Pièces tratte dall'Odissea circolano nei teatri italiani in maniera sempre più intensiva da almeno 2-3 anni. In quest’autunno sembrano aver trovano un apice incredibile e si susseguiranno nei prossimi mesi. Spettacoli teatrali, musicali, recital e chi più ne ha più ne metta. E’ impossibile menzionarli tutti, ma almeno qualcuno ne va ricordato.
Ad ottobre, al Piccolo Teatro – Teatro Strehler di Milano è andato in scena “Odyssey”, pièce in lingua greca contemporanea, adattata da Wolfgang Wiens e diretta da Bob Wilson con una forte valenza simbolica e filosofica, tant’è che il regista americano ha dichiarato, per esempio, di aver fatto interpretare i ruoli femminili tutti dalla stessa attrice per realizzare una visione emotiva della storia che vuole Ulisse essersi donato solo a una donna, Penelope.
In “Viaggio verso Itaca”, di e con Selene Gandini, allestito dal 03 all’08 novembre al Teatro dell’Orologio di Roma, Ulisse viene raccontato dalle donne che ha incontrato.
“Odissea” di Derek Walcott è ancora in scena allo Spazio Diamante di Roma. La regia è di Vincenzo Manna e Daniele Muratore, con la supervisione di Andrea Baracco. Lo stesso Baracco, con assistente Muratore, aveva già realizzato un allestimento laboratoriale del testo per il Teatro Stabile d’Abruzzo a L’Aquila in occasione del festival “I Cantieri dell’immaginario” 2014, nella monumentale location della “Fontana delle 99 cannelle”. Il testo rispecchia sostanzialmente la trama omerica, ma le battute sono più incisive. Nei panni di Odisseo ora c’è Jacopo Venturiero, mentre nella versione precedente c’era Daniele Paoloni.
Gli allestimenti dell’"Iliade" o tratti da questa (come “Troilo e Cressida” di William Shakespeare) sono invece rarissimi (sebbene da lì derivino alcuni protagonisti della tragedia greca).
Proporre l’”Odissea” in versione integrale sarebbe lunghissima e con troppi attori. Omero fa descrizioni molto dettagliate ed evocative. I registi che l’hanno messa in scena hanno quindi scelto degli estratti e fatto degli adattamenti tagliando e sfoltendo, realizzando veloci cambi scena, brevi accenni ai personaggi e creando ritmo. Un ritmo serrato.
Fra tutti, personalmente ho visto, oltre l’interessante “Odissea”, di D. Walcott, allestita da Andrea Baracco a L’Aquila nel luglio 2014, anche i più recenti “Io, Nessuno e Polifemo. Intervista impossibile” e “Il mio nome è Nessuno. L’Ulisse”.
Questi ultimi due sono spettacoli diversi tra loro, tant’è che il primo fa riferimento all’episodio del ciclope ed il secondo al ricordo doloroso che l’eroe ha della guerra di Troia (i morti, Achille, Aiace, …) seguito dal rientro alla reggia di Itaca in cui deve prima combattere i Proci e poi le ritrosie della moglie.
Nell’episodio del ciclope Ulisse mostra tutta la sua astuzia per salvarsi, mentre nel finale coi Proci, nell’astuzia c’è anche vendetta.
Sebbene Penelope sia presente in entrambe le pièces (nel primo col riferimento alla tela, nel secondo all’amore per il marito), dell’eroe non viene mostrato il fatto che sia amato dalle donne e la dea Athena, sua protettrice, è presente solo nel secondo.
In entrambi gli spettacoli quello che è stato tagliato è l’aspetto dell’”Odissea” omerica come libro di avventura e, perché no?, anche fantasy, a cui lo relegherebbero le descrizioni delle peregrinazioni in quella sua sofferta traversata del Mediterraneo che è durata 10 anni perché prima la ninfa Calipso si era innamorata di lui tenendolo nella sua isola per 3 anni e poi, gli altri 7 anni passati in viaggio, sono la punizione del dio Nettuno offeso perché l’eroe gli ha accecato il figlio Polifemo.
A livello strutturale, come va di moda ultimamente, sono spettacoli più di ‘voce’ che di azione: il primo un’intervista-spettacolo, il secondo quasi un monologo-spettacolo.
