamo avuto episodi di gravi reati commessi dagli ospiti, perché se da un lato vengono garantiti i servizi con estrema puntualità, dall’altro tutti i comportamenti contrari al regolamento interno di gestione vengono prontamente puniti, anche con la richiesta alla Prefettura per la decadenza delle misure di accoglienza.
Nel caso specifico, c’è da osservare che i giovani arrestati non sono più nelle nostre strutture da oltre un decennio, proprio perché vennero meno per loro le misure di accoglienza, anche se nel documento in loro possesso risultano domiciliati presso di noi. Noi doverosamente, come avviene per prassi, abbiamo provveduto da tempo a comunicare all’Ufficio Anagrafe del Comune la decadenza del domicilio.
Ma qui è d’obbligo una riflessione che, al di là delle puerili strumentalizzazioni dell’ultima ora per effimero consenso populista, cerchi di studiare con attenzione il fenomeno dell’immigrazione come il più emergente per il pianeta, dopo la pandemia.
E’ talmente immenso e profondo che nessuno può dirsi estraneo.
Il flusso è ineludibile, non può essere fermato, perché cercare di fermarlo con la forza (e comunque inutilmente) significa condannare alla schiavitù o alla morte una quantità enorme di esseri umani. E questo vale per noi, come in tutte la altre parti del mondo.
Siamo d’accordo da sempre sulla necessità di rivedere le regole di accoglienza. Quelle attuali non sono condivise assolutamente neanche da noi. Siamo convinti che fare accoglienza seria significa dare possibilità di istruzione, integrazione, impiego in un quadro di regole chiare e condivise. Abbiamo proposto al Comune l’attivazione di protocolli per l’impiego dei giovani in lavori socialmente utili. Abbiamo trovato davanti a noi un muro di gomma. Per loro che sono accolti avere la possibilità di essere utili per la collettività è già forza vitale per una corretta integrazione.
Perché non si parla mai di quanti giovani che abbiamo accolto si sono integrati? Che lavorano con successo, persone oneste che pagano le tasse, che hanno formato famiglia: i loro figli saranno a giudicare le nostre azioni.
Ma forse è una nostra manchevolezza.
Faremo il possibile per portare testimonianze di integrazione seria. Siamo convinti che i giovani che hanno perso le misure di accoglienza non debbano essere messi per strada, perdendone le tracce, senza controllo, ma che, al contrario, debbano fare un percorso diverso, più controllato e sicuro verso l’obiettivo che lo Stato deciderà.
Certo che il plauso alle forze dell’ordine da parte nostra è sentito e convinto, se non altro perché fa “pulizia” in città e mette al sicuro anche i nostri centri. I militari sono i nostri angeli custodi, ma non vanno lasciati soli. E non ci dobbiamo domandare perché la mafia trovi terreno facile sulle miserie umane, perché noi italiani lo sappiamo bene cosa significa e su quale strato sociale affonda la propria linfa e forza. Come essa riesca anche a coinvolgere in progetti elettorali uomini di primissimo spessore politico. La corruzione che ogni giorno viviamo e sentiamo vicino a noi e alla quale sembriamo abituarci, soprattutto quella nostrana. Siamo stati noi i maestri in questo, anzi lo siamo ancora noi, leader mondiali incontrastati.
Quando nel nostro Meridione manca lavoro, manca controllo sociale, manca la scuola, manca l’oratorio, manca lo Stato. Quando con le espulsioni dai centri di accoglienza si creano etnie ben strutturate, con l’assenza di un lavoro, di servizi essenziali, manca lo Stato.
Nell’uno e nell’altro caso trova spazio la mafia che cerca di dare risposte che lo Stato non dà. E quel business non sta a guardare se sei italiano o africano o albanese. Coinvolge chi ha bisogno, a prescindere, proprio come la pandemia. E se dovessimo pensare che il sangue innocente dei morti in Libia, in Turchia, nel Mediterraneo, così come le vittime di mafia interna ed esterna riguardi solo “il vicino” faremmo un errore fatale di valutazione perché quel sangue ci inonderà inesorabilmente.
Dobbiamo avere il buon senso delle nostre azioni con una politica di accoglienza e controllo che non lasci spazio alle libertà incontrollate. Insomma un nuovo progetto di integrazione seria e costante nel tempo. E non si può dare la croce solo alle forze dell’ordine che “non controllano” come qualche scellerato vuole far credere o ai centri di accoglienza a cui si chiederebbe di fare gli aguzzini: è un problema squisitamente politico che bisogna risolvere immediatamente, cambiando le regole. Oppure, se questo non fosse possibile, prima che il fenomeno ci sommerga, dare la possibilità all’Europa di stabilire regole comuni, così come auspicato dal nostro presidente Sassoli.
Paolo Pietro Giorgi, Movimento celestiniano