di Mauro Rosati - Condivido l'idea di liberare il lato nord del chiostro della Beata Antonia, oscurato da una impattante palazzina in cemento armato, seconda metà del Novecento, assolutamente incongrua rispetto al contesto storico e urbanistico; palazzina in cemento armato ora demolita.
Sarebbe l'occasione per ripristinare lo spazio «concluso» del chiostro coniugandolo con una soluzione integrata.
La palazzina sorgeva sul lato nord del chiostro, inconcepibilmente demolito durante l'apertura della parte bassa di via Sallustio.
Concordo con le molte osservazioni che sottolineano l’importanza del chiostro come spazio «concluso», completo e perimetrato. E, come accennato in precedenza, concordo ovviamente e contestualmente anche sulla proposta di non riproporre la sproporzionata palazzina in cemento armato. Personalmente, come accennato, un’idea di base me la sono fatta e, dove possibile, l’ho espressa pubblicamente.
La mia personale opinione sarebbe quella di un diaframma – una struttura «trasparente» in materiale leggero – che ricreasse il perimetro completo (concluso) del quadrilatero, permettendo contemporaneamente la visibilità del complesso dalla strada; ed eventualmente anche l’accessibilità. Individuando in tutto ciò i materiali più «rispettosi» possibile da un punto di vista estetico.
Insomma, una «barriera» fisica, magari con i caratteri essenziali del portico claustrale, ma allo stesso tempo non impattante visivamente. Una «barriera» leggera che ricreasse sottilmente la percezione del volume del quarto lato del chiostro. Un raccordo rispettoso tra il chiostro «concluso» e Via Sallustio, in armonia con i caratteri storici del complesso e con quelli di quel tratto di Via Sallustio.
Ovviamente si intende anche che tale raccordo tenga conto del dislivello dovuto alla pendenza di Via Sallustio e alle diverse quote tra la via stessa (più in alto) e il chiostro (più in basso): quindi un diaframma-belvedere allo stesso tempo; certamente si possono individuare molteplici soluzioni in questo senso.
Tornando al discorso generale.
La necessità è quella di una struttura dal profilo leggero che potrebbe avere la funzione di riconnessione - altimetrica e «temporale» - tra un edificio monumentale di pregio dalle origini medievali, ossia il complesso della Beata Antonia, e il contesto di Via Sallustio che risulta invece esteticamente disomogeneo a causa della mancata attuazione di un piano comune al tempo delle demolizioni e delle successive ricostruzioni per l’apertura della strada: un processo iniziato intorno al 1940-1941 e poi ripreso intorno al 1950, come ci raccontano testimoni diretti, e proseguito «a singhiozzo», senza una linea comune, fino a buona parte degli anni ’60 del Novecento.
Nell’area di Fontesecco è oggi in corso una riprogettazione condivisa da parte del Comune dell’Aquila partita dal percorso di partecipazione promosso sull'area da «Urban Center L’Aquila». Una strada, Via Sallustio più una parte di Via Fontesecco che, non dimentichiamolo, ha tagliato la maglia urbana storica di quello spazio e causato la demolizione totale o parziale di edifici pregevoli e anche di caratteristiche casette, definite «edilizia minore». Un’edilizia minore che urbanisticamente è invece importante tanto quanto quella monumentale, poiché costituisce una connessione («tessuto connettivo») tra i diversi edifici monumentali.
Nota a margine.
Una precisazione, a scanso di equivoci. Con l’aggettivo «trasparente» (volutamente tre le virgolette) non intendo esclusivamente e necessariamente una struttura in vetro o plexiglass ma, più in generale, il concetto di soluzioni che ricostruiscano visivamente e materialmente l’idea del volume di un portico monastico senza però oscurarne la vista. Una struttura «vedo – non vedo», realizzabile con i materiali di miglior qualità, sia per la resistenza agli agenti atmosferici, sia per l’estetica complessiva. Materiali e forme adeguati al nostro contesto, senza «copia e incolla».
Non mancano esempi in Italia; soluzioni interessanti e non impattanti. E poi – a parte – sulla pavimentazione di Via Sallustio si potrebbe segnare visivamente a raso la linea originaria del lato del chiostro abbattuto nel Novecento. Un po’ come il selciato che segna il perimetro delle mura della scomparsa Porta Paganica, lungo il marciapiede di Viale Gran Sasso (all’altezza dell’angolo tra il muro dei campi da tennis e i giardini di Viale Ovidio).
Mauro Rosati, vicepresidente Archeoclub L’Aquila