“Io, Nessuno e Polifemo. Intervista impossibile”, di e con Emma Dante (regista anche di “Odissea- Movimento n.1” in scena al 68° Ciclo di Spettacoli Classici del palladiano Teatro Olimpico di Vicenza), in scena dal 04 all’08 novembre scorso al Teatro Vittoria di Roma per Romaeuropa festival, con la consueta verve ironico-grottesca della Dante, interessata ai più umili, agli strati bassi della società, ai vinti, lo spettacolo è incentrato sulla figura del Ciclope e del rapporto di questi con Nessuno.
L’episodio omerico di Polifemo non solo è crudele, ma anche crudo: degli eventi, non ne appare la cattiveria, ma la normalità. E’ normale per il ciclope, mostro gigantesco, selvaggio, senza legge e senza umanità, che si nutre di quello che offre la natura, senza coltivare, ma solo pascendo pecore e senza avere un capo o un parlamento, mangiare umani. Qui Polifemo (Salvatore D’Onofrio) si pone come vittima, mentre Odisseo (Carmine Maringola) è quello strafottente. Emma Dante è se stessa che li intervista.
Sebbene in abiti contemporanei, l’ambientazione (più del testo che della regia), come in molte delle sue opere, è quasi onirica e si menziona spesso la Sicilia, in questo caso quella orientale di Aci Trezza, che già diversi storici avevano individuato come patria di Polifemo, a dispetto di quelli che invece la collocano in terra flegrea.
Penelope (Federica Aloisio) è nella parte finale danzata, e forse in quegli ‘spasmi’ coreografici ci sono anche tutte le altre donne, quelle che Ulisse ha rifiutato per scegliere “sempre” Penelope. La danza è ricca di pathos, anche quando è marionettistica, come all’inizio e negli intermezzi. Eccellente e ‘avvincente’ il modo in cui Polifemo ‘muove’ e ‘tortura’ la marionetta (pensando agli uomini). Sul finale il sipario si alza sulla musicista Serena Ganci e scende sui due antagonisti lasciando la Dante sola sul proscenio. Interminabili gli applausi finali per uno spettacolo dai ritmi veloci e giusti. E pure comico. Di solito, nel teatro di innovazione, sperimentale, di ricerca (chiamatelo come volete!) si vede tristezza, dolore, tragedia, pathos,... In questo spettacolo, via di mezzo tra talk-show, varietà e spettacolo di danza, il merito della Dante è anche quello di aver portato all’interno del genere, il divertissement. Già di suo la regista siciliana è abituata all’ironia, al grottesco, al ridicolo, qui c’è anche il comico.
E’ stata un’occasione, peraltro anche abbastanza rara, per vedere sul palco Emma Dante (che pure ha avuto una formazione attorica all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”). Di solito è solo regista (e autrice).
L’attore siracusano Sebastiano Lo Monaco (a destra, foto Tsa), invece, ha voluto rendere omaggio ad Ulisse portando in scena “Il mio nome è Nessuno. L’Ulisse”, pièce teatrale approdata, il 03 e 04 dicembre sul palcoscenico del Ridotto del Teatro Comunale di L’Aquila per la stagione TSA, adattata da Francesco Niccolini dai due romanzi “Il mio nome è Nessuno” (con i rispettivi sottotitoli de “Il giuramento” e “Il ritorno”) di Valerio Massimo Manfredi e diretta da Alessio Pizzech.
Il drammaturgo e l’attore hanno poi raccontato la struttura del testo il 04 dicembre in un incontro pubblico (a sinistra, foto mia) presso l’Università degli Studi dell’Aquila – Dipartimento di Scienze Umane, coordinato dal Prof. Mirko Lino e con la partecipazione del Prof. Fabrizio Deriu dell’Università degli Studi di Teramo.
Secondo Lo Monaco, Manfredi abbassa un po’ il tono di Omero e lo fa diventare elementare, divulgativo, comprensibile al dotto e all’indotto, un po’ “favoletta”, soprattutto il primo incontro di Ulisse con Penelope. E’ stato poi Francesco Niccolini a rialzare il tono (sebbene rispettando il testo e le parole di Manfredi).
Niccolini, amante delle “scelte stupide” dei suoi eroi, ha raccolto e conservato la struttura per flashback che, sebbene diversa dall’originale omerico, ne segue comunque l’andamento. Nell’"Odissea" era Alcinoo, re dei Feaci e padre di Nausicaa, che intervistava l’eroe greco e gli faceva raccontare le sue peripezie. In questa pièce, invece, la terra dei Feaci non c’è e inizia con Ulisse che si risveglia sulla spiaggia di Itaca e ripensa al passato, prima di rientrare in casa e riprenderne possesso.
