Uno dei modi per conoscere il ruolo dello spettacolo nella società è quello di farselo raccontare da chi lo crea. Quindi ho intervistato Alessandro D'Alatri, che mi ha parlato di crisi del teatro e del pubblico, di cinema e dei suoi progetti artistici.
L'ho incontrato il 23 novembre al Ridotto del Teatro Comunale di L'Aquila durante le prove per la ripresa di "China doll. Sotto scacco" [leggi l'articolo], terza pièce che il regista romano ha realizzato per il Teatro Stabile d'Abruzzo, dopo "Grand guignol all'italiana" dello scorso anno (entrambe da direttore artistico) e “Scene da un matrimonio” col quale, pochi mesi dopo il terremoto, ha rimesso in moto la macchina teatrale aquilana."Erano fermi, poveretti. – ricorda D’Alatri - Poi, quando abbiamo fatto le prove qui, c’erano le macerie qui intorno; cioè: era una roba terribile! E già oggi rivivere L’Aquila così, mi sembra una città viva". Fra 5 anni, dice, "questa sarà la città più bella d’Italia. La più moderna e la più antica! L'Aquila può, secondo me, ambire a tanto. Il mio rapporto qui con lo Stabile è d’amore per il teatro, ma fondamentalmente se io sto qui è d'amore per la città!".
Per gli spettacoli al Ridotto del Teatro Comunale, racconta, “paghiamo l’affitto quando veniamo. Quindi noi c’abbiamo già dei costi in più rispetto agli altri. Non c’abbiamo una ‘casa’. Siamo nella condizione di molti aquilani: siamo senza casa E il teatro è la ‘casa’ di una città, secondo me! Poi esauriamo gli abbonamenti in poche ore ogni anno. Questo significa che c’è la voglia di ricominciare”. Questo succede, dice, perchè L’Aquila ha una tradizione artistica e culturale importante, sebbene, secondo lui, poco raccontata.
Continua, poi, raccontando come lui si sta dando da fare: “stiamo facendo i miracoli senza il teatro, con pochi finanziamenti, in mezzo a mille difficoltà. L’altr’anno noi abbiamo portato uno spettacolo [“Adamo & Eva”, di M. Santopietro, ndr] che - non ci credeva nessuno! – è andato a New York! Abbiamo aperto quest’anno il festival di Todi [con "Il legame", regia G. Gobbi, ndr], l'altr'anno eravamo a Spoleto [con “Dupliners” di G. Sepe, ndr]; cioè: L’Aquila, l’Abruzzo, comincia a essere valutato". E aggiunge: "Io, l’altro giorno, quando ho avuto i risultati del Ministero ero felicissimo. Pensa il giorno che noi c’avremo il teatro che possiamo fare!".
Già, il Teatro Comunale! Per rinforzare e mettere in sicurezza le sue fondamenta hanno scavato una cavea enorme sotto la platea e, dice, “sotto alla platea ci sarà un altro teatro. Sarà una sala prove e uno spazio per reading, letture, presentazione di libri, mostre, … cioè diventa uno spazio ancora in più. Abbiamo fatto di necessità virtù: visto che c’è un sacrificio da fare, miglioriamolo il teatro! Sarà interamente cablato. Quindi diventerà un appuntamento importante non solo per la città, ma per tutta le regione e secondo me anche a livello nazionale. L’ambizione è di far essere L’Aquila un polo importante della cultura teatrale".
Sembra che abbia un’idea ben precisa di cosa sia il teatro e lo spettacolo nella società di oggi... sebbene il teatro sia in crisi.
"Il teatro è in forte crisi. Secondo me, lo dico come fruitore del teatro, come interprete del teatro, ma lo dico anche da Direttore di questo Stabile, io trovo che bisogna cominciare una nuova fase che riapra un processo di alfabetizzazione, perché il pubblico non è più abituato. Non è più abitato ad uscire di casa e a venire qui, mettersi in fila, sedersi in una platea e stare con altre centinaia di persone a vedere delle cose dal vivo perché chiaramente è più facile stare sul divano, rispondere al telefono mentre guardi un film, parlare con tua moglie o coi bambini e distrarti. Cioè: c’è stata una diseducazione nel tempo che chiaramente ha portato a una distanza dal teatro; c’è stato anche un teatro, secondo me, che non è stato molto accattivante nei confronti del pubblico; c’è stato il fatto che, per esempio, il teatro costa di più. Oggi con questa crisi che c’è se il teatro non vive di sussidi, anche se noi facessimo pieno tutte le sere, lascia perdere che qui [Ridotto del Teatro Comunale, ndr] è un teatrino piccolo, ma anche quando riavremo questo [l’adiacente Teatro Comunale, ndr], con i biglietti non paghi lo spettacolo, perché il teatro è colpito in maniera pesante con oneri sociali, iva, tasse, contributi, sicurezza… cioè una quantità di difficoltà che, voglio dire, sì, a Broadway funziona, ma infatti una poltrona costa $ 300. Vuoi mettere qui una poltrona € 300? E’ impensabile! E allora, è necessario e fondamentale che il teatro sia sostenuto perché comunque è uno spazio di civiltà. A teatro è raro che vedi la volgarità. Anche se messa in scena, probabilmente ha una funzione drammaturgica, ha una funziona taumaturgica anche, da quel punto di vista! Quindi trovo che secondo me oggi è compito di tutti noi che amiamo il teatro fare uno sforzo e scindere anche i teatri. Perché poi il teatro non è uno solo. E’ unico come spazio, come fruizione, però poi ci sono tante possibilità.”
Il discorso si sposta alla sua direzione artistica 2016-2017.
Quest'anno nella grande difficoltà economica in cui versavamo - perché avevamo grandissime difficoltà! - l’idea di costruire anche un segmento di comicità aveva una funzione: esattamente l’analisi che hai fatto tu nel tuo articolo [leggi l'articolo]; è perfetta: riportare il pubblico anche in qualche modo ad attraversare quella porta. Ricominciare a vedere che comunque c’è uno spazio".
Sebbene questa alfabetizzazione richieda dei sacrifici da parte degli amanti della prosa, dice D’Alatri "è importante invece dialogare con chi a teatro non va. E come ce lo porti dentro? Certo non offrendogli l'"Orestea" perché non ha le strutture culturali o le infrastrutture culturali per poterla comprendere. Allora ricominciare un processo di alfabetizzazione. E noi abbiamo diviso quest'anno la stagione in: stagione di prosa, uno spazio comicità che non pesa assolutamente nel discorso di valutazione del Ministero perché è fuori dai programmi ministeriali (quindi è una cosa che abbiamo fatto extra) e poi lo spazio teatro per ragazzi: riportare i bambini che sono il pubblico di domani. Rieducarli al teatro. Noi abbiamo fatto adesso la seconda rappresentazione: domenica c'è stato Pulcinella [“Pulginella contro tutti”, regia di A. Sparagna e S. Angelucci Marino, ndr]. Avevamo mezzo teatro pieno, che già è un risultato. Lo spettacolo precedente [“I musicanti di Brema”, regia di M. Fracassi, ndr] era quasi esaurito. Cioè: vedere i bambini a teatro divertirsi e riprendere confidenza con questo spazio, secondo me, è importante. Il cinema ormai lo puoi vedere ovunque, lo puoi vedere nel telefonino, lo puoi vedere sul computer, a casa, al cinema, dove vuoi, ma il teatro lo puoi vedere solo qui".
Il compito sia del teatro che del cinema, quindi, non è solo qualitativo, ma anche sociale.
Ricorda quando scrisse e diresse “Commediasexy” pensando al fatto che c’è un pubblico che va al cinema una volta all’anno, per il film di Natale. Voleva fare un film per attirare quel tipo di pubblico: “è il più alto incasso della mia carriera, ma non era quello l’obiettivo. L’obiettivo era stato interessare e far ridere su altre cose: era una satira sui costumi, soprattutto della politica in questo Paese che era praticamente sotto gli occhi di tutti, ma nessuno lavorava in quella direzione.” Proprio mentre D’Alatri girava la storia dell’onorevole (interpretato da Paolo Bonolis) con una valletta (Elena Santarelli) scoppiò il caso vallettopoli, il che gli fece capire che era stava facendo la cosa giusta.
