di Mario Pizzola - Mai come in questo momento la parola “pacifista” è stata così vicina ad essere un insulto.
Se provi a ricordare che le guerre non nascono mai dal nulla, ma che hanno periodi più o meno lunghi di incubazione nella quale confluiscono cause storiche, economiche e politiche, sei tacciato di fare il gioco di Putin. Se provi a dire che questo non è il primo caso di aggressione alla sovranità di un’altra nazione e pronunci le parole Afghanistan ed Iraq, sei subito accusato di essere un nemico degli Stati Uniti e della civiltà occidentale. Se metti in dubbio che dando armi agli ucraini si possa favorire una soluzione negoziata del conflitto, nel migliore dei casi sei considerato un’anima bella che vive al di fuori della realtà. Se invece è il papa a dire che la corsa agli armamenti è una pazzia, la risposta è già pronta: “il papa fa il suo mestiere, ma le regole con cui funziona il mondo sono tutt’altra cosa”.
Così Francesco può tranquillamente declamare le sue esortazioni nel deserto della politica, come un suo predecessore, Benedetto XV, che inascoltato cercò di opporsi alla tragedia della prima guerra mondiale definendola “inutile strage”. Ma se esiste un fossato tra religione e realtà dell’agire umano, e se questo fossato è ritenuto incolmabile, per quale motivo 2000 anni fa è venuto al mondo un uomo che addirittura ha detto “amate i vostri nemici”?
La guerra in Ucraina, come ogni guerra, ha portato con sé tutto il suo carico di ferocia, la rottura di ogni freno allo scatenamento degli istinti più primordiali, il disconoscimento dell’altro come essere umano, l’azzeramento di ogni distinzione tra combattenti e civili inermi, i massacri e le fosse comuni. Bucha fa seguito alle barbarie di My Lai, di Halabja, del Ruanda, di Srebrenica e di altri eccidi consumati nelle tante guerre combattute dopo il 1945. Possibile che non abbiamo imparato nulla dai due terribili conflitti mondiali del secolo scorso?
L’uccisione in massa dei civili, quando è compiuta dai vincitori, non è un crimine? Ricordiamo Dresda, Hiroshima e Nagasaki.
Putin, ma non solo, evoca la possibilità di una guerra nucleare. Già in passato, all’epoca della crisi di Cuba nel 1962, l’umanità si è trovata di fronte all’incubo della morte atomica, ma allora c’erano leader del calibro di Kennedy e Kruscev che seppero far prevalere la ragione. Oggi siamo nelle mani di un personaggio che dice di vedere nazisti dappertutto e di un’ altro che non vede l’ora di far fuori l’interlocutore con cui dovrebbe intavolare trattative di pace. Essi dovrebbero avere in cima ai loro pensieri l’ammonimento di Albert Einstein: “io non so con quali armi sarà combattuta la terza guerra mondiale, ma la quarta guerra mondiale sarà combattuta con bastoni e pietre”.
Ma davvero, come ci dicono tanti esperti di geopolitica dell’ultim’ora, non esisteva nessuna alternativa tra resa e resistenza armata all’aggressione di Putin? Eppure, l’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev nel 2015 aveva condotto un sondaggio nazionale rappresentativo dal quale era emerso che, in caso di invasione e occupazione armata straniera del loro Paese, la maggioranza degli ucraini era favorevole alla difesa nonviolenta guidata dai civili. Anche senza voler ricordare Gandhi, che conquistò l’indipendenza dell’India senza ricorrere alle armi, abbiamo gli esempi molto più vicini a noi dei popoli cecoslovacco e polacco che hanno combattuto per la loro libertà senza spargimento di sangue e che hanno svolto un ruolo determinante per la dissoluzione dell’impero sovietico.
Ma la strada della resistenza nonviolenta organizzata e di massa, purtroppo, non è stata neppure tentata dalle autorità politiche ucraine. Lo sappiamo, la storia non si fa con i se. Ma dobbiamo interrogarci sul perché, alla fine, la guerra è diventata “inevitabile”.
La partita che si sta giocando in Ucraina è quella per il controllo del mondo. Con la guerra Putin vuole imporre la sua visione egemonica imperiale. Ma la guerra è anche l’occasione d’oro che gli Stati Uniti stanno utilizzando per cercare di mettere all’angolo l’avversario russo e tentare di riconquistare quel dominio globale che negli ultimi due decenni è apparso venir meno. La guerra è anche una manna dal cielo per le lobby delle armi, un motivo formidabile per giustificare ed espandere l’enorme spesa per gli apparati militari e gli armamenti. Se non ci fossero le guerre, dirette o per procura, come potrebbe prosperare quel “complesso militare - industriale” il cui condizionamento sulla società civile fu denunciato per primo proprio dal presidente americano, nonché generale, Dwight Eisenhower?
Ho fatto obiezione di coscienza nel 1971 e, come previsto allora dalla legge, ho scontato la mia condanna nel carcere militare di Peschiera del Garda. Anche allora c’era chi accusava i pacifisti di codardia e di essere ”né di qua né di là” solo perché avevano scelto di non intrupparsi in nessuno dei due blocchi militari ed auspicavano il superamento di ogni nazionalismo. Ma i nostri accusatori di allora erano i nostalgici del fascismo e i cappellani militari, ai quali rispose magistralmente don Milani. Oggi, invece, ad indossare la tuta mimetica sono capi di partito eredi di quello che fu il movimento internazionale dei lavoratori, che aveva le sue radici proprio nel rifiuto della guerra e nella solidarietà universale degli oppressi.
Sedotti dalla guerra come falene attratte irresistibilmente dalla luce che lentamente le distrugge, questi cosiddetti leader sono ormai incapaci di immaginare un mondo senza frontiere, senza eserciti e Stati nazionali. Essi sono prigionieri dell’atavica legge dell’ ”occhio per occhio, dente per dente”. Continueranno ad obbedire a questa legge fino a quando l’umanità resterà cieca e senza denti?
Mario Pizzola (obiettore di coscienza)