Lunedì, 09 Maggio 2022 15:08

Indagine Istat / I ragazzi e la pandemia: vita quotidiana “a distanza”

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La vita quotidiana dei giovanissimi è radicalmente cambiata a seguito delle misure adottate per il contenimento della pandemia da Covid-19.

Per cogliere la portata di questi cambiamenti, l’Istat ha intervistato un ampio campione di alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado nell’anno scolastico 2020-2021.

E' emerso che il 67,7% degli alunni che ha sperimentato la didattica a distanza preferisce le lezioni in presenza; il distanziamento sociale ha causato un crollo nella frequentazione degli amici (diminuita per il 50,5% degli alunni) e un aumento del ricorso a chat e social media per comunicare (aumentato per il 69,5% dei ragazzi). Una quota non trascurabile di alunni segnala anche un peggioramento della situazione economica della famiglia (29,4%). I ragazzi stranieri hanno sperimentato maggiori difficoltà di accesso alla Dad e più spesso segnalano un peggioramento delle condizioni economiche familiari.

Più difficoltà di accesso alla DAD per alunni stranieri e residenti nel Mezzogiorno

Come è noto, i ragazzi che frequentano le scuole secondarie di primo e secondo grado sono stati toccati poco dalla pandemia dal punto di vista delle conseguenze di salute più gravi. Tuttavia, l’esperienza delle restrizioni volte a mantenere il distanziamento sociale li ha colti di sorpresa in una fase del percorso di vita in cui la dimensione sociale assume progressivamente un ruolo di primo piano, con ripercussioni su tutte le principali dimensioni della loro quotidianità fatta di scuola, attività extrascolastiche, relazioni con i pari e tempo libero.

I ragazzi e le ragazze hanno sperimentato per la prima volta un modo totalmente nuovo di “andare a scuola” pur restando a casa. La quasi totalità degli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado (98,7%, pari a oltre 4 milioni e 220 mila) ha infatti affrontato periodi di didattica a distanza (successivamente chiamata didattica digitale integrata). Sebbene “nativi digitali” e utilizzatori, anche prima della pandemia, delle tecnologie digitali per la comunicazione, l’informazione, il gaming e la fruizione di audiovisivi, il ricorso “obbligato” alla didattica a distanza ha sicuramente introdotto un cambio di passo nell’utilizzo dell’ICT ma anche nuovi elementi di diseguaglianza connessi a divari digitali (e socio-economici) pre-esistenti.

Se è vero che i ragazzi erano già “molto connessi”, non tutti disponevano degli strumenti più adeguati, sia dal punto di vista dell’hardware sia della connessione di rete, per seguire numerose ore di didattica a distanza. L’80% dei ragazzi italiani ha potuto seguire sin da subito e con continuità la didattica a distanza nel periodo compreso tra marzo e giugno del 2020. Tra gli stranieri la percentuale di chi ha potuto essere costante nella frequenza delle lezioni online scende, invece, al 71,4%. Non si evidenziano differenze rilevanti tra gli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado.

Durante l’emergenza le scuole, insieme ad altre strutture pubbliche e del privato sociale, hanno cercato di sostenere i ragazzi più svantaggiati mettendo a disposizione pc e tablet, ma dai primi risultati dell’indagine emerge chiaramente che, anche dopo il primo lockdown, non è stato possibile appianare del tutto i divari. In particolare, nell’a.s. 2020/2021 i ragazzi stranieri hanno utilizzato in misura minore rispetto ai loro coetanei italiani il PC per seguire la DAD: la quota è del 72,1% contro l’85,3% degli italiani; di conseguenza gli alunni stranieri hanno fatto maggiormente ricorso al cellulare per seguire le lezioni (64,3% contro 53,7%). Considerando coloro che hanno utilizzato un solo strumento, l’uso esclusivo dello smartphone ha riguardato il 16,8% dei ragazzi stranieri contro il 6,8% degli italiani. Per i ragazzi cinesi e marocchini l’utilizzo esclusivo del cellulare è molto più elevato rispetto alla media degli stranieri, circa il 23%.

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Le differenze nell’utilizzo esclusivo del cellulare tra ragazzi italiani e stranieri evidenziano come siano proprio gli alunni delle collettività con le maggiori difficoltà scolastiche, spesso legate alla comprensione della lingua, che hanno avuto a disposizione mezzi meno adeguati per seguire la didattica a distanza. Va sottolineato che l’attività ha implicato non solo seguire le lezioni, ma anche fare i compiti, e a volte svolgere test online.

L’utilizzo esclusivo dello smartphone è anche connesso a una maggiore quota di ragazzi che classificano la propria famiglia povera o molto povera.

