Domenica, 15 Settembre 2013 23:38

Accademia dell'Immagine, le mie verità: intervista a Gabriele Lucci

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Il futuro dell'Accademia dell'Immagine è appeso, oramai, ad un filo sottile. Scioglimento o sopravvivenza? L'assemblea dei soci convocata dal presidente della Regione, Gianni Chiodi, con all'ordine del giorno la liquidazione dell'ente, ha preso un pò di tempo affidando all'avvocato Luca Bruno una ricognizione patrimoniale. Una volta chiarito lo stato finanziario dell'Accademia, i soci decideranno cosa fare.

I segnali, a dire la verità, non sono affatto rassicuranti. Se è vero che il commissario incaricato, nel 2011, aveva accertato un passivo di 2milioni e mezzo, ora la voragine debitoria ha assunto dimensioni ancor più importanti. "Purtroppo", ha dichiarato Bruno, "ad oggi non ci sono più voci attive. Non ci sono ricavi che possano assicurare la ripartenza delle attività dell'ente".

Tra l'altro, sono in corso indagini della Guardia di Finanza sulla gestione economica dell'Accademia. In particolare, ci sarebbe stato un artificio contabile per far apparire, nei bilanci consuntivi 2007 e 2008, un debito minore di quello reale, così da evitare la messa in liquidazione. E questo inserendo nella voce ricavi una cifra pari a 150.000 euro che l’allora sindaco, Massimo Cialente, che era anche presidente dell’Accademia, aveva promesso a nome del Comune: promessa a cui non seguì alcuna delibera. Inoltre, tra i costi entrati in bilancio, gi inquirenti avrebbero trovato pagamenti per ristoranti, tagliandi parcheggio, ricevute di pedaggio autostradale, ricariche telefoniche e persino multe elevate a dipendenti per infrazione al codice della strada che l’ente avrebbe pagato non si sa a quale titolo. Una gestione, in altre parole, quanto meno allegra.

NewsTown ha incontrato il fondatore dell'Accademia Internazionale dell'Immagine, Gabriele Lucci, direttore fino al 2006. Che combatte ancora per salvare la sua 'creatura' e per raccontare le sue verità.

Un passo indietro al 5 aprile 2009. Non si parlava di liquidazione, ma l'Accademia aveva già accumulato un debito importante. Una soluzione, però, si era trovata.

Non si è mai neanche accennato alla possibilità di una liquidazione. Dalla nascita e fino al giorno del terremoto, l'Accademia ha lavorato con passione e nessuno ha parlato in termini negativi del 'prodotto' realizzato. Per fortuna, è sempre stato ineccepibile. Dal punto di vista finanziario, da quando l'Accademia è stata disciplinata giuridicamente con Legge regionale - era il 1997 - è stato sostenuta con 350-400mila euro l'anno dai soci (Regione, Provincia e Comune, ndr). L'Accademia, in realtà, nasce nel 1993. Il progetto, che avevo studiato con Vittorio Storaro e proposto a Giovanni Schicca, allora rettore dell'Università, risale addirittura al 1990. Insomma, gli enti locali hanno ereditato una Accademia attiva, sebbene non allocata in un edificio proprio. Le contribuzioni che hanno assicurato da allora sono state abbondantemente inferiori alle necessità: c'era da ristrutturare la nuova sede di Collemaggio, dovevamo offrire agli studenti le postazioni didattiche, dotare gli spazi di un bar, c'erano da organizzare gli uffici amministrativi. L'edificio era assolutamente fatiscente quando siamo arrivati. Inoltre, per assicurare prodotti di qualità, per fare in modo che la scuola fosse competitiva a livello internazionale, come chiedevano entusiasticamente gli enti che avevano deciso di sostenerla, l'Accademia ha continuato il suo lavoro anche in termini di editoria, produzioni video, film didattici, e si è assunta l'onere della ristrutturazione del Cinema Massimo. Si sperava che finanziamenti pubblici contribuissero alla rinascita di una sala che la città reclamava a gran voce. Invece, non arrivò neanche un euro. Nonostante un grande sforzo dell'Accademia, che si concretizzava in una autonomia produttiva che pesava il 30%-40% del bilancio, era dunque difficile andare avanti. Si cominciò a pensare, allora, ad una sponda europea. Era l'unico modo per mantenere alto il livello. Se volevi tenere legati a te premi Oscar, conservare la storia del cinema con produzioni editoriali, fare in modo che il marchio diventasse davvero internazionale e rivolgerti, come succedeva, a studenti che arrivavano a L'Aquila da Atene, Bonn, Leeds o Mosca, se volevi inoltre accogliere ragazzi che venivano a laurearsi in città, dovevi proseguire su quella strada e non si poteva tornare indietro. Il progetto europeo era pronto e Bruxelles lo aveva valutato con favore. Andava, però, messo in agenda: era la Regione che doveva sottoporlo all'UE. Non accadde mai. Non ci fu la volontà politica, né a destra né a sinistra. Siamo arrivati, così, al 2009, e l'idea del Consiglio di Amministrazione fu di cercare un po' di ossigeno alla Cassa di Risparmio. Venne presentato un piano di riorganizzazione, sulla base del quale la stessa approvò l'erogazione di un mutuo garantito dalla proprietà dell'edificio della Scuola. Questo mutuo (1 milione e duecentocinquantamila euro), sottoscritto dai soci dell'Accademia proprio tre giorni prima del terremoto - c'era anche il delegato del governatore Gianni Chiodi -, avrebbe risolto la situazione senza procedere ad alcun licenziamento. Ricordo persino che il presidente del Cda, il sindaco Massimo Cialente, sottoscrisse le rate di pre-ammortamento per il pagamento. Il crollo della sede ha sfortunatamente fatto venir meno la garanzia reale e, conseguentemente, l'erogazione del mutuo.

In altre parole, c'era la volontà politica di portare avanti il progetto dell'Accademia nonostante i debiti. Poi, il terremoto. Il mondo del cinema si mobilitò per sostenere l'Accademia. Arrivarono testimonianze di solidarietà da ogni angolo del mondo, si celebrò una importante serata a Roma di raccolta fondi. Inoltre, il decreto 39 (poi trasformato in Legge) stanziò dei fondi per la ricostruzione dell'edificio a Collemaggio. Un edificio valutato 6 milioni di euro. Le condizioni per ripartire, insomma, sembravano esserci. Come si è arrivati allo spettro della liquidazione?

E' inspiegabile. La legge 77, il cosidetto Decreto Bertolaso, poneva fondi per la riedificazione dell'edificio, sia per l'Accademia che per il Conservatorio. La cosa più naturale, dunque, sarebbe stata rinegoziare il mutuo sulla base di questa nuova garanzia. Ci fu un rapporto epistolare tra gli enti locali e la Carispaq, con il sostegno del Ministero della Cultura: la Cassa di Risparmio, però, non si fidò perché aveva avuto difficoltà con le contribuzioni dovute dagli enti stessi, spesso in ritardo nei pagamenti. Il discorso era semplice: la banca chiedeva un impegno dei soci a pagare effettivamente il mutuo, altrimenti non era possibile erogarlo, e che si procedesse velocemente alla ricostruzione della Sede che era garanzia reale dell'impegno. In altre parole, se i soci - Regione, Provincia e Comune - avessero mostrato la reale volontà di rilanciare l'Accademia, credo che avremmo ottenuto il mutuo che poteva aiutare a superare le difficoltà del momento. Inoltre, non si sarebbero accumulati altri debiti: il disavanzo di 2milioni e mezzo è dovuto ai costi che, in questi anni, non sono stati più fronteggiati dai ricavi. Se avessero messo l'Accademia nelle condizioni di ripartire non saremmo arrivati alla condizione attuale: da una parte, si potevano affrontare i debiti pregressi con il mutuo garantito dalla sede - se oggi fosse ricostruita, varrebbe intorno ai 10-12milioni -, dall'altra avremmo evitato di peggiorare la situazione economica.

Si è tentato comunque di andare avanti. Le luci dell'Accademia non si sono spente il 6 aprile, come sottolineato in una intervista di qualche giorno fa da Gianni Chiodi.

Credo molto nelle istituzioni e, quindi, mi rivolgo con garbo a Gianni Chiodi. Vorrei ricordargli, però, che nel 2009-2010 l'attività didattica è andata avanti grazie ai fondi di solidarietà raccolti subito dopo il sisma. Stiamo parlando di 400-450mila euro, che ho cercato personalmente, girando in lungo e in largo per l'Italia. Compresi gli 80mila euro garantiti dal Ministero della Cultura, e i soldi delle donazioni estere. Arrivarono 100mila dollari persino da Tom Hanks, dal cast di Angeli e Demoni. Anche io, nel mio piccolo, ho garantito un piccolo contributo di 500euro. Se non altro, per non fare brutta figura visto che avevo promosso personalmente la raccolta.

A questo punto, è giusto chiarire una vicenda di cui si è molto parlato. Ha ricordato, in altre interviste, di avere un credito pendente con l'Accademia di più di 100mila euro. In molti, però, l'hanno accusata di aver chiesto l'anticipo del Tfr conscio che la barca stava per affondare.

La realtà è un'altra. Già nel 2005 avevo pregato i soci di esimermi dalla direzione generale e, quindi, di poter garantire una successione all'Accademia. Lavoro da 35 anni per il territorio, dal 5 maggio 1976. Ero stanco. Inoltre, per problemi familiari, si avvicinava sempre più la voglia, il desiderio, la necessità di fare un passo indietro. Io e la mia compagna, Anna Maria Ximenes, colpita da una grave malattia, decidemmo di lasciare. Ora, a parte il fatto che devo ancora avere una buona parte del contributo di fine rapporto, che una legittima richiesta di anticipazione del Tfr fu avanzata anni prima di un eventuale stato di crisi o figuriamoci di messa in liquidazione e quando nessun altro pensava mai di doverne usufruire, tranne un caso a quei tempi che fu ovviamente risolto in termini positivi, a parte che la piena buona fede la si riscontra nel fatto che poi andammo effettivamente via dalla scuola per lasciare il posto ad altri e che, se solo avessimo voluto, al posto dei tre impiegati alla Scuola nazionale di Roma oggi ci saremmo noi, e ancora che chi passa queste notizie tendenziose commette una evidente violazione della privacy, a parte tutto questo mi chiedo: ma quale pulsione distruttiva puo' agitare le menti di alcuni se a fronte di tutto ciò che abbiamo fatto per la città, aver dedicato i migliori anni della nostra vita a questo territorio, aver creato tanti posti di lavoro, aver aiutato anche con soldi personali quella scuola, si è solo capaci di disconoscere quanto realizzato e si ricorre, invece, a serpentine insinuazioni fino a pensare che avrei potuto mettere in difficoltà, arrecare danno a una mia creatura?

Ha accennato alla convenzione stipulata da Regione, Provincia e Comune con la Scuola Nazionale di Cinema. Una convenzione che ha permesso agli studenti di continuare l'attività didattica. Tra l'altro, tre dei lavoratori dell'Accademia sono stati riassorbiti. Subito dopo il sisma, però, gli accordi sembravano altri.

Siamo all'indomani del terremoto. Mi rivolgo alla Scuola Nazionale in via Tuscolana, per portare ai vertici la mia viva preoccupazione. Ho chiesto loro una mano: eravamo in condizioni terribili. Si studiò una convenzione che doveva rispondere a quattro requisiti: l'Accademia doveva restare a L'Aquila, vivere nella sua sede che andava velocemente ricostruita, mantenendo il livello occupazionale e continuando, anche attraverso la collaborazione con la Scuola, il progetto didattico che l'aveva resa famosa nel mondo. La Scuola nazionale di Cinema accolse le proposte, a patto che i soci dell'Accademia finanziassero l'accordo. Facemmo una riunione a palazzo Silone, in cui vennero confermati questi intendimenti. Ricordo che Stefania Pezzopane si battè, in particolare, sulla necessità di mantenere i posti di lavoro per tutti i dipendenti. Che cosa successe, invece? Nel 2009 e nel 2010 continuammo l'attività didattica anche in collaborazione con la Scuola Nazionale. Alla fine del 2010, però, gli enti locali - in primis, la Regione - dinanzi ai debiti che continuavano ad accumularsi per i motivi che spiegavo e perché, subito dopo il terremoto, avevano smesso di versare le quote annuali, lasciandoci solo con i fondi di solidarietà che avevamo raccolto, cambiarono idea. Non hanno messo un euro, da allora ad oggi. Solo la Provincia ha assicurato, 20-22mila euro. Perché? La tesi, in particolare della Regione, è che se gli enti avessero versato i fondi previsti, questi sarebbero stati aggrediti dai creditori. Il buon senso, però, avrebbe spinto a rinegoziare il mutuo per fronteggiare i debiti: con i contributi, invece, avremmo potuto far ripartire le attività dell'Accademia. E poi, le altre istituzioni come stanno? Vogliono farci credere che non sono stati versati loro i contributi? E quei soldi non sono serviti anche a far quadrare i conti? Cerchiamo di non nasconderci dietro un dito. Lo stato patrimoniale dell'Accademia garantiva pienamente la copertura di quelle somme: è questo che mi fa star male.

E allora perché si sta lasciando morire l'Accademia? Si è dato una risposta?

Francamente non lo so. Quello che so è che l'edificio è importante, di pregio, che non si mette in liquidazione, o si scioglie, o si mette in stato fallimentare una azienda che riesce a garantire la copertura del debito. Se entri in una azienda automobilistica in crisi, la prima cosa che valuti è se le auto vengono prodotte e se si riesce a venderle. Se così è, e per noi era così visto che eravamo in grado di produrre un prodotto apprezzato e spendibile, perché liquidare? Spero che l'avvocato Luca Bruno, professionista stimatissimo, valuti l'importanza del marchio, cosa che non è stata fatta fino ad ora. Spero che la sua relazione non sia la pietra tombale dell'Accademia. Il nostro è un marchio importantissimo, sostenuto da relazioni internazionali, libri, attori, premi Oscar. Un marchio su cui la città dovrebbe investire. Si è creato un tale invischiamento, alimentando le voci e i chiacchiericci senza fondamento, che si sta perdendo di vista la spendibilità di un nome noto in tutto il mondo.

Sul prodotto, come detto, nessuno ha avuto mai da eccepire. Piuttosto, l'Accademia è stata accusata di essere un carrozzone politicizzato, con una gestione dei conti allegra. Lo ricordavamo, ci sono delle indagini in corso.

Carrozzone. Avevamo sedici persone. Quattro lavoravano al Cinema Massimo, il resto era impegnato nelle attività della scuola. Nel bar dove siamo, ci sono tre ragazzi dietro al bancone. In una scuola internazionale come l'Accademia, che deve parlare inglese, che deve avere rapporti con i docenti, i macchinari, gli studenti, mi si dice che sedici persone sono tante. Non regge. Trovo anzi che sia miracoloso quanto abbiamo fatto. E poi, si mormora che fosse stato assicurato lavoro per via clientelare: ora, questo significa che sarebbero arrivate pressioni all'Accademia per assumere personale non necessario, di cui non c'era bisogno, e privo di professionalità. Se fosse così, avrebbero contribuito al prodotto che tutti celebrano? Infine: il liquidatore Bruno ha accennato anche agli stipendi, che negli ultimi tempi erano stati migliorati. Certo! Gli stipendi erano stati adeguati al minimo di dignità. I livelli e le persone guadagnavano il giusto: perché non si fa un raffronto con gli stipendi assicurati nelle altre scuole di cinema, nelle accademie, nelle istituzioni culturali?

Non era nel Consiglio d'Amministrazione, all'epoca dei fatti contestati. Crede che la gestione amministrativa sia stata corretta?

Assolutamente si. Erano tutte persone oneste. Nessuno mai ha pensato di prendersi un centesimo, si è solo fatto il bene dell'Accademia. Posso non condividere alcuni comportamenti, alcune scelte che sono state assunte: difendo, però, fino all'ultimo respiro, tutti i lavoratori perché ritengo che nessuno debba essere lasciato indietro. Soprattutto perché si è lavorato anche al di là delle proprie competenze, gli impiegati si sono ammazzati insieme a me e a tutti per portare avanti un prodotto che vale perché queste persone, tutti noi, l'abbiamo reso possibile. Non si può stare nella contraddizione in termini che l'Accademia fosse un carrozzone clientelare e celebrarne, poi, il prodotto: qualcosa, evidentemente, non quadra. Perché, piuttosto, non si fa un rapporto costi-benefici? Quanto è stato investito e che esiti ne hanno avuto i soci? Se avessimo avuto una gestione allegra con quanto assicurato dagli enti locali - 350mila, 400mila euro l'anno - come mai si è firmata una convenzione da 550mila euro con la Scuola Nazionale di Cinema che ha soli tre dipendenti, molti meno studenti, e che non è radicata e non si offre al territorio? Come si spiega? Non voglio dire che sia sbagliato che la Scuola abbia una dotazione di 550mila euro, voglio dire che era poco quanto assicurato a noi. Aggiungo che al momento di abbozzare la convenzione tra Accademia e Scuola Nazionale di Cinema, la stessa aveva presentato un preventivo - di cui erano a conoscenza anche gli enti locali - che prevedeva una dotazione finanziaria per la partnership, senza considerare editoria, cinema, produzioni didattiche con l'Istituto Luce e altro, di 700-800mila euro. A certificare che tanto era necessario per assicurare il livello di produzione richiesto all'Accademia. E che noi, nonostante tutto, abbiamo saputo assicurare.

Insomma, vi è stato chiesto di essere una Accademia Internazionale senza adeguati finanziamenti.

Certo. La colpa qual è, di aver puntato troppo in alto? Mi si potrebbe dire: perché, con i fondi assicurati, non si è lavorato ad una scuola con minori pretese? La colpa sarebbe, dunque, di essere stati bravi, passionali, capaci di creare stimolo alla crescita professionale e occupazionale. Se avessero voluto fare una scuola fuori porta, allora avrebbero dovuto dirlo. Non bisognava fare la Legge Regionale del 1997, non bisognava dare all'Accademia il titolo di scuola internazionale. Di cosa siamo accusati? Di aver creato un prodotto di eccellenza e di aver ristrutturato un cinema e una sede che valeva 6milioni di euro con un contributo pubblico di 400mila euro l'anno?

Lei difende dunque l'Accademia, il Consiglio d'Amministrazione. Difenderebbe anche la gestione del presidente, il sindaco Cialente?

Il sindaco Cialente, come gli impiegati, come i revisori, si è sempre comportato onestamente. Anzi, credo che ci abbia anche rimesso. Anche perché, quando investi in un progetto, capita anche di perderci. Non ci ha guadagnato nulla se non il piacere, da politico, di regalare alla città un'Accademia internazionale. Sono stati animati tutti dal voler perseguire una idea importante per L'Aquila. Altrimenti non si sarebbe ristrutturato il Cinema Massimo, restituendolo alla città. Certo, siamo rimasti tutti male nello scoprire che non sarebbe arrivato neanche un euro pubblico per quel progetto. Le scelte, però, sono state sempre ispirate, e condivise da tutto il Cda, nel perseguire legittimamente l'obiettivo di dotare di un sistema cinema la città dell'Aquila. E di aprirle, così, le porte del cinema internazionale.

Coltiva ancora la speranza che l'Accademia si salvi? E cosa la spinge, nonostante le critiche, a continuare a difenderla?

Chi me lo fa fare? Me lo chiedo spesso. La risposta è che stiamo parlando di una mia creatura, a cui ho dato l'anima e i migliori anni della mia vita. Cinicamente potrei dire 'chi se ne frega del chiacchiericchio', potrei dire 'mettete tutto in liquidazione tanto ero già andato via e non facevo più parte da tempo del consiglio d'amministrazione': non posso, perché nell'Accademia ho investito tutto me stesso. Se credi in un progetto, lo difendi fino in fondo. Ho contribuito a fondare l'Accademia, la prima Film Commission della nostra Regione, ho contribuito alla nascita della Lanterna Magica e con la mia compagna l'ho dotata di una cineteca invidiabile, accendendo delle fidejussioni sulla casa: mi sono innamorato del progetto, ecco tutto.

E la speranza?

Un pò ti sorprenderò e, forse, sorprenderò anche i lettori, forse sono ingenuo, ma credo che Chiodi e l'assessore alla Cultura, De Fanis, siano ancora disposti a salvare l'Accademia. Ho avuto modo di apprezzare Luigi De Fanis: non essendo mai stato in politica, posso dire tranquillamente che è una persona stimabile. Ha avuto un comportamento sempre consapevole, oggettivo. E non ha alcuna intenzione di liquidare l'Accademia. Anche perché non sarebbe facile. Funzionava e potrebbe funzionare ancora, convivendo con la Scuola Nazionale di Cinema: perché farla morire? Certamente, De Fanis è 'soltanto' l'assessore alla Cultura. Ho parlato pochissimo con Chiodi in passato, tuttavia non vedo perché dovrei giudircarlo male. Essendo un commercialista, ha un atteggiamento molto pragmatico. A me disse, pubblicamente, che l'Accademia era andata in crisi per impegni politici assunti e non mantenuti: ovviamente, si riferiva non al suo governariato ma a quelli precedenti, al Comune e alla Provincia. E in un certo senso diceva la verità: come detto, o dai vita ad una scuoletta fuori porta oppure devi essere conseguente rispetto alle intenzioni e finanziare il progetto. Queste sue parole mi lasciano uno spiraglio, perché credo che quanto sia stato detto da allora ad oggi, che eravamo un carrozzone, con una gestione allegra, clientelare e politicizzata, sia frutto di un arroccamento reciproco, di destra e sinistra, che stanno affinando le armi in vista delle prossime elezioni.

Teme che l'Accademia possa essere la vittima sacrificale sull'altare dell'appuntamento elettorale?

Si sono inasprite le tensioni e le posizioni. La giunta Chiodi sta facendo dell'Accademia un modello di gestione negativo del centrosinistra di questa città. Certo, è un pericolo: poi, però, mi domando se pensi realmente quello che dice. Fino al 2010, Gianni Chiodi ha avuto sempre parole di apprezzamento. Al Festival di Venezia eravamo insieme: abbiamo cenato con Di Dalmazio,con i vertici della Scuola Nazionale di Cinema, con il sottosegretario Francesco Giro, con Roberto Riga. Mi domando: se fino ad allora hai apprezzato il nostro lavoro, e penso che stimi davvero quanto fatto, allora perché decidere di liquidare l'Accademia? Perché non si protegge almeno il prodotto?

Forse perché siamo in epoca di spending review e con la cultura, come ha detto qualcuno, non si mangia.

Se così fosse, staremmo allontanando le persone dal perseguire una strada professionale grazie al talento. Un messaggio pericoloso, per i giovani soprattutto. Non voglio essere così ingenuo da pensare che questa situazione possa risolversi, ma che possa essere salvato il marchio dell'Accademia si. Ti candidi a Capitale europea della cultura e rinunci al vessillo più internazionale che hai? Dici di no agli apprezzamenti di Scorsese, di Leonardo Di Caprio, di Tom Hanks, di Renzo Piano. Dici di no ad un consenso così generale? Dinanzi a questo come si può pensare, cinicamente, di non sfruttare l'immagine nel mondo dell'Accademia? L'unica in grado di proiettare la città oltre i confini nazionali. Come puoi rinunciare? La battaglia è politica. Se l'Accademia non ce la farà, è per un inasprimento delle posizioni, una esasperazione elettoralistica. Si perderebbe di vista, così, il bene comune. Si potrebbe trovare una mediazione ragionevole: se è vero che la gestione era al di sopra delle possibilità, per me non è così ma anche fosse, salvate almeno il marchio. Salvate il prodotto. Sfruttatelo a tutti i livelli per inserire L'Aquila in un circuito culturale virtuoso.

Forse non si salverà proprio per il 'peso' di quel marchio.

In effetti, sarebbe un precedente non indifferente. Credo sia per questo che le altre istituzioni culturali della città non si sono espresse in difesa dell'Accademia: o sono troppo forti, dunque non sono interessate ad altro, ma non credo sia così, oppure sono troppo deboli e, visto che prendono anche loro fondi dalla Regione, dalla Provincia, dal Comune, restano silenziose nel loro guscio. Mentre una istituzione così importante, patrimonio di tutti, richia di sparire per sempre.

Ultima modifica il Lunedì, 16 Settembre 2013 09:46

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