Il 2016 è l'anno dei festeggiamenti di centenari artistico-letterari, o comunque di ricorrenze ad esso connesse.
Penso a Shakespeare, in primis, del quale ricorrono i 400 anni dalla morte, ma anche alla scrittrice inglese Charlotte Brontë della quale ricorre il II centenario dalla nascita (non è quindi un caso se il tv, nei mesi scorsi, hanno più volte proposto la versione cinematografica del suo famoso romanzo "Jane Eyre"), all'italiano Guido Gozzano nel centenario dalla morte, passando per Miguel De Cervantes Saavedra, morto 4 secoli or sono, che in gioventù visse qualche mese anche alla corte romana del cardinal Giulio Acquaviva (di Atri), ma del quale, ahimé!, devo notare che in Italia quest'anno sono previsti ben pochi ricordi (se non quell'ardito "Don Chisciotte" che Luca Barbareschi e il suo Teatro Eliseo promettono per la prossima stagione teatrale a Roma). In ogni caso, quello più celebrato è William Shakespeare. E non solo in Italia.
Ma l'elenco dei festeggiati potrebbe continuare ancora.
Ai precedenti se ne aggiungono anche altri se si considerano, ad esempio, le prime di film, come quel "Cenere" interpretato (e forse anche co-diretto) dalla grande-attrice teatrale Eleonora Duse e dal divo (oggi diremmo sex-symbol) del cinema muto Febo Mari cento anni fa, del quale a metà maggio si è fatta una proiezione pubblica al L'Aquila Film Festival, con musiche composte ed eseguite dal vivo da Doriana Legge. Tratto dal romanzo di Grazia Deledda, la prima donna italiana a vincere, nel 1926, il Premio Nobel per la letteratura (dopo Giosuè Carducci e prima di Luigi Pirandello) e morta 80 anni fa lontana dalla sua Sardegna che intanto la celebra, il film, forse per l'inizio della Prima Guerra Mondiale, non ebbe fortuna, ma rivisto oggigiorno, non ha nulla da invidiare ad altri film coevi e, per di più, neanche a quelli odierni.
Il 2016 è anche il bicentenario del debutto de "Il barbiere di Siviglia", su libretto di Cesare Sterbini musicato da Gioachino Rossini, la più divertente fra le opere liriche. E una delle più famose al mondo.
Non so dire quanto siano belli o brutti i festeggiamenti dei centenari. Sono importanti perché ci dicono da dove veniamo e quali sono i punti più alti della cultura. Ma, sotto altri aspetti lasciano perplessi. Indicano ricchezza o povertà? Diciamocelo apertamente, l'Italia (e non solo questa) è in crisi. Economica e sociale. E fare feste implica l'avere delle conoscenze culturali e delle disponibilità economiche.
Ma, guardando l'industria culturale da un aspetto sociologico, ogni epoca si organizza come sa e come può. In Francia nella seconda metà del XVII secolo, con Luigi XIV, il Re Sole, quella della grandeur non era un'etichetta sociale, ma un sistema politico e stimolo economico. Nelle successive società dell'ancien régime le celebrazioni festive erano eventi quasi mai spontanei, anzi controllati, se non proprio organizzati allo scopo di consolidare sul piano simbolico l'assetto dei poteri esistenti attraverso la loro auto-esibizione. Con l'Illuminismo si pone fine all'ostentazione e le feste, da piani di conservazione dell'ordine sociale, diventano pratica comunicativa necessaria al rinnovamento dell'immaginario collettivo e alla costruzione di una nuova società.
Oggi cosa sono?
Quest'anno, tra alti e bassi, criticità e festival che si trovano a dover riflettere su se stessi e la loro gestione, l'Italia è comunque piena di eventi. E anzi ne spuntano anche di nuovi.
Molti annoverano omaggi a William Shakespeare.
Anzi di più. Da quest'autore inglese, dovunque ci giriamo, siamo circondati.
Anche al cinema proliferano le nuove versioni cinematografiche delle sue pièces. Al solito molto attese sono quelle di Kenneth Branagh, ma ne troviamo anche altre, come quel "Macbeth" uscito qualche mese fa, di Justin Kurzel con protagonisti Michael Fassbender e Marion Cotillard. Un adattamento che ne da una versione cruenta e pure crudele. Immagini digitali da videoclip onirico, 'piatte', da vetrino colorato, nelle quali lo scorrere degli eventi è sancito da un découpage in cui l'azione movimentata è data da immagini spesso statiche in cui solo il protagonista sembra 'muoversi', non solo fisicamente, ma anche col pensiero e risultato è uno spettacolo crudo. E che si contrappongono a quelle della sua Lady nelle quali sembra che, nonostante le preghiere, il suo pensiero non riesca a muovere il resto.
Nell'ambito teatrale, innumerevoli sono le versioni di opere shakespeariane che si susseguono in questi mesi ovunque in Italia.