Svantaggiati rispetto agli strumenti per la didattica a distanza sembrano anche gli studenti del Mezzogiorno rispetto a quelli del Centro-nord. Nel Sud e nelle Isole la quota di coloro che si sono collegati utilizzando tra gli strumenti anche il PC è dell’ 80,1% contro l’84,8% del Centro, l’85,8% del Nord-ovest e l’89,9% del Nord-est. Più svantaggiati di tutti sono gli stranieri che frequentano le scuole nel Mezzogiorno: nel 61,5% dei casi hanno potuto utilizzare anche il PC, una quota decisamente più bassa rispetto a quelli che vivono nel Nord-est (78%), nel Nord-ovest (73%) e al Centro (70,5%).

Più della metà dei ragazzi senza una connessione Internet stabile a casa

Non tutti i ragazzi possono disporre nella propria abitazione di una connessione internet stabile: il 50,9% dichiara problemi contro il 43,3% che afferma di averne una ottima.

In questo caso non si evidenziano particolari differenze tra ragazzi italiani e stranieri e anche le differenze territoriali risultano contenute.

I ragazzi stranieri hanno dovuto gestire situazioni logistiche più complesse durante la didattica a distanza. Mentre seguivano le lezioni da casa hanno ad esempio più frequentemente condiviso la stanza con fratelli e sorelle: erano soli nella stanza l’87,7% degli italiani e l’81,4% degli stranieri che nel 13,7% dei casi si trovavano con fratelli e sorelle contro il 6,9% degli italiani.

La didattica a distanza non convince i ragazzi delle scuole secondarie

Nonostante i giovanissimi facciano ampiamente ricorso a internet per numerose attività, la didattica a distanza non ha convinto la larga maggioranza degli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado. Il 67,7% preferisce la didattica in presenza, il 20,4% ritiene uguali le due tipologie di didattica e solo l’11,9% predilige la didattica a distanza.

Emerge una lieve differenza di genere: sono le ragazze a sostenere di più la didattica in presenza (69,5%) rispetto ai ragazzi (66,1%).

Le differenze maggiori si riscontrano ancora una volta tra alunni italiani (il 68,3% preferisce le lezioni in presenza) e stranieri (60,3%). Si rilevano inoltre opinioni molto varie anche tra le cittadinanze; considerando ad esempio le prime cinque collettività, la quota di ragazzi che preferiscono la didattica in presenza è particolarmente ampia per la cittadinanza albanese (64,4%), romena (63,1%) e marocchina (61,2%); al contrario le percentuali più basse di preferenze per la didattica in presenza si contano per cinesi (44,2%) e filippini (52,6%). Si deve considerare che l’opinione espressa rispetto alla didattica a distanza è influenzata non solo da aspetti strettamente connessi alla fruizione delle lezioni e all’apprendimento, ma anche ad aspetti legati alla vita sociale e alle relazioni derivanti dal frequentare la scuola.

Tra gli alunni stranieri è anche opinione più diffusa che la didattica a distanza abbia influenzato negativamente i voti dell’anno scolastico 2020/2021 (34,2% degli stranieri contro 25,7% degli italiani). Il 70,2% degli alunni trova inoltre più faticoso seguire le lezioni a distanza, con differenze contenute tra italiani e stranieri.

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La distanza dai compagni di scuola pesa meno tra gli stranieri

La diminuita possibilità di interagire con i compagni durante il periodo di didattica a distanza ha fatto avvertire molto o abbastanza la mancanza di questo contatto.

Anche in questo caso si riscontrano alcune differenze tra alunni italiani e stranieri. Questi ultimi già prima della pandemia avevano meno relazioni con i pari e questo può, almeno in parte, spiegare perché hanno sentito meno la mancanza del contatto con i compagni che ha riguardato l’ 86,7% dei ragazzi italiani e il 79,8% dei coetanei stranieri. Considerando le prime cinque cittadinanze, la quota più contenuta di ragazzi che hanno sentito abbastanza o molto la mancanza dei compagni si registra tra gli alunni cinesi (67,2%) mentre quella più elevata si rileva tra gli albanesi (85,5%).

Il contatto diretto con i docenti è mancato di meno rispetto a quello con i pari, anche se comunque una larga parte degli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado lo ha avvertito: il 70,0% degli italiani e il 65,4% degli stranieri. Rispetto ai momenti di condivisione a scuola quello che è mancato di più a tutti sono le gite scolastiche (indicate dal 55,4%), seguite dalla ricreazione (20,0%) e dai lavori di gruppo (13,1%). Anche la minore quota di ragazzi stranieri che hanno avvertito la mancanza della ricreazione rispetto agli italiani (14,6% per gli stranieri contro il 20,4% per gli italiani) momento quotidiano di relazione in classe, può essere ricondotta alle meno intense interazioni che hanno con i compagni di scuola.

