Si è tenuto ieri, presso Casa Onna, il convegno dal titolo "Petrolio e biomasse: una scelta anacronistica ed incompatibile". Il summit, convocato dal 'Comitato No Biomasse', ha visto la partecipazione di tutti i comitati resistenti sul territorio: dalle trivellazioni in Adriatico, al progetto PowerCrop, al metanodotto Snam.
Le battaglie ambientali sono ormai all'ordine del giorno nella nostra regione. Negli anni i cittadini hanno dovuto rimboccarsi le mani, studiare le carte e trovare cavilli burocratici e giuridici che permettessero di bloccare azioni invasive per l'ambiente. Azioni che, per altro, vengono troppo spesso realizzate senza tenere conto del parere della cittadinanza. Eppure, quelli contro cui i comitati si battono, sono interventi che, oltre ad avere una incidenza ambientale, presentano diversi rischi.
E' il caso delle trivellazioni. Ad oggi, come spiega Augusto De Sanctis, attivista del Forum abruzzese delle acque, sono 1300 le trivellazioni nell'Adriatico, 300mila gli ettari di mare già concessi a titolo minerario, solo sulla costa abruzzese. Per renderci conto del rischio di tali interventi non è necessario pensare ad uno dei più grandi disastri ambientali del nostro tempo, come quello nel Golfo del Messico del 2010. Rimaniamo in Italia. Nel comune novarese di Tracate, nel 1994, un pozzo di petrolio a quattrocento metri dall’autostrada Milano-Torino subì un cosiddetto "blowout", un’eruzione. Ci fu il distacco di una parte della batteria di aste che lo componevano: l'asta di perforazione si piegò, la pressione la squarciò e il gas e il petrolio eruppero con violenza a 140 gradi di calore. Solo il vento contrario risparmiò la vicina autostrada ma le gocce di petrolio arrivarono sulle risaie e nei pressi di Tracate e Romentino.
"Nel progetto di Ombrina - ha detto De Sanctis - si dice che in 25 anni non verrà disperso neanche un litro di olio in mare. I petrolieri norvegesi hanno invece detto che, secondo i loro dati, un sistema simile perderebbe di media 3mila barili di petrolio". C'è inoltre da considerare il problema della radioattività. "Gli idrocarburi che si estraggono a tremila o quattromila metri di profondità - spiega - possono essere ricchi di radionuclidi in quantità maggiore di quello in superficie". Del resto in Basilicata, lo scorso anno, uno studio ha rilevato nei campioni prelevati di acqua potabile valori di radioattività circa nove volte superiori i livelli fissati dalle direttive europee. La causa potrebbe essere stata, con tutta probabilità, impianti non idonei a bonificare la radioattività degli scarti petroliferi.
Il rischio è anche ciò che ha spinto i cittadini sulmonesi a schierarsi contro il metanodotto Snam, in particolare per l'attraversamento di aree tristemente note come sismiche. Nonostante le recenti rassicurazioni del vice ministro dello Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, a riguardo, proprio lo scorso 6 marzo ci sono state tre esplosioni del metanodotto di Mutignano, nel teramano. Le fiamme erano visibili da chilometri di distanza, tre sono stati i feriti e tre le case coinvolte. A provocare l'incidente sarebbe stato uno smottamento, dovuto al maltempo, che ha causato la caduta di un traliccio della corrente sulla condotta. Nel corso dell'incontro, i cittadini del comitato hanno perciò invocato il principio di precauzione. Secondo tale principio, un’azione sarebbe razionale e legittima nel caso in cui non vi sia incertezza scientifica o nel caso in cui l’incertezza scientifica non possa causare un danno irreversibile. In situazioni in cui gli scienziati o i tecnici non possono prevedere qualcosa, dunque, è necessario che si apra un dibattito e che la cittadinanza venga coinvolta.
I pericoli che possono derivare da incidenti sono ovviamente solo la punta di iceberg di un discorso più ampio. Stiamo continuando a dirigerci verso scelte non sostenibili a livello ambientale, con effetti disastrosi sulla salute, sulla vita e sull'ambiente. La dialettica ambientale è spesso ricca di inesattezze e contraddizioni. A volte, inoltre ciò che viene sponsorizzato come una alternativa sostenibile, non lo è.
"La biomassa che utilizziamo nelle centrali non è la nostra", ha spiegato l'ingegner Giuseppina Ranalli. "L'Italia - ha aggiunto - è il primo importatore mondiale di legna da ardere ed il primo di legna illegale, che proviene cioè da foreste protette. Invece di importare petrolio, carbone o gas, importiamo la legna che ha volumi superiori ed un trasporto molto più costoso in termini di energia. Inoltre, per produrre i biocombustibili vengono utilizzati circa 700mila tonnellate di materia prima. La maggior parte di questa è costituita da olio di palma, che viene estratto dopo l'abbattimento di ampie zone di foreste in Paesi come l’Indonesia o la Malesia. Senza contare che la legna è perdente in termini di resa, per via del baso potere calorifico".
Dall'incontro è emerso che, nel teatro delle mobilitazioni ambientali, i protagonisti sono spesso semplici cittadini che si fanno carico di questioni che riguardano la collettività. Quello che sorprende, però, è che la comunità scientifica locale, compreso i docenti del nostro Ateneo, non si siano ancora apertamente schierati al loro fianco. Il 23 maggio, a Lanciano, ci sarà una protesta "contro tutte le trivellazioni". L'auspicio è che stavolta il problema non sia sentito unicamente da qualche "sentimentalista ambientale" ma che ognuno senta il dovere morale di difendere il proprio territorio. E' ora che gli intellettuali scendano in piazza con i cittadini, è ora che le battaglie ambientali non siano più circoscritte ai piccoli comitati.