Lunedì, 23 Novembre 2015 11:31

Che cosa resta del Processo Grandi Rischi?

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Valerio Congeduti* - Per i più, amareggiati dalla sentenza della Cassazione, sembra che ora resti solo il vuoto, la perdita di senso dell’intero processo, lo sconforto dell’atto mancato, lo sgomento di fronte a una farsa dall’esito già scritto. Personalmente non riesco a vederla così, e credo resti molto di più.

Restano la dedizione e la lungimiranza dei familiari delle vittime. Sentire il proprio dolore maneggiato senza il dovuto riguardo in un tribunale e sulla stampa non è stato un peso lieve da sostenere. Loro hanno affrontato questa prova nella convinzione che quel sacrificio sarebbe stato utile ad altre persone. Chiedevano il riconoscimento del proprio vissuto, la solidarietà dei cittadini e dello Stato, non chiedevano il sangue dei condannati. Ma in pochi li hanno capiti, in pochissimi li hanno accompagnati.

Resta il prezioso lavoro di indagine, elaborazione e sintesi svolto dal pm Fabio Picuti nell’istruire il processo. La mole di materiale studiato, citato e prodotto resterà per sempre una fonte documentale privilegiata per qualsiasi lavoro di ricostruzione o approfondimento storico dell’accaduto. È un punto di partenza, non di arrivo.

Restano le parole scorrette e indelicate di alcuni degli imputati e dei loro avvocati, ripetute acriticamente da una parte disinformata e/o lobbistica della comunità scientifica, e amplificate ad arte da rappresentanti del popolo, delle istituzioni e dalla quasi totalità dell’informazione internazionale e nazionale (mentre quella locale è stata un esempio di puntualità e accuratezza). È questa, credo, la pagina più triste e sinistra di tutta la vicenda processuale.

Resta quella frase sciagurata sullo scarico di energia e sul bicchiere di Montepulciano, pronunciata con ingenuità e leggerezza, ma con esiti dirompenti sui destini di decine di persone, al di là di ogni possibilità di immaginazione. Restano le dichiarazioni lacunose, superficiali e sbrigative dei sette esperti in quella riunione, quel loro silenzio colpevole di fronte alla precisa domanda sull’attendibilità della teoria dello scarico proposta da Bertolaso.

Resta indelebile la convinzione che nessuno quel giorno ebbe il doveroso coraggio di smentire il grande capo.

Resta – anche questo va detto – il dramma umano degli accusati, vissuto da ciascuno a modo suo. Va riconosciuto a Bernardo De Bernardinis di aver portato il carico delle responsabilità che gli venivano imputate con umiltà e compostezza, senza arroganza. Impossibile non riconoscergli doti di umanità a cui altri, nella sua stessa posizione, non hanno dato uguale prova di saper attingere.

Restano sei assoluzioni e una condanna. È tanto? È poco? È giusto? È forse l’aspetto meno interessante. Lasciamolo da parte. Rispondiamo solo alla storia e alle nostre coscienze. E cerchiamo di coltivare con cura i frutti buoni di questo processo, affinché non si dica più, da oggi in avanti, che furono avvelenati.

*Valerio Congeduti, Master in Comunicazione della Scienza presso la SISSA di Trieste, collabora con il Gran Sasso Science Institute nelle attività di comunicazione e outreach, e con Zanichelli come redattore freelance. È autore del capitolo "Un rischio non calcolato: il processo dell'Aquila" per il volume collettaneo Parola di scienziato: la conoscenza ridotta a opinione, a cura di M. Ferrazzoli e F. Dragotto (Universitalia 2014). È stato cultore della materia e titolare del corso Laboratorio di scrittura scientifica presso l'Università di Roma Tor Vergata. Ha pubblicato articoli di scienza su l’Unità, Scienza in Rete, Almanacco della Scienza CNR, OggiScienza.

Ultima modifica il Lunedì, 23 Novembre 2015 12:20

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