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Viaggiare è l’attività che è mancata di più

Ma cosa è successo durante la pandemia e con il distanziamento sociale al mondo relazionale dei ragazzi?

La pandemia ha avuto generalmente l’effetto di mettere in luce e aggravare divari e fragilità pre-esistenti. È stato già evidenziato in passato che i ragazzi stranieri hanno meno frequentemente relazioni con i pari (Istat, 2020). L’indagine realizzata nel 2021 conferma questa particolarità: già prima della pandemia il 17,3% degli alunni stranieri delle scuole secondarie non vedeva mai amici e/o amiche fuori dall’orario scolastico contro il 5,8% degli alunni italiani.

Chi aveva meno ha anche perso meno: la frequenza con la quale si vedono gli amici fuori dall’orario scolastico rispetto a prima della pandemia è diminuita per il 50,9% degli alunni italiani e per il 46,2% degli stranieri.

La diminuzione delle relazioni dirette è stata compensata da un sensibile aumento dei contatti virtuali attraverso l’utilizzo di chat/socialnetwork. Rispetto a prima della pandemia, l’utilizzo delle chat/social network è aumentato per il 69,9% degli alunni italiani e per il 64,1% degli stranieri. I ragazzi stranieri hanno quindi compensato un po’ meno con telefonate/video chiamate e chat/social network il distanziamento fisico dagli amici. Anche le chiamate telefoniche e le videochiamate sono notevolmente aumentate con il distanziamento sociale. La loro frequenza è aumentata per il 65,7% dei ragazzi italiani e per il 53,3% per gli stranieri.

Sono molte le attività di svago che sono mancate agli alunni delle scuole secondarie durante il periodo di distanziamento sociale. A pochissimi non è mancato nulla (2,5% degli italiani e 6,6% degli stranieri). 

Viaggiare è l’attività che è mancata di più agli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado (51%), seguita dalla libertà di uscire (49%), dalla frequentazione di “feste, cene e aperitivi” (48%). Per queste ultime attività emergono rilevanti differenze tra italiani e stranieri: sono mancate al 48,9% degli italiani e al 37,3% degli stranieri. Lo stesso accade per la pratica sportiva, mancata di più al 42,9% degli italiani e al 35,7% degli stranieri e è riconducibile al fatto che gli stranieri praticano meno frequentemente sport e frequentano meno feste con amici (Istat, 2020).

Sostanzialmente l’apparente minor impatto della pandemia sulla vita quotidiana extra-scolastica dei ragazzi stranieri, rispetto agli italiani, potrebbe ricollegarsi alla loro minore partecipazione sociale.

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Gli stranieri avvertono di più le difficoltà economiche

In base alla percezione soggettiva dei ragazzi, che è influenzata da numerosi fattori e non risponde necessariamente a una situazione oggettiva, il 4,0% degli alunni italiani delle scuole secondarie classifica come abbastanza o molto povera la propria famiglia, contro il’11,3% degli stranieri. Si colloca nella modalità intermedia “né ricca né povera” l’86,3% degli italiani e l’84,1% degli stranieri. Si sentono invece ricchi – abbastanza o molto - il 9,7%% degli italiani e il 4,5% degli stranieri.

La quota di coloro che percepiscono come abbastanza o molto povera la propria famiglia è più ampia tra gli alunni delle scuole secondarie di secondo grado (5,6%) rispetto ai ragazzi più piccoli delle scuole secondarie di primo grado (2,9%).

Nel Mezzogiorno risulta più contenuta la quota di alunni delle scuole secondarie che si sentono ricchi (7,2%) rispetto al Nord-est (11,6%) e al Nord-ovest (10,4%).

La pandemia ha condotto a un peggioramento percepito della situazione economica per il 28,7% degli italiani e per il 39,1% degli stranieri. I più colpiti sono coloro che già erano in difficoltà: tra quanti si percepivano poveri la situazione è peggiorata nel 68,5% dei casi. Sono significative le differenze che si registrano per i primi cinque paesi di cittadinanza: Romania, Albania, Marocco, Cina e Filippine. La quota di coloro che percepiscono la propria famiglia come molto o abbastanza povera passa dal 6,6% degli albanesi al 17,9% dei marocchini. È interessante osservare che, nonostante si tratti di due collettività da lungo tempo insediate in Italia, caratterizzate entrambe da percorsi migratori all’insegna della stabilità, su questo aspetto fanno rilevare percezioni molto differenti. Dalle risposte dei ragazzi sembrano in difficoltà anche la collettività cinese (15,2% di famiglie povere o molto povere) e quella filippina (14,1% di ragazzi che percepiscono la famiglia come povera). Al contrario per i ragazzi romeni la percezione di appartenere a famiglie povere è più contenuta (7,4%), ma comunque più alta di quella rilevata per gli italiani (4,0%). Sono i ragazzi cinesi ad aver avvertito in misura maggiore il peggioramento durante la pandemia: per il 57,5% la situazione economica è peggiorata rispetto al 39,1% della media degli stranieri e al 28,7% degli italiani.