Gigi Proietti, ad esempio, ha voluto rendere omaggio al cigno dell'Avon scendendo per la prima volta come attore nel teatro shakespeariano che ha voluto e che dirige da oltre un decennio nel parco di Villa Borghese a Roma. Ad inizio luglio si è quindi prodotto in una nuova versione di "Edmund Kean" di Raymund FritzSimons, col quale aveva già riscosso successo nel 1989 (prodotto dal TSA) al Teatro antico di Taormina e che, col titolo "Omaggio a Shakespeare" pure al Silvano Toti Globe Theatre si è rivelato un gran successo. Un testo difficilissimo, con un continuo e serratissimo entrare e uscire ora da Kean, ora dai personaggi shakespeariani che l'attore ottocentesco ha fortemente voluto portare in scena, riscattandoli dall'oblio dell'epoca, a scapito di quell'Arlecchino che pure gli calzava a pennello. Inutile dire che Proietti, in due ore di monologo tra costumi ottocenteschi e ricchi elementi di scena, ha interpretato abilmente il ruolo, risolvendo, arricchendo e impreziosendo con la sua verve comica punti critici di quel testo impietoso che non lascia un attimo di respiro allo spettatore, giocando linguisticamente in maniera tanto sardonica quanto necessaria a scapito di quel Kemble (John Philip) attore che faceva concorrenza shakespeariana al Nostro.
Avvicinandoci, in un percorso ideale, all'aquilano Teatro Stabile d'Abruzzo – Ente Teatrale Regionale, eccoci giunti a parlare delle produzioni che proprio quest'ultimo sta mettendo in ballo quest'anno.
"Pericle, principe di Tiro" regia Lorenzo D'Amico De Carvalho - foto Luigi BaglioneCerto non si può dire che non osi, visto che la prima delle due, realizzate per il festival "I cantieri dell'immaginario" che si sta svolgendo nel capoluogo abruzzese, è "Pericle, principe di Tiro", la meno rappresentata delle opere shakespeariane. Ho detto alla responsabile della comunicazione Roberta Gargano che probabilmente sono gli unici in Italia a produrla; mi ha risposto "unici al mondo!". La fortuna per il 'resto' della penisola è che lo spettacolo, co-prodotto con il Festival Quartieri dell'Arte di Viterbo e il Festival dell'Aurora di Crotone, andrà in tournée. Un testo davvero difficile, complicato, intricato e spinoso. Una sorta di epopea nera, crudele e che non ha niente del romanticismo e della magia cui Shakespeare ci ha abituato. Mi ha sorpreso molto la messinscena che visto il 21 luglio scorso nella location della monumentale Fontana delle 99 cannelle. Una rappresentazione semplice ed essenziale ma, forse, azzeccata e che per alcuni versi mi ha fatto venire in mente Peter Brook (di cui ho recentemente visto "Battlefield", epopea ispirata al "Mahabharata" indiano, al Teatro Argentina a Roma) per quello stile semplice e pulito del regista Lorenzo D'Amico De Carvalho (che ha in cv anche il ruolo di assistente alla regia nelle pièces di Alessandro D'Alatri, attuale direttore artistico dell'ente, come mi ha fatto notare il dirigente organizzativo del TSA, Giorgio Iraggi) fatto di costumi etnici, un telo multifunzione, giochi di luce, bravi attori (giovani provenienti dal Centro sperimentale di cinematografia) e movimenti scenici ora più ampi ora sintetici. Simpatico, quasi a smorzare la tensione con quel suo fare alla maniera giornalistico-documentaristica degli Angela, Gower.
Cinta muraria nei pressi di Porta della Stazione, L'Aquila - foto tsa
Per completare l'omaggio a William Shakespeare, il TSA propone poi una "Shakespeariana", dal titolo evocativo e che rientra nell'ormai tradizione dell'ente di allestire in un unico spettacolo estratti di più testi dell'autore inglese. Ed è così che, su progetto di Roberta Gargano, troviamo alcuni dei suoi famosi personaggi affidati ai giovani "Talenti" locali che io ho visto intrecciare le loro storie martedì 26 luglio, in anteprima, invitata alla prova generale, all'inizio della Cinta muraria di Porta della Stazione, fresca di restauro, a L'Aquila. 45 minuti in compagnia di un Ariel cicerone e Prospero, Antonio, fate e streghe... Monologhi che si incontrano ed intersecano magicamente, come quelli di Romeo e Giulietta nell'interessante adattamento drammaturgico e registico di Maria Cristina Giambruno. Romanticismo impreziosito dal lume di candela fa da cornice a storie tra amore e fantasia, violenza e potere, mondo germanico e latino, passando per quello ebraico di Shylock. Spettacolo onirico, un sogno, un mondo tanto colorato di passione, ma anche nero di pathos, dai ritmi serrati e rock, come le musiche di Marylin Manson che accompagnano il grintoso Macbeth. La messinscena è anche bucolica e fa persino simpatia e tenerezza notare una scalinata improvvisata nella montagnola sterrata della location in cui si muovono i personaggi. Molto accurati anche i costumi.
Nel frattempo, e per rimanere in tema con lo stesso autore, pare aver riscosso grande successo "Romeo e Giulietta" co-prodotto da TSA e Khora.Teatro, per la regia di Andrea Baracco, con Alessandro Preziosi (ex-direttore artistico dell'ente) che si cimenta col ruolo di Mercuzio e con Lucia Lavia nel ruolo di Giulietta e Antonio Folletto in quello di Romeo sulle scene di Marta Crisolini Malatesta. Fresco di debutto al festival "Estate Teatrale Veronese" nel Teatro Romano di Verona, stessa città degli amanti del titolo, sarà poi in tournée toccando anche Firenze, Roma e L'Aquila.