Intorno al Parco regionale Sirente-Velino si sta animando, finalmente, un interessante dibattito che interroga la politica regionale e l'opinione pubblica. Gli ambientalisti, da una parte, con la proposta di 'Appennino Ecosistema' di trasformare l'area protetta in un Parco Nazionale. L'assessore regionale Donato Di Matteo, dall'altra, e con lui una ventina di sindaci del territorio che, al contrario, vorrebbero una riperimetrazione ragionata. Se non fosse che, nella media valle dell'Aterno e non solo, le proposte avanzate dalle amministrazioni comunali, assai impattanti, stanno allarmando, e non poco, chi vorrebbe invece potenziare l'area protetta, in seno ad una politica regionale che, almeno a parole, vuole investire sulle aree naturali e sulla montagna per rilanciarsi dal punto di vista economico oltre che sociale.
"I fini istituzionali di un Parco sono tutelare il patrimonio ambientale presente al suo interno, che è un forte valore aggiunto la cui tutela può generare anche importanti economie sostenibili", spiega Piero Tronca, già sindaco di Tione degli Abruzzi - tra i Comuni che vorrebbero un importante ridimensionamento dell'area protetta tirando fuori, praticamente, i borghi di Tione, Goriano Valli e Santa Maria del Ponte - e fino al commissariamento membro del Consiglio direttivo del Parco Regionale. "L’individuazione e la perimetrazione di un parco si basano sulla conoscenza di cosa c’è da tutelare, sulla sua individuazione, valutazione e delimitazione, sempre su presupposti scientifici", aggiunge.
Qual è la procedura attuata da Regione Abruzzo per la riperimetrazione del Parco Regionale del Sirente Velino e che viene contestata?
"Non è stata fatta alcuna valutazione, sono state solo recepite le richieste singole dei sindaci (soprattutto di taglio, respingendo quelle che proprio macroscopicamente contravvenivano alle norme europee), scollegate l’una dall’altra, con l’unico fine di eliminare le opposizioni di partenza alla legge proposta dall’assessore regionale".
E il risultato, qual è?
"Il risultato è inaccettabile nel metodo e nel merito; la proposta concordata da sindaci e assessore contravviene a ogni norma di buon senso e fondamento scientifico: sulla base di richieste estemporanee e di spicciole esigenze di rifiuto di regole (“Nina”, la giovane lupa, ha perso una zampa per un laccio messo da bracconieri nella più importante area naturalistica della valle dell’Aterno che si vuole escludere dal parco) si tagliano aree che sono la culla di riproduzione di specie protette di primaria importanza (lupi, aquile, cervi, gatto selvatico, airone, lince, orso); si ignora il paesaggio come bene culturale, anche quello agrario, che proprio nelle aree che si vuole escludere è diffuso con punte di assoluta eccellenza; si ignora inoltre la presenza di giovani e attive microimprenditorie (esasperate dalla inefficacia di leggi che dovrebbero tutelarne l’attività, anche agricola), nate e consolidatesi grazie alla ricchezza del patrimonio ambientale e alla promozione portata dall’essere all’interno di un parco".
Tuttavia, in molti - e i sindaci, in particolare, a farsi portavoce delle legittime lamentele dei cittadini - denunciano i disagi, i danni che gli animali selvatici creano alle colture agrarie oltre che i pericoli per l'incolumità pubblica. E penso all'annoso problema dei cinghiali, per esempio.
"Riguardo ai cinghiali (non dimentichiamo, introdotti negli anni ’70 dalle associazioni venatorie), a fronte dell’innegabile insufficienza dell’azione di contenimento svolta dal parco, i sindaci non hanno attivato gli strumenti a loro disposizione, né come membri della comunità del parco, né come pubblici ufficiali; durante l’assemblea del 21 aprile scorso, in Regione Abruzzo, ho chiesto al sindaco di Fagnano Alto perché non avesse mai fatto un’ordinanza contingibile e urgente per pubblica incolumità per l’abbattimento dei cinghiali, utilizzando i selecontrollori (tutti cacciatori) presenti in zona in gran numero: si tratta di una procedura alla quale non ci si deve opporre ideologicamente, sia perché la cattura con gabbie (che per i cinghiali non finisce certo meglio che con gli abbattimenti) non sta dando esiti adeguati, sia perché, se gli abbattimenti fossero stati attivati prima (io per primo li feci da sindaco nel 1998-99, in circostanze identiche), non ci troveremmo oggi a questo punto né con i cinghiali, né con i sindaci, né con le popolazioni locali, giustamente esasperate".