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Il punto di vista dei dirigenti scolastici: perdita degli apprendimenti

L’indagine ha coinvolto anche i dirigenti scolastici delle scuole secondarie per avere un quadro complessivo, integrato con il loro punto di vista, dell’impatto della didattica a distanza nel periodo pandemico. La maggior parte ritiene che lo “shock” nella vita scolastica e quotidiana dei ragazzi a seguito della pandemia abbia penalizzato l’apprendimento, ma solo di alcuni studenti (63,4%), il 29,8% ritiene che tutti gli studenti siano stati penalizzati e solo il 6,7% pensa che la pandemia non abbia avuto effetti negativi sull’apprendimento.

Per quanto riguarda l’impegno degli alunni durante la DAD, il 45,2% dei dirigenti ritiene che i ragazzi abbiano dedicato meno tempo allo studio, il 44,4% lo stesso tempo e il 10,4% più tempo.

I dirigenti delle scuole secondarie di primo grado ritengono in misura più ampia che i ragazzi abbiano dedicato meno tempo allo studio durante la didattica a distanza (48,2%) rispetto a quelli delle scuole secondarie di secondo grado (41,7%). A tale proposito si deve tenere conto delle maggiori difficoltà dei ragazzi più piccoli nella gestione autonoma degli strumenti della didattica a distanza.

Nel periodo della didattica a distanza i dirigenti hanno dovuto fare fronte anche alle lamentele degli insegnanti messi a dura prova dal dover cimentarsi con strumenti e approcci didattici completamente nuovi. Solo nel 20% dei casi non hanno avuto lamentale da parte dei docenti per le assenze degli alunni durante le lezioni a distanza. Il problema delle assenze è stato molto più sentito nel Mezzogiorno dove solo il 12,7% dei dirigenti non ha ricevuto segnalazioni di assenteismo degli alunni da parte degli insegnanti, contro il 28,8% dei dirigenti delle scuole del Nord-est. Questo problema è stato maggiormente avvertito dagli insegnanti delle scuole secondarie di secondo grado l’85,5%) rispetto a quelle di primo (75,1% ).

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Cosa imparare dall’esperienza della didattica a distanza

Sebbene il parere dei dirigenti scolastici sulla DAD non sia del tutto positivo, sembra tuttavia che il maggiore utilizzo delle tecnologie e della comunicazione a distanza indotto dalla pandemia sia un’esperienza da valorizzare.

Il 31,5% dei dirigenti vorrebbe che anche dopo la pandemia parte della didattica si svolgesse a distanza. In questo caso le differenze a livello territoriale non sono rilevanti, con una quota di favorevoli alla didattica a distanza che varia dal 28,1% del Centro al 33,6% nel Nord-ovest.

Le differenze sono invece evidenti tra i dirigenti di scuole secondarie di primo e secondo grado. I dirigenti delle scuole superiori sono evidentemente più favorevoli a mantenere parte della didattica a distanza: la quota che lo giudica positivo è del 41,4% contro il 22,9% dei dirigenti delle scuole secondarie di primo grado. Naturalmente la didattica a distanza è senz’altro meno complessa da attuare – specie se in maniera parziale - nel caso di ragazzi più grandi e autonomi nella gestione degli strumenti e nell’esecuzione dei compiti. In generale è comunque auspicato il maggiore ricorso “a materiali digitali, biblioteche online, filmati, etc.” visto con favore dal 93,5% dei dirigenti; l’85,6% manterrebbe anche forme di didattica alternativa come le flipped classroom o “classi capovolte” che prevedono la partecipazione attiva degli studenti e la valorizzazione delle risorse digitali e delle reti sociali.

Il distanziamento sociale ha inoltre comportato il ricorso alla comunicazione a distanza per una serie di attività scolastiche come colloqui e consigli. Si tratta in questo caso di un’esperienza ampiamente apprezzata dai dirigenti scolastici che nell’82% dei casi vorrebbero mantenere on line i colloqui con i genitori; il 78,5% degli intervistati vorrebbe fare anche riunioni e collegi docenti a distanza, e oltre il 70% vorrebbe rafforzare l’interazione a distanza tra studenti e docenti.

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Ultima modifica il Lunedì, 09 Maggio 2022 19:42

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