Fondi neri, gonfiando i costi di operazioni con altri imprenditori, per versare i soldi al clan.
Il meccanismo era stato ideato da due imprenditori della provincia di Caserta, due fratelli vicini al clan Belforte, per incassare il 'pizzo' per l’organizzazione criminale e poi versarlo ai boss. In questo modo, il pagamento dell’estorsione diventava una operazione finanziaria.
La Direzione Investigativa Antimafia, la Divisione Anticrimine della Questura di Caserta ed il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Caserta hanno eseguito un decreto di sequestro beni e di sottoposizione all’amministrazione giudiziaria di aziende, emesso dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere su proposta del Direttore della DIA e del Questore di Caserta con la collaborazione della Guardia di Finanza, nei confronti dei due fratelli imprenditori operanti nei settori del cemento e della ristorazione.
La contiguità dei destinatari del Decreto all’organizzazione camorristica denominata clan “Belforte” era emersa nell’ambito di una inchiesta giudiziaria svolta nel 2014 dalla Squadra Mobile di Caserta con il coordinamento dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, definita processualmente nel 2016 per uno dei due imprenditori con sentenza di condanna a 8 anni di reclusione e 8.000,00 euro di multa; pronuncia sostanzialmente confermata nel 2017 in seconde cure - divenuta irrevocabile nel 2018 - dalla Corte di Appello del capoluogo campano che ha comminato all'imprenditore una pena a 5 anni e 5 mesi con 4.600,00 euro di multa.
E' stata riscontrata, anche grazie alle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, una strutturata modalità di riscossione del “pizzo” tramite l’azienda facente capo ai due imprenditori casertani. Il meccanismo criminale ideato si realizzava sia mediante sovrafatturazione degli importi dovuti, “gonfiando” i costi rispetto alle effettive forniture per consentire la creazione di “fondi neri” destinati al pagamento delle estorsioni, sia attraverso l’organizzazione di incontri tra gli estorti e gli appartenenti al clan. Tale sistema era così collaudato che gli imprenditori che avviavano nuove attività talvolta si rivolgevano spontaneamente ai predetti affinché indicassero i referenti dell’organizzazione da contattare per “mettersi a posto”.
L’odierno provvedimento ha comportato il sequestro di beni e l’amministrazione giudiziaria di imprese per un valore complessivo stimato in circa 30 milioni di euro interessando quanto risultato nella disponibilità, diretta ed indiretta, di uno dei suddetti imprenditori. Nel dettaglio si tratta di 3 società e 75 beni immobili ubicati nelle province di Caserta, Benevento, Salerno, L’Aquila e Parma (18 terreni, 18 abitazioni, 2 opifici industriali, 36 garage/magazzini ed 1 multiproprietà in costiera amalfitana), nonché 99 rapporti finanziari e 10 beni mobili registrati (5 autovetture, tra cui una Ferrari ed una Porsche, 3 imbarcazioni e 2 rimorchi). Con riferimento all’altro imprenditore è stata invece disposta l’amministrazione giudiziaria per il periodo di un anno delle 6 aziende a lui riconducibili.