"La situazione può essere così sintetizzata: la "politica" attendeva le iniziative della "dirigenza"; la "dirigenza" attendeva istruzioni dalla "politica"; nel frattempo, pagava chi voleva". E' uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza con cui i giudici della Corte dei Conti dell'Aquila - il presidente del collegio giudicante Luciano Calamaro; Federico Pepe; e il giudice relatore Gerardo De Marco - hanno condannato il Comune dell'Aquila - nelle figure del sindaco Massimo Cialente, dell'assessore Fabio Pelini, dell'ex assessore Alfredo Moroni e della dirigente Patrizia Del Principe - per i mancati sfratti dei morosi dei pogetti Case e Map.
Sono motivazioni che confermano, va detto, l'impianto accusatorio costruito dal procuratore Roberto Leoni, il quale, però, aveva quantificato il danno erariale cagionato dai quattro imputati in 11 milioni di euro.
Qualora la Corte avesse accolto in toto la richiesta di Leoni, Cialente e gli altri avrebbero dovuto restituire al Comune circa 3 milioni di euro a testa. I risarcimenti calcolati dai giudici contabili sono stati, invece, molto più bassi: 30mila euro per Cialente, Moroni e Pelini e 60mila per la Del Principe.
"Le uniche azioni intraprese dai convenuti" si legge ancora nella sentenza "sono state, in realtà, inazioni, consistenti nel declinare le proprie prerogative e competenze rinviandole al futuro e demandandole prima a ditte esterne ancora da individuare (in esito a procedure concorsuali future, non bandite), poi alla SED (la quale pure ha operato, per le "quote", come da capitolato allegato alla delibera n. 468/2012), poi alla Guardia di Finanza (la quale ha efficacemente elaborato i dati forniti dal Comune stesso, mettendo l'Ufficio della Del Principe nelle condizioni di agire di conseguenza), poi ancora subordinando ogni iniziativa all'esito di un nuovo censimento, infine rimettendo la questione al Prefetto o alla Presidenza della Repubblica".
La Corte: "Comune incapace nella gestione delle morosità"
"Ciò che si rileva è la dimostrata, radicale incapacità o riluttanza del Comune dell'Aquila nella gestione delle situazioni di morosità, cioè l'inerzia nel prendere provvedimenti a tutela delle finanze comunali, previa individuazione delle singole posizioni interessate dall'inadempienza e delle relative ragioni (al fine di discernere i casi di effettiva fragilità sociale rispetto a quelli di azzardo morale)".
E' un altro passaggio delle motivazioni della sentenza della Corte dei conti.
"Non è tollerabile - proseguono i giudici contabili - in uno stato di diritto, che alcuni cittadini soltanto corrispondano quanto dovuto ad un ente pubblico, mentre altri, nelle stesse condizioni, si sottraggano a tale adempimento, in maniera eclatante, senza che l'amministrazione assuma in proposito alcuna iniziativa, non tanto e non solo a tutela delle proprie finanze, ma anche in adesione ad intuitive ed elementari aspettative di legalita' e di imparzialità, che necessariamente devono connotarne l'azione"
Se ciò non è ammissibile in situazioni di ordinarietà, meno che mai - sostengono sempre i giudici della Corte dei Conti - può esserlo in un contesto segnato dall'emergenza abitativa, qual è quello in esame, in cui i presidi di imparzialità e di uguaglianza assumono ancor più pregnanza, a tutela della dignità stessa di famiglie in condizioni di particolare vulnerabilità".
"Comune inerte. Pagamento dei canoni rimesso alla buona volontà e al senso civico dei cittadini"
"Non è accettabile" scrivono ancora i giudici "che l'obbligo di pagamento dei canoni e delle quote, puntualmente stabilito dalla regolamentazione comunale, sia rimasto sostanzialmente rimesso, per circa due anni, alla buona volontà e al senso civico di coloro i quali, spontaneamente, abbiano adempiuto all'obbligo stesso, mentre rimanevano sconosciuti, quindi privi di qualsiasi conseguenza, i singoli omessi pagamenti, pur risultando nitida la percezione della morosità complessiva".
"Il problema, a ben vedere, non può essere ridotto alla semplicistica questione dell'omesso 'sfratto' dei morosi, vale a dire dell'allontanamento dagli alloggi di una quota di beneficiari attestantesi tra il 50% (per le quote) e l'85% (per i canoni) dei soggetti tenuti al pagamento. Lo snodo cruciale dell'intera vicenda risiede nel fatto che il Comune non avrebbe dovuto rimanere inerte per poi trovarsi nelle condizioni di dover fronteggiare, per di più a distanza di tempo, una morosità di tali proporzioni".
"In estrema sintesi - concludono i magistrati contabili - il Comune si è trovato nelle condizioni di dover 'sfrattare' per morosità migliaia di nuclei familiari bisognosi di alloggio, evidentemente qualcosa non ha funzionato 'a monte', stanti le inadempienze e inefficienze nella gestione del rapporto con i debitori assegnatari degli alloggi".