Il drammaturgo ha detto di aver deliberatamente saltato l’episodio avventuroso del ciclope perché lo ha sentito raccontare troppe volte e dei libri di Manfredi ha pensato che fosse più interessante riportare la parte relativa all’”Iliade” vista dall’eroe itacese. Un po’, dice, come ha fatto Tom Stoppard con “Rosencrantz e Guilderstern sono morti” in cui ha proposto una loro visione dell’”Amleto”. Sebbene Ulisse nell’”Iliade” non sia propriamente un personaggio secondario come lo sono loro due nella storia amletiana, non è però neanche famoso ed importante come Achille ed Agamennone. Quest’ultimo non appare per niente nella pièce allestita da Alessio Pizzech. Achille, invece, ha un suo spazio nell’interpretazione di Turi Moricca (che veste anche i panni di Laerte e Telemaco).
In Omero l'"Iliade" è più eroica, mentre l’”Odissea” ha più una valenza intimistica, una sorta di nostalgia ‘per’ la famiglia (è da questo che nascono le peregrinazioni e la vendetta) e ‘della’ famiglia (Penelope e Telemaco) per lui. Qui le due cose si fondono.
A differenza, infatti, di quello che traspare nel poema omerico con l’eroica sopportazione delle avversità, pazienza, tenacia, sagacia, prontezza nel fronteggiare le situazioni più disperate mettendo a frutto nuove conoscenze ed esperienze, quello che presenta Lo Monaco è un uomo stanco e sofferente che si avvicina molto a un certo tipo di nostalgia, solitudine e quasi depressione più volte evocata dall’attore durante l’incontro a tema all’Università.
Il riferimento alle guerre di oggi è stato fatto diverse volte. Lo stesso attore ha detto che secondo lui adesso (con i recenti fatti da tg, Grecia, Turchia,...) stiamo assistendo alla Terza Guerra Mondiale.
Lo Monaco e Niccolini hanno spiegato che il loro Ulisse dice che non riesce a godere della vittoria (della guerra di Troia e poi dell’aver sconfitto di Proci) perché ha il sangue nelle mani. La vendetta sui Proci, sottolinea Niccolini, non gli da la liberazione (di cui avrebbe bisogno una volta tornato a casa per dimenticare gli orrori della guerra). Come i soldati di oggi che quando tornano stanno male. Cosa simile succede nel “Macbeth”. E Penelope (Maria Rosaria Carli, nel ruolo anche della dea Athena) non riconosce più il marito proprio per questo motivo: perché è un assassino. Non più l’uomo che aveva sposato una volta.
La forza di Ulisse sta nei suoi ragionamenti prima di agire. E’, dice Sebastiano Lo Monaco, un “prototipo” della sua epoca, un personaggio che ancora non esiste. Se vivesse oggi, per il suo modo di riflettere, sarebbe un diplomatico o un ambasciatore dell’ONU. Uno che risolve il conflitto con il dialogo. Afferma l’inutilità della guerra ben prima che questa si compia. Profetizza all’inizio le morti inutili. Afferma che non c’è senso in quello che facevano; non c’è limite alla sofferenza. Ulisse aveva cercato di evitare di scendere in guerra proponendo di parlare col re Priamo per riavere Elena (Maria Rosaria Carli), la sposa di Menelao (Carlo Calderone), ma non era stato ascoltato. Ecco la sintesi e la modernità del suo pensiero. Nell’”Iliade” non si ha la visione che il conflitto (tra Ettore e Achille) non sarà risolutivo, ma porterà solo ad ‘una’ morte. Nell’”Odissea” sì.
Con questo spettacolo si entra a far parte della mitologia grazie al teatro, sebbene allestire l’”Odissea” non significhi fare teatro, ma, dice Niccolini, è andare ancora prima, quando l’epica era “voce”. Sarà per questo che lo spettacolo è sostanzialmente un lungo monologo inframmezzato da dialoghi che sono più flashback del personaggio che non incontri veri. Nel testo di Niccolini-Manfredi ci sono didascalie implicite nel dialogo che rendono possibile la materializzazione della scena (tra teli e barche) nella mente dello spettatore disposto a lasciarsi guidare dalla voce “narrante” di Lo Monaco. La regia di Alessio Pizzech, sapiente e leggera al tempo stesso, suggerisce, accanto alla lettura concettuale delle parole e al veloce susseguirsi di brevi scene, la suggestione visiva e musicale dello spettacolo, creando intermezzi con la coreografica partecipazione dell’Orchestra “Sax in progress” del Conservatorio di Campobasso.