Mercoledì, 27 Marzo 2013 01:02

L'evidenza del mistero in Richard Ford

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Sportswriter di Richard Ford (il cui ultimo lavoro, Canada, è appena uscito per Feltrinelli) è un libro che parla della vita. Ora, l’espressione che utilizzo può sembrare banale ma vi garantisco che me ne servo con parsimonia poiché i libri che parlano della vita (e non d’un pallido simulacro di essa) sono relativamente pochi.

Ciò suona perlomeno strano dal momento che la vita è, sotto molteplici punti di vista, tutto ciò che possediamo. Già, ma cos’è davvero la vita? Cos’è questa sostanza che abbiamo sotto gli occhi e fra le mani tutti i santi giorni e che pure ci sfugge, muta, devia, si nasconde e in definitiva c’inganna?

La vita, la nostra vita siamo noi, certo. Ma cosa siamo noi? Chiunque di voi provi a osservare con attenzione una foto di sé risalente anche solo a quattro o cinque anni fa capisce quel che sto tentando d’esprimere. La nostra vita è un mistero, e proprio nella sua semplicità il mistero man mano s’infittisce, e all’interno del mistero finiamo per perdere qualsiasi presunta certezza, qualsiasi punto di riferimento, perdiamo i nostri connotati come se qualcuno li cancellasse con una gomma magica.

Il romanzo di Richard Ford parla d’un trentottenne divorziato con tre figli (uno dei quali morto) che smette di fare lo scrittore per diventare cronista sportivo, delle sue difficoltà di comunicazione con la ex moglie, delle sue difficoltà di comunicazione con la nuova compagna, delle sue difficoltà di comunicazione col padre e col fratello della nuova compagna, delle sue difficoltà di comunicazione con un amico tormentato imbarcatosi in uno rapporto equivoco, e forse soprattutto delle sue difficoltà di comunicazione con sé medesimo. Frank Bascombe (che tornerà negli altri due capitoli della trilogia, Il giorno dell’indipendenza e Lo stato delle cose) è uno di noi. In ciò sta il delicatissimo miracolo narrativo di Ford: trasformare il quotidiano, col suo carico di pesantezza, noia e prevedibilità, coi suoi eventi in apparenza gratuiti e scontati, in un’epopea terribile e meravigliosa. Ford non usa trucchi; lo stile è essenziale, i dialoghi veritieri, le descrizioni precise e quasi poetiche e mai patetiche, il ritmo è sostenibile, è credibile, è il nostro ritmo; non ci sono eroi ma neppure malvagi; a Frank Bascombe non accade nulla che non possa accadere – o che non sia già accaduto – anche a noi; ma è la luce dentro cui gli avvenimenti sono fissati a conferire loro una patina speciale, come se Ford li fotografasse da un’angolazione nuova, la stessa per cui in un gioco di specchi riflessi la nostra camera da letto può d’un tratto apparirci estranea.

Sembra quasi che attraverso lo sguardo cinico ma pure incantato, freddo ma pure commosso di Ford ci sia consentito accorgerci, una buona volta, della straordinaria fortuna e sfortuna che ci è toccata in sorte alla nascita, della straordinaria opportunità di esserci insomma; vivere è, letteralmente, ciò che a Ford interessa raccontare. Una simile generosità e una simile apertura sono, duole ammetterlo, rare nella nostra letteratura; ombelicali ed egocentrati, ferocemente presi a parlare di noi (ma senza conoscerci) non ci riesce, per paradosso, di parlare della nostra esistenza con l’universalità e l’intimità che invece riesce agli americani. Sarà merito dell’immensa estensione di quelle terre ma si ha l’impressione che perfino il provincialismo (grave malattia italiana) in America si riveli un lasciapassare per il cosmo (Hawthorne, Faulkner, Flannery O’Connor, Cheever, Auster, King). Ford è un uomo che interroga sé stesso con rigore e ci ritrova il mondo, che interroga i fatti nudi e crudi della vita con curiosità e ci ritrova il senso della vita, un filo rosso talmente elementare che oramai l’abbiamo dimenticato, sepolto in mezzo alle macerie del cerebralismo; ed è capace d’affermare la propria indagine con la nitida chiarezza d’un raggio mattutino:

"E’ possibile amare una donna, e nessun’altra, e non vivere con lei e non vederla neanche. Chiunque dica qualcosa di diverso è un bugiardo o un sentimentale o peggio. E’ possibile essere sposati, divorziare e poi tornare insieme, con tutta una nuova capacità di comprendere, con delle nuove convinzioni che magari prima non ti piacevano o non ti eri neanche formato, ma che adesso, con tuo grande stupore, ti sembrano assolutamente perfette. L’unica verità che non può mai essere una menzogna, lasciatemelo dire, è la vita stessa: la cosa che accade. […] E all’improvviso, così, ne sei fuori, fuori da quella copertura, da quella pelle di vita, come quando eri bambino. E pensi: ecco, così è come devo essere già stato, una volta nella mia vita, ma allora non lo sapevi e non te ne ricordi neanche: una sensazione di vento sulle guance e sulle braccia, il senso di essere libero, sciolto, di fluttuare leggero."

 

* Enrico Macioci è nato all'Aquila nel 1975. Vive a Salerno. Ha pubblicato nel 2010 il libro di racconti Terremoto (Terre di Mezzo) e nel 2012 il romanzo La dissoluzione familiare (Indiana), ma è un poeta. Ama il calcio, il ciclismo, la montagna e i geni precoci, non necessariamente in quest'ordine.

Ultima modifica il Mercoledì, 27 Marzo 2013 11:16

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