Regione Abruzzo, l'assessore con delega ai parchi Donato Di Matteo, sottolinea la necessità di una legge generale di riordino capace di snellire i consigli d'amministrazione. Una insistenza che - ha sottolineato - ha avuto l'ostilità di chi vorrebbe impedire che la legge venisse portata a compimento. "Questo parco - le parole dell'assessore - in 26 anni è stato un disastro, si sono susseguiti tanti litigi e commissariamenti e non si è guardato mai al valore reale del parco Sirente Velino che doveva rappresentare un front office operativo per la difesa di flora e fauna. Il parco inoltre in 26 anni non si è mai dotato di un vincolo legislativo sui parchi". E anche 'Appennino Ecosistema' che, al contrario, vorrebbe la istituzionalizzazione dell'area protetta come Parco Nazionale, sottolinea la necessità di arrivare all'approvazione del Piano del Parco. Come mai non si è fatto, fino ad ora?
"E' chiaro che il Piano del Parco va approvato subito e che è lo strumento, non solo programmatico, ma anche di graduazione dei differenti livelli di uso del territorio, che saranno (quelli sì) la giusta risposta alle esigenze municipalistiche dei sindaci; ma deve essere altrettanto chiaro che il piano in discussione è stato redatto prima di un terremoto che ha devastato, fisicamente e socialmente, molti centri storici del parco: la ricostruzione li restituirà risanati, ma per la maggior parte semidisabitati e senza prospettive per il futuro; sta riducendosi la funzione di “servizio” che i più importanti di essi svolgevano nei confronti di quelli più piccoli; ex stalle e pagliai, case disabitate da mezzo secolo, saranno restituiti in gran quantità dalla ricostruzione, anche solo come semplici volumi, perché caratterizzanti i nostri centri storici, fatti di muri in pietra, di modanature di portali e finestre, di simboli e decori antichi. Quel piano in discussione ignora questo evento, non coglie le opportunità date dalla ricostruzione e non costruisce le attese prospettive di vita. Va aggiornato".
Un ultimo tema è quello della giusta premialità da conferire a chi, dentro i parchi, deve avere uno stile di vita compatibile con la tutela del patrimonio ambientale, con il compito (oneroso) di contribuire a proteggerlo in modo attivo.
"Una politica regionale dei Parchi (che a quanto vediamo non esiste) deve intervenire in questo campo, ma figuriamoci se quella nostrana, che elemosina sempre con ritardi di 2-3 anni risarcimenti inadeguati dei danni di cinghiali e cervi alle popolazioni locali, può arrivare a porsi il problema di defiscalizzazioni e altre premialità a favore di quelle popolazioni".
E dunque, come si fa a far funzionare bene un'area protetta come quella del Sirente-Velino?
"E' impossibile gestire 57.000 ettari con soli 950.000 euro dati all’anno dalla Regione (e le conseguenze si vedono). Ma chi in buona fede pensa di liberarsi dei tanti problemi uscendo dal Parco può essere certo capito ma sbaglia, perché i problemi rimangono, ad andarsene sono solo le garanzie di tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale, ultima prospettiva rimasta a paesi emarginati, spopolati, senza futuro economico e di vita, come quelli della media valle dell’Aterno e della valle Subequana. La politica dei parchi è una cosa seria e va fatta seriamente: non si può accettare il metodo adottato dall’assessore regionale, che ha il dovere di garantire la necessaria tutela di aree di valore ambientale. Ecco perchè è necessario sostenere la costituzione di un Parco Nazionale del Sirente Velino".