“Due giovani nomadi, di cui una 17enne incinta, provenienti da un campo nomadi di Roma”. E’ scritto nel testo di un lancio di agenzia battuto ieri, 2 agosto 2013. Nel giorno in cui tutto il popolo Rom ricorda il Porrajmos, letteralmente “devastazione, divoramento”, lo sterminio dei Rom e dei Sinti avvenuto ad Auschwitz la notte tra il 2 e il 3 agosto del 1944, c’è ancora chi, oltre a non conoscere una delle pagine più terribili della storia europea, continua a diffondere pregiudizi. A distanza di 69 anni dalla Shoah dei Rom, in cui morirono oltre 500mila innocenti, un’agenzia usa ancora la parola “nomadi”, un preconcetto che non riesce a morire nemmeno nel giorno del ricordo e del dolore per la comunità romanì.
Ricorda Alexian Santino Spinelli, docente di Processi interculturali (Lingua e cultura romanì) presso l’Università di Chieti e musicista-compositore: “Ad Auschwitz-Birkenau la notte tra il 2 e il 3 agosto 1944 circa 4mila Rom e Sinti presenti nel blocco dello Zigeuner-lager furono trucidati con violenza inaudita dai nazisti e cremati nei forni per lasciare spazio ad altri prigionieri in arrivo. Le vittime opposero una strenua resistenza, come si evince da un rapporto, fra loro tanti bambini, donne e anziani. Erano innocenti e uccisi solo perché Rom. Un episodio aberrante dimenticato dalla storia e cancellato dalla memoria collettiva. Ad Auschwitz, morirono almeno 22mila Rom e Sinti. In totale oltre 500mila persone appartenenti alla popolazione romanì furono vittime dell'odio nazi-fascista”.
Ma da dove vengono i Rom? È sempre stato un popolo sparso in tutto il mondo?
Innanzitutto, la popolazione romanì è molto più ricca di quanto si possa pensare. Per brevità scriviamo “Rom”, ma intendiamo Rom, Sinti, Kalè, Manouches e Romanichals, un mondo molto più articolato che a sua volta contiene al suo interno infiniti sottogruppi della comunità romanès.
La popolazione romanì è indo-ariana e ha origini in un territorio compreso tra il Nord Ovest dell’India, l’Afghanistan meridionale e l’attuale Pakistan. Non è un popolo nomade, anche se oggi il popolo romanì è uno dei tanti popoli senza terra e senza stato.
L’assenza del fattore nomadismo nella loro cultura è testimoniato anche dalla lingua romanì, come ricorda Santino Spinelli nel suo libro “Rom, Genti Libere”, principale fonte di questo approfondimento. Tante parole nella lingua romanì sono legate al concetto di sedentarietà, come casa, porta, pecora, maiale, mentre le parole legate al nomadismo, pur presenti nella lingua, sono state acquisite da altre lingue dopo l’emigrazione forzata dall’India.
Perché i Rom si spostarono dall’India? Per scelta? No. Intorno al X Secolo diverse tribù indiane subirono una deportazione di massa da parte del Re di Persia che aveva bisogno di forza lavoro per l’Impero. Il gruppo che rimase in Persia assunse il nome di Dom e l’altro, invece, si diresse verso l’Armenia acquisendo il nome di Lom. Quest’ultimo gruppo raggiunse poi l’Impero Bizantino dove si distinse con l’etnonimo (il nome che un popolo dà a se stesso) Rom.
Nell’Impero bizantino si acquisisce anche l’eteronimo (il nome che un popolo dà ad un altro popolo) Zingaro. Esso deriva dal nome di una setta manichea che proveniva dall’Asia minore come i Rom, quella degli Athingani o Atsingani, che in greco significa “intoccabile, eretico”. I rom furono confusi con gli Atsingani, Zingari, termine che già aveva un’accezione negativa. La setta, infatti, rifiutava il contatto fisico, praticava la magia e conduceva una vita itinerante.
Nel corso dei secoli il termine Zingaro è stato impresso sulla pelle dei Rom come un marchio indelebile, tanto da assumere anche il significato di “schiavo”. Ciò avvenne soprattutto attraverso cinque secoli di schiavitù a cui furono costretti a partire dal XIV secolo nei Principati Rumeni (o Danubiani), della Valacchia, della Moldavia e della Transilvania. Un capitolo della storia romanì oscuro e mai raccontato. I latifondisti feudali rumeni includevano nelle loro proprietà comunità romanès, tanto che venivano usati come mezzi di donazione o per effettuare pagamenti. In questo modo intere famiglie, se non comunità, passavano da un proprietario all’altro, come succedeva oltre oceano agli schiavi neri. Intorno alla metà del XIX secolo la schiavitù dei Rom fu abolita. Per lo storico Ian Hancock il numero degli schiavi al tempo della loro emancipazione era di seicento mila Rom. Molti di loro emigrarono in massa verso l’Europa Occidentale e l’America, promuovendocosì un altro grande esodo.
L’arrivo in Italia è datato intorno al XII - XIII secolo. In Abruzzo, poi, sono presenti da sei secoli. I Rom furono da subito visti con sospetto, erano troppo diversi dalla popolazione autoctona e bisognava allontanarli. Durante il Rinascimento in tutti gli Stati Europei iniziarono a diffondersi le prime politiche di esclusione, inclusione forzata e emarginazione. I Rom divennero bersaglio di provvedimenti che prevedevano pene come l’allontanamento immediato, la fustigazione pubblica, il marchio a fuoco, il taglio del naso e delle orecchie, la morte per impiccagione. “Chiunque può ammazzare e bruciare gli Zingari senza commettere reato”: così recitava un bando del Sacro Romano Impero nel 1498.
Oggi in Italia ci sono 100 mila Rom, in Europa oltre 11 milioni e mezzo, in tutti i continenti oltre 16 milioni e 4 milioni di essi chiamati Dom vivono in Medio Oriente. Sono quasi 20 milioni, dunque, gli individui nel mondo che parlano la stessa lingua, la lingua romanì.
Oggi il termine Zingaro è ancora utilizzato come se fosse sinonimo di Rom. Dire Zingaro ai Rom è come dire mafioso ad un italiano e terrone ad un meridionale, con la differenza che sia gli italiani che i meridionali non sono un popolo perseguitato nella storia e quindi non portano con sé la stessa ferita di morte e sofferenza.
Fondamentali per capire e conoscere il popolo romanì sono le parole di Alexian Santino Spinelli.
Oggi si ricorda il Porrajmos, un momento di lutto per il popolo romanì, che tuttavia non è ancora è riconosciuto e ricordato da tutta l'umanità. Perchè?
"Perché c’è una volontà politica di non riconoscere questo genocidio, per una questione prettamente economica. Ai Rom e Sinti furono sottratti denaro, case, terreni, bestiame e quant'altro per un ammontare di milioni e milioni di euro, mai restituiti ai legittimi proprietari. Inoltre i Rom e Sinti prigionieri furono usati come cavie umane per conto di industrie farmaceutiche ancora oggi esistenti e usati come schiavi nella macchina bellica. Mentre altre vittime sono state risarcite economicamente, socialmente e culturalmente, le comunità romanès sono ancora oggi discriminate su base etnica, recluse nei campi nomadi e senza alcuna valorizzazione culturale. La mancanza del riconoscimento del Porrajmos ha prolungato i retaggi della politica dei nazi-fascisti che è trascinata, in pratica, fino ad oggi".
In questi ultimi anni qualcosa è cambiato? C'è stato qualche riconoscimento, almeno morale, della persecuzione subita dai rom?
"Certamente il Memoriale Rom di Berlino inaugurato da Angela Merkel e dal Presidente della Repubblica tedesca è un passo in avanti. Ma l'Europa deve cambiare la politica assistenzialista, attraverso la quale sperpera enormi risorse solo per arricchire associazioni speculatrici e attuare un asfissiante controllo. L'integrazione è come l'amore si fa in due. Se ci fosse una reale volontà politica per includere le comunità romanès basterebbe la centesima parte di ciò che si sperpera oggi. I risultati non ci sono, perché l'inclusione passa attraverso la valorizzazione culturale e non attraverso l’assistenzialismo becero".
Dopo 69 anni dal Porrajmos il razzismo e l'emarginazione verso il popolo romanì sono diminuiti?
"Assolutamente no. Ci sono ingenti interessi economici e politici che non permettono miglioramenti. Vorrei ricordare che i campi nomadi sono espressione di ghettizzazione e di razzismo e non espressione culturale. I Rom non sono nomadi per cultura, nonostante la propaganda faccia credere il contrario all'opinione pubblica. Quindi la segregazione razziale e il razzismo sono crimini contro l'umanità. I politici che fanno discorsi razzisti contro i Rom invece di essere perseguiti in termini di legge, come sarebbe normale in un Paese civile, hanno visibilità mediatica e consenso elettorale. In pratica essere razzisti conviene".
Perché questo è un popolo perseguitato?
"Perché fin dal Rinascimento i Rom non si sono mai liberati con le armi e la violenza dal soggiogamento degli Stati europei, in quanto la cultura romani è una cultura pacifista e la popolazione romani è fra le poche che non ha mai dichiarato guerra a nessuno, non ha mai avuto un esercito e non ha mai attuato nessuna forma di terrorismo. Dalla discriminazione i Rom devono ancora liberarsi. Purtroppo non possono farlo da soli. È impossibile senza l'aiuto politico dell'Europa. L'integrazione di quasi 12 milioni di persone in Europa porterebbe un contributo economico immenso in termini di lavoro e di contributi fiscali e il taglio al becero assistenzialismo farebbe risparmiare milioni di euro. Il movimento neo-colonialista autoreferenziale delle associazioni di pseudo volontariato, politici corrotti e mass media compiacenti impediscono tutto questo".
Così l’Italia accolse il popolo romanì nel XVI secolo:
“Li detti Cingani, così homini come femine, che saranno ritrovati nei Territori Nostri essere impuni ammazzati, si che li interfattori per tali homicidi non abbiano a incorrer in alcuna pena…”
Lo stabiliva un bando del 1558 della Serenissima Repubblica di Venezia, in cui si spiegava che era possibile uccidere Rom senza essere neppure puniti.
Oggi, a distanza di secoli per nostro paese non tutti gli uomini sono uomini, alcuni lo sono di meno. Come conferma l’esistenza dei campi attrezzati per rom.
Lo scorso 2 maggio la Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo l’emergenza nomadi del 2008, aprendo la strada alla fine dell’illegalità degli sgomberi forzati nei campi, che violano ogni diritto fondamentale dell’uomo.
“Spesso le persone non sono discriminate perché si comportano male, ma si comportano male proprio perché sono discriminate”: così Alexian Santino Spinelli nel suo libro.
Auschwitz
Muj shukho Faccia incavata
Jakha kale Occhi oscurati
Wust shurde. Labbra fredde.
Kwite. Silenzio.
Jilo cindo Cuore strappato
Bi dox Senza fiato
Bi lav Senza parole
Nikht rovibe Nessun pianto
(Poesia di Alexian Santino Spinelli incisa sul Roma Memorial di Berlino, inaugurato assieme al Primo Ministro tedesco Angela Merkel)