Lunedì, 20 Febbraio 2017 14:55

Commedia dell’arte… in scena

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Domenica 12 febbraio al Teatro Nobelperlapace di San Demetrio ne’ Vestini (AQ) è andata in scena “La pazzia di Isabella. Vita e morte dei Comici Gelosi”, pièce nata da un’idea del Prof. Gerardo Guccini (dell’Università degli Studi di Bologna) e realizzata da Marco Sgrosso ed Elena Bucci, cioè  Le Belle Bandiere, una delle piccole compagnie più note del panorama teatrale nazionale.

Confesso che ero curiosa di vedere questo spettacolo in repertorio dal 2004.

In scena una sedia, un leggio e nel mezzo un mini-palco, sottolineati da luci puntate e drappi rossi a mo’ di quinta; una scena, quindi, scarna, atmosfere rinascimental-barocche, colori decisi, rosso, nero e bianco, e poi loro, Isabella e Francesco, ma anche un dottore e una dama, maschere della commedia all’improvviso, quell’arte drammatica che ha reso grande in tal senso l’Italia oltralpe e che ha fatto conoscere il teatro moderno all’Europa.

Un’arte, bisogna ammetterlo, di cui noi oggi sappiamo poco, se non per gli scritti d’epoca che ci sono giunti. Il teatro, infatti, è sempre un’attività artistica personale (anche Elena Bucci, incontrata a fine spettacolo, mi ha confermato che ciò che aveva appreso in tanti anni di studio con Leo De Berardinis, poi lei e Marco Sgrosso lo hanno di necessità adattato ai loro modi e al loro stile) difficilmente riproducibile da altri.

La Compagnia dei Gelosi, più ancora che altre compagnie, è giunta fino a noi in maniera quasi programmatica, tant’è che al di là del fatto che avesse lavorato per le corti più grandi ed influenti dell’epoca (come i Medici e Luigi XIV), oltre al fatto che Isabella sia stata una delle prime donne a scrivere per il teatro, oltre al fatto che poeti come addirittura il Tasso lodassero nei sonetti quest’attrice quasi come fosse una diva ante-litteram dell’epoca, è stato lo stesso Francesco Andreini, di cui ci rimangono le “Bravure” del suo Capitan Spavento da Vall’Inferno, dopo la morte della moglie nel 1604, a volerne tramandare le virtù in una sorta di memoriale.

E’, quindi, un caso che ancor oggi se ne parli? Direi di no.

Si può dire che loro fossero migliori di altre compagnie dell’epoca? Non si può affermare con certezza neanche questo, visto che di altri non abbiamo molte notizie.

L’unica cosa sicura è che gli Andreini hanno saputo sfruttare la comunicazione prima ancora di altri, prevenendo, in un certo senso, la sociologia
delle comunicazioni di massa e l’aspetto promozionale e divistico oggi invece in voga.

Lo spettacolo proposto da Le Belle Bandiere è quindi un semplice omaggio ad Isabella e Francesco Andreini. E piace che sia così. Per pudore nei confronti dei due attori realmente esistiti e dei quali persino le opere ci restano oscure visto che recitavano a canovaccio (non per niente la ‘commedia dell’arte’ è anche detta ‘commedia all’improvviso’), è bello che siano ora delle maschere a parlar di loro, ora che essi stessi, in prima persona, accennino alla propria vita e alle proprie interpretazioni. L’iniziativa di Bucci-Sgrosso si presenta quindi come una interessante idea-lezione, una sorta-di recital-spettacolo ben curato, per parlare di commedia dell’arte.

In un posto come la nostra penisola sembra uno spettacolo necessario,  visto che oggi nel mondo c’è ancora chi identifica l’arte attorica italiana con la commedia dell’arte, sebbene questa si sia quasi estinta già nell’Ottocento. A tal proposito mi torna in mente quando nel settembre 2015 mi recai al Silvano Toti Globe Theatre di Roma, teatro notoriamente dedicato alla rappresentazione di opere shakespeariane, ed assistetti a “The comedy of errors”, commedia che un giovane Shakespeare trasse pedissequamente da Plauto e quindi intrisa di personaggi della commedia dell’arte; ricordo lo stupore quando il regista inglese Chris Pickles e i produttori-attori della compagnia anglo-emirata Bedouin Shakespeare Company sostennero di averla voluta allestire in vista del debutto romano proprio per omaggiare l’Italia creatrice della commedia dell’arte… senza quindi considerare che qui da noi la commedia all’improvviso è una rarità trovarla almeno da due secoli.

Di sicuro non si trova nei grandi teatri e negli Stabili (se si eccettua, con larghe vedute, quell’”Arlecchino servitore di due padroni” – che ho visto nel dicembre 2012 al Teatro Argentina di Roma - con Ferruccio Soleri nel ruolo del titolo, in tournée da circa 60 anni, nel quale comunque la commedia dell’arte è attutita tanto dalla scrittura goldoniana, quanto dalla regia strehleriana). La difficoltà nell’omaggiare una cosa che non c’è quasi più e per giunta di averlo fatto dall’estero sarà forse stato il motivo per cui la rappresentazione inglese, effettivamente, era intrisa di tecniche di comicità novecentesca (varietà, confessò Pickles) e quindi, sebbene fosse interessante, era poco ‘dell’arte’. E senza maschere (se non il duca di Efeso, Solinus).

Un altro sperimentatore sulle tecniche di commedia all’improvviso è Stefano Angelucci Marino, del quale, nel gennaio 2011, ho addirittura assistito a un adattamento di “L’avaro” di Molière realizzato sottoforma di commedia dell’arte e burattini, in dialetto chietino.

Una commistione con altre tecniche (all’apparenza biomeccanica - affidata perlopiù all’attrice Olga Mascolo, interprete di Florenzia), rimanendo purtuttavia nella tradizione, l’ho notata in “La ridiculosa commedia della terra contesa”, realizzata dalla compagnia con base pugliese I Nuovi Scalzi lo scorso luglio al Peltuinum Theater Fest (AQ), un accurato spettacolo di commedia dell’arte di Savino Italiano e Claudio De Maglio, con quest’ultimo e Carlo Boso, entrambi tra i maggiori conoscitori italiani di commedia dell’arte, che hanno formato i giovani interpreti.

Tutte quelle sopra menzionate sono pièces in cui prevale l’arte dell’attore applicata a personaggi che sono ‘tipi fissi’, o ‘maschere’, e ai loro ‘lazzi’, cioè sketch realizzati da soli o con altri. Fin qui sembra semplice, ma, a ben vedere, se si volesse ricostruire com’era la commedia dell’arte anticamente a partire da loro sarebbe difficile in quanto tutte hanno tecniche recitative e capacità attoriali dissimili l’una dall’altra. Si tratta di rappresentazioni a loro modo pregevoli (“La ridiculosa commedia della terra contesa” ha vinto premi anche a livello internazionale), ma si resta forse perplessi proprio a causa delle varie commistioni attoriali che sono state realizzate con altri generi affini.

Un altro grande esperto di commedia dell’arte, Antonio Fava, ha tenuto uno dei suoi laboratori a tema a Capestrano (AQ) nell’estate 2015, seguito poi in settembre da una dimostrazione pubblica basata sui lazzi presso l’Auditorium del Parco a L’Aquila, affidata agli allievi provenienti da ogni parte del mondo, dal significativo titolo “Zannanti”: in tale occasione ha spiegato che sebbene oggi la terminologia commedia dell’arte rimandi ad un concetto comico, anticamente indicava una tecnica, non un genere.

Infine, per rimanere nella tradizione merita di essere menzionato anche “Attori, mercanti, corsari” spettacolo ricco dei caratteristici tipi fissi e lazzi che Stefano De Luca ha realizzato in occasione di Expo 2015 nel Chiostro Nina Vinchi per il Piccolo Teatro di Milano (io l’ho visto in maggio) con gli attori del primo anno della Scuola del Piccolo, ricostruendo un tipico carro dell’arte animato dalle caratteristiche maschere attraverso una rete di brevi canovacci che si alternano a siparietti di un immaginario ‘dietro le quinte’.

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