È l'anno nero dell'extra vergine d'oliva. Non se ne produce. Non se ne trova. Una tragedia per i coltivatori, un dramma per l'economia rurale di molte regioni italiane.
Tutta colpa del clima pazzo e del concatenarsi di una serie di eventi negativi. A giugno, l'unica vera ondata di calore ha provocato il disseccamento dei fiori compromettendo la produzione di frutti. Poi, le piogge copiose hanno favorito malattie e attacchi della mosca olearia, un insetto la cui larva è parassita degli ulivi, che ha fatto letteralmente strage. Come non bastasse, infine, sono arrivate le tempeste di grandine.
Così, il settore è finito in ginocchio: in alcune regioni d'Italia, la produzione è calata fino al 50% rispetto allo scorso anno. Ovunque, nelle settimane scorse, i frantoi hanno lavorato a scartamento ridotto e oggi, ad olive frante e olio fatto, il bollettino è drammatico: più che dimezzata la produzione nel centro Italia, in Puglia e Calabria contrazione di oltre un terzo, in Campania e Sardegna -40%, -37% nel Lazio, in Sicilia -22%. Dati Ismea. Lo stivale piange in media un crollo della produzione di -37% e si attesta intorno alle 302mila tonnellate rispetto alle 464mila (dato Istat) della scorsa campagna.
Le conseguenze si faranno sentire, e non solo in termini economici ma sociali e culturali. In Italia, scrive Il Fatto Quotidiano, l’industria olearia "vale oggi, e solo per l’export, oltre 1 miliardo di euro, con un fatturato diretto vicino ai 2.5 miliardi, a cui vanno sommati gli oltre 700milioni dell’indotto, al netto dell’acquisto della materia prima".
Ovviamente, scarsa produzione significa anche aumento dei prezzi. Una batosta per i consumatori che si vedono costretti a fare i conti con quotazioni alle stelle e rischio crescente di truffe e sofisticazioni. L'olio italiano ha infatti toccato in media punte di 4.40 euro al chilogrammo franco frantoio, un valore superiore di quasi il 50% ai livelli dell'anno scorso e che ha spazzato via il record del 2006. Non solo. Siccome sui mercati esteri l'olio italiano tira sempre di più, il crollo della produzione è compensato da un aumento del 45% delle importazioni. Fenomeno che preoccupa data l'impossibilità di riconoscere il prodotto straniero per la mancanza di trasparenza in etichetta e per le immagini ingannevoli che si associano talvolta a marchi italiani acquistati da multinazionali.
È la Coldiretti a lanciare l'allarme sull'invasione di olio di oliva straniero, sulla base dei dati Istat relativi ai primi sette mesi del 2014. "Se il trend sarà mantenuto - ha detto il presidente dell'associazione, Roberto Moncalvo - l'arrivo in Italia di olio di oliva straniero raggiungerà il massimo storico con un valore pari al doppio di quello nazionale che registra un produzione attorno alle 300mila tonnellate. In altre parole, due bottiglie su tre riempite in Italia contengono olio di oliva straniero. Un consiglio: leggere bene l'etichetta, soprattutto nelle parti scritte con caratteri minuscoli".
La situazione in Abruzzo
Le cose vanno malissimo anche e soprattutto in Abruzzo: dati Ismea alla mano, la nostra regione infatti segna un devastante -45%. Alcuni produttori parlano di raccolta quasi completamente azzerata, ci sono frantoi che non hanno neppure aperto.
Ben peggiori le stime della Coldiretti: centosessantamila tonnellate di olive in meno pari a ventimila tonnellate di olio, una perdita dell’80% della produzione che, tradotta in moneta, corrisponde ad 80milioni di euro che verranno a mancare ad un totale di circa 25mila imprese su ben 45mila ettari di terreno dedicato.
Un anno con poco, pochissimo olio. E ancora meno a denominazione di origine, quasi introvabile e comunque soggetto all’inevitabile lievitazione del prezzo. Una situazione allarmante che riguarda tutta la regione - con particolare riferimento alle provincie di Pescara e Chieti - su cui già a luglio Coldiretti aveva messo in guardia gli uffici regionali chiedendo l’avvio del monitoraggio da parte dei tecnici per la verifica della situazione.
Risultato: le previsioni si sono dimostrate più che realistiche, e l’insolita estate è stata solo il preludio di un dramma economico che non sta risparmiando nessuno determinando, in alcuni casi, la perdita dell’intero raccolto.
Coldiretti ha dunque incontrato l'assessore regionale Dino Pepe, per chiedere l'attivazione delle procedure per arrivare allo stato di calamità naturale. "Auspichiamo l’immediato sopralluogo dei tecnici regionali per l’effettiva quantificazione del danno e la definizione della territorialità dell’emergenza", ha incalzato il direttore regionale Alberto Bertinelli. "Ci aspettiamo dall’assessore un impegno forte e deciso affinché venga immediatamente approvata dalla giunta la delibera per chiedere al ministero l’emanazione del decreto per l’attivazione degli interventi compensativi".
Intanto a Fossacesia (Chieti), città con vocazione prevalentemente agricola e basata principalmente proprio sulla produzione di olio d’oliva, la Giunta Comunale ha approvato una delibera con la quale si chiede il riconoscimento dello stato di calamità naturale. "Fossacesia è Città dell’Olio dal 2006, proprio a testimonianza della sua peculiare vocazione - ha inteso sottolineare il sindaco Enrico Di Giuseppantonio – Quest’anno la produzione di olio d’oliva sul nostro territorio ha subito una drastica riduzione, si parla di circa il 40-50%, cosa che ha danneggiato economicamente i produttori locali, le aziende agricole e i ben 11 frantoi presenti, che ovviamente si sono visti costretti ad aumentare il prezzo del poco olio prodotto. Vogliamo essere vicini ai nostri cittadini, alle nostre imprese e alle confederazioni territoriali di settore in questo difficile momento".
Il Comune dunque, su iniziativa del consigliere per le Politiche Agricole e della Città D’identità, Lorenzo Santomero, ha approvato una Deliberazione con la quale ha chiesto alla Regione Abruzzo di dichiarare lo stato di calamità naturale per gli eventi non assicurabili per la stagione olivicola 2014. "Pur essendo stato colpito da fattori climatici anomali e dall’attacco di fitopatie che ne hanno provocato una notevole riduzione della quantità - ha precisato il consigliere alle Politiche Agricole Lorenzo Santomero - non è stata modificata la qualità dell'olio d'oliva prodotto, che continua ad essere di elevata natura".
Di fronte ad un tale disastro produttivo, la Copagri Abruzzo ha formalizzato all’assessore regionale la proposta di farsi carico di velocizzare le procedure per superare i tre attuali consorzi di tutela dell’olio D.O.P (Denominazione di Origine Protetta) che sono: “Colline Teatine” a Chieti, “Aprutino – Pescarese” a Pescara, “Colline Petruziane” a Teramo. L’associazione abruzzese, infatti, ritiene che l’istituzione di un'unica D.O.P. regionale dell’olio d’oliva extra vergine possa essere un valido presupposto per aggregare le aziende olivicole che producono per il mercato in un ottica di semplificazione, favorendo la promozione delle produzioni di eccellenza e di qualità.
A supporto di tale richiesta, la nuova P.A.C. (Politica Agraria Comunitaria) 2014/2020 che, per l’Abruzzo, favorirà il sostegno diretto ai soli produttori olivicoli che hanno superfici iscritte negli albi delle D.O.P., I.G.P. e Biologiche certificate. "Inoltre è sempre più necessario - ha spiegato Camillo D'Amico, vice presidente vicario - produrre delle politiche di assistenza tecnica a supporto delle aziende olivicole affinché adottino tecniche colturali meno invasive e di maggiore rispetto dell’ambiente e del prodotto così da migliorare decisamente la qualità finale che potrà spuntare prezzi vantaggiosi sul mercato".
Ed in effetti, secondo Luigi Caricato - oleologo e giornalista - la colpa della diminuzione della produzione non è solo del maltempo. Intervistato dal Post, ha detto: "È vero che questa stagione è stata straordinaria in negativo: era dal 1985, quando una gelata distrusse buona parte del raccolto e molti alberi in Toscana e altre regioni, che non si avevano dei numeri così bassi. Però non è tutta colpa del maltempo o della mosca olearia: le forze della natura esistono e incidono ma quello che fa la differenza è la preparazione. L’Italia è rimasta arretrata per quanto riguarda l’olivicoltura moderna, abbiamo rinunciato alla sperimentazione. Le aziende, soprattutto quelle piccole, non si avvalgono dell’aiuto di un agronomo, per cui la qualità e la salute degli ulivi sta peggiorando. Ci sono molti uliveti abbandonati e altri che vengono gestiti da aziende che improvvisano".