Domenica, 02 Aprile 2017 17:20

Cotugno, lettera aperta di un docente: "Il sonno della ragