Venerdì, 21 Ottobre 2016 12:23

Vecchia 'fornace' di San Sisto? Ai primi del '900, un cotonificio d'avanguardia

di  Mauro Rosati

Qualche tempo fa, sfogliando una guida-album di Aquila del 1908-1909, mi sono imbattuto in un paio di foto che ritraggono uno stabilimento industriale, praticamente in piena campagna, affiancato da un’alta ciminiera. Osservando quelle immagini si riconosce, in quello stabilimento, quella che è passata alla cronaca degli ultimi mesi come “la vecchia fornace” di San Sisto, la cui ciminiera pericolante ‘blocca’ indirettamente via San Gabriele dell’Addolorata.

Secondo quanto racconta la guida-album però, almeno all’epoca, quell’edificio non era una fornace ma un cotonificio all’avanguardia per i tempi, sorto in pochi mesi (probabilmente tra il 1907 e il 1908) e subito operativo. Si trattava del «Cotonificio A. Tobler & C.», un complesso industriale in linea con i canoni dell’epoca, anche dal punto di vista estetico, quando alla funzionalità si univa l’attenzione per l’aspetto esteriore; gli standard sembrano essere quelli di molti edifici industriali italiani ed europei di quel periodo.

La guida-album ritrae il cotonificio in tre fotografie: due dall’esterno (una dal lato di Porta Romana, pressappoco dalla zona dell’odierno supermercato su via Edmondo Vicentini; l’altra, dal lato di via Caduti di Via Fani) e un’immagine dell’interno [a destra] che dà l’impressione di ambienti molto luminosi, con i padiglioni coperti ‘a capanna’ e illuminati ciascuno da un lungo abbaino che si apre sulla falda a nord. Tra l’altro, la ciminiera nelle foto d’epoca appare più alta di quella che si vede adesso: forse perché è stata rimaneggiata, o forse perché non c’erano ancora le altre costruzioni intorno che oggi potrebbero farla sembrare più bassa. Appare tuttavia più probabile la prima ipotesi.

Ora però lasciamo la ‘parola’ alla guida-album dell’epoca che, anche con un po’ di poesia, ci ‘accompagna’ nello stabilimento: «Chi esce da Porta Roma a destra sul colle di S. Sisto vede un ampio fabbricato che spicca sul verde delle circostanti campagne con le sue pareti candide e coi tetti rossi. È il cotonificio dell’Aquila “A. Tobler & C.” […]. La tessitura che occupa ora circa 150 operaie e qualche decina di uomini funziona già con 230 telai mossi, come le altre macchine, da elettricità. Là dentro romba incessante il lavoro. Negli ampi saloni della preparazione e della tessitura, nelle officine e negli altri locali piove abbondante la luce e circola l’aria, primi fattori dell’igiene. Il filo candido dai fusi passa alle diverse macchine e per ultimo le spole, che rapide vanno e vengono, tessono le candide tele sotto l’occhio vigile delle giovani tessitrici. Ed il telaio che batte incessante canta alto l’inno nuovo al lavoro ed auspicio del benessere che l’industria deve apportare alla Capitale dell’Abruzzo». 

Uno stabilimento quindi moderno e tecnologico per l’epoca (inizio Novecento), con macchinari alimentati dall’energia elettrica.

Negli anni della Prima Guerra Mondiale, questa stessa fabbrica veniva indicata come ‘opificio militare’, come si apprende da alcune foto esposte nella mostra “L’Aquila ricorda la Grande Guerra”, inaugurata presso l’Archivio di Stato di L’Aquila lo scorso 24 settembre, in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio 2016. In tempi più ‘recenti’ (seconda metà del Novecento) in molti ricordano e raccontano la presenza di un’attività di falegnameria in quello stesso complesso (fabbrica di sedie e altri mobili, secondo differenti testimonianze).

Oggi dispiace vedere che questo ex stabilimento, avanguardia industriale di oltre un secolo fa, versi in stato di abbandono e vada a ‘cozzare’ (almeno indirettamente) con le esigenze della viabilità contemporanea. Mi unisco all’appello dei commercianti e dei residenti della zona che chiedono giustamente il ripristino della viabilità locale; allo stesso tempo però mi auguro, da cittadino, che si arrivi a una soluzione che possa conciliare le necessità quotidiane con la salvaguardia e il recupero dell’ex cotonificio. In Italia e in Europa ci sono molti esempi di complessi di archeologia industriale, simili alla fabbrica di San Sisto, che da uno stato di abbandono sono tornati a nuove funzioni grazie a un recupero compatibile e accurato; così come è stato fatto, ad esempio, per l’edificio dell’ex mattatoio comunale.

Ultima modifica il Venerdì, 21 Ottobre 2016 12:38

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