‘La qualità e basta’, afferma, non conta più: “Alla qualità devi abbinare dei percorsi, a mio avviso, che siano convincenti: riportare nella ‘casa’ dei cittadini, che è il teatro, un’abitudine di frequentazione, perché quando uno sta qui sta con gli altri. Questa città ha un bisogno pazzesco di avere un teatro. Hanno restaurato le chiese perché le chiese sono un luogo di incontro, ma il teatro secondo me è altrettanto importante perché c’ha la stessa funzione liturgica: c’ha un altare e c’ha una platea. E è un luogo di condivisione: si sta insieme, si respira insieme, ci si emoziona insieme. Questa città ha un bisogno di ricostruire non solo i palazzi - i palazzi poi alla fine si ricostruiscono! - ma le relazioni sociali!? E il teatro, secondo me, qui ha una funzione fondamentale. Io non vedo l’ora di poter dire ai cittadini “Ecco, questo è il vostro teatro!”
Le nuove regole ministeriali, dice, gli impongono come direttore artistico di fare solo una regia all’anno, mentre prima ne faceva tre in teatro: “Ho accettato questa cosa perché L’Aquila ha bisogno di qualcuno che lavori non per denaro. Io c’ho l’ultimo stipendio dello Stabile.” Quindi il lavoro è per la città: “lo faccio perché questa città ha bisogno, secondo me, di sentirsi amata. Ha bisogno di qualcuno che la prenda per mano e comunque dice: ‘Guarda che ce la stai facendo!’”.
Il TSA è ai primi posti della qualità nazionale secondo il Ministero, al punto da inorgoglire D’Alatri: “mi sembrava di aver vinto un’olimpiade!” Ma i traguardi sono altri: “io vorrei che L’Aquila fosse il primo! Le ambizioni sono queste. Io vorrei che questo posto diventasse di nuovo un centro di cultura.” Tanto più che, per lui, la città ha “delle potenzialità straordinarie, è piena di giovani, è piena di università. Ho lavorato un anno volontario, l’ho fatto qui con l’Accademia di Belle Arti, con la cattedra di Cinema, per riportare i giovani a venire a L’Aquila a credere in questa città.” Ma anche perché, dice, “l’affetto, l’amore per gli aquilani e per la città per me sono lo stipendio più bello.”
Passiamo poi al lavoro sul territorio regionale: “non ho portato nessuno da Roma. Io sto lavorando solo con il territorio. Le scenografie le fa uno scenotecnico qui a L’Aquila. I tessuti li ho comprati tutti qui. Qualsiasi cosa ho fatto, se tu vedi, sono tutti aquilani o abruzzesi, vengono da Pescara, eccetera.”
Ci tiene a precisare: “con le risorse che riceviamo dal FUS e da quel poco che ci arriva dalla Regione e dal Comune, non è che diventa un consumo solo dello Stabile dell’Aquila: 10 compagnie abruzzesi stanno lavorando aiutate da noi, prodotte da noi, co-prodotte, finanziate, cioè stiamo facendo lavorare.”
Si sta battendo da due anni per costruire una rete di circuitazione dei teatri abruzzesi come un fattore di ricchezza del territorio perchè le compagnie che vengono alloggiano, consumano, mangiano, comprano regali, si abbigliano, spendono qui. Racconta: “gli faccio conoscere il torrone, lo zafferano, ecc. Perché? Perché secondo me questo territorio c’ha una ricchezza straordinaria di ambiente, di natura, di cultura, di alimentazione, i vini...”
L’anno prossimo il suo mandato triennale termina e lui, crisi economica permettendo, vorrebbe coinvolgere sempre di più le aziende, le imprese, le industrie, le attività commerciali: “non sto chiedendo finanziamenti. Sto chiedendo soltanto come possiamo aiutare voi. La sinergia nasce offendo prima o tendendo la mano, non chiedendo.” Per esempio, immagina un Premio Zafferano, in omaggio alla tipica spezia colorata, allegra e delicata. E si stupisce ancora pensando al fatto che l’aerospaziale sia la prima industria d’Abruzzo e ce se ne vanti poco.
Comunque, conclude, “un teatro deve essere sempre sempre in attività. Ogni giorno che sta fermo è un giorno in perdita.”
La sensibilità artistica e sociale di D’Alatri affiora anche in altre attività.
A febbraio ha girato una serie-web, “La scuola della notte”: “collaboro da tre anni con il Premio Goliarda Sapienza che è un concorso di scrittura all’interno delle carceri. E per due anni sono stato tutor di un minore che ha vinto per tutti e due gli anni l’edizione.” La serie web viene dalla scrittura di questo ragazzo. Attualmente è tutor di un ragazzo con tre ergastoli che si trova a Saluzzo e che quest’anno è arrivato terzo. La serie web, racconta D’Alatri, è molto sperimentale, tra un video-games e un fumetto, e tutto (musiche, scenografie, foto di scena, catering,…) è stato realizzato da loro, trasformando per un mese il carcere minorile Beccaria in un teatro di posa e utilizzando gli effetti speciali perché è ambientata fuori. Ha coinvolto anche attori professionisti come Marco Palvetti e Mino Manni.
A giugno ha terminato le riprese di “The start up”, storia vera di un giovane del Corviale, periferia romana, che a 19 anni ha inventato un algoritmo che è stato immesso dentro il social “Egomnia”. Ha studiato a Milano alla Bocconi ed è riuscito a far conoscere il progetto. Non l’ha aiutato nessuno. Lo start-up l’ha fatto con gli ultimi 10 mila euro che avevano in famiglia (suo padre era pure disoccupato). Oggi “Egomnia” è una realtà con un milione di iscritti. 1500 aziende, di cui molte multinazionali, tra cui la Microsoft, hanno adottato questo sistema per le risorse umane. È stato valutato un miliardo di euro. Il ragazzo, che adesso ha 23 anni, è miliardario!
Come non pensare a giovani come Zuckerberg? E infatti, dice D’Alatri, “sembra una storia americana, non sembra l’Italia. Per dire, se ti rimbocchi le maniche forse ce la puoi fare.” E’ un progetto che serve a dare un po’ di speranza ai ragazzi perché c’è una valutazione matematica e dei punteggi attraverso cui vengono bypassate le spintarelle. Il film è realizzato con giovani attori. Il protagonista è abruzzese, di Pescara: “Si chiama Andrea Arcangeli. Attore fantastico, un giovane attore molto molto bravo. Di cui se ne parlerà in futuro secondo me. L’Abruzzo ce l’ho sempre intorno!”
Il film dovrebbe uscire in sala verso la fine marzo.
Da pochissimo, invece, ha finito di girare a Napoli un film per RAI 1, “In punta di piedi”, con Bianca Guaccero (che fa un’insegnante di danza), Cristiana Dall’Anna e Marco Palvetti. E’ la storia vera di una bambina, che si appassiona alla danza, ma il padre, camorrista, per paura di ritorsioni non la vuol far uscire di casa. La madre, stanca, fa arrestare le due cosche e manda la bambina all’estero sotto un falso nome per farle studiare danza. Oggi questa ragazzina è una delle étoile più importanti al mondo, ma non sappiamo qual è perché ha il nome straniero e vive in anonimato.
Non finisce qui. “A gennaio – anticipa D’Alatri - giro un cortometraggio scritto da chi ha vinto il Goliarda Sapienza l’anno scorso.” Sia quest’ultimo che la serie web usciranno nelle reti RAI.
Infine, “Sto preparando una serie internazionale per Netflix, con la produzione di RAI, TF1 Francia e Netflix. Quindi c’avrà una visione mondiale perché verrà distribuita in tutto il mondo. E’ un’altra storia molto bella perché è un thriller familiare. La famiglia oggi è diventata un luogo anche di sofferenza, non soltanto più di appoggio o di sostegno. Le peggiori cose che si leggono nei giornali nascono nelle famiglie, ormai. E quindi è un bellissimo viaggio dentro i rancori, le parti irrisolte delle relazioni affettive.”
E’ stato per me emozionante vedere in anteprima “mondiale” i trailer dei film “The start up” e “In punta di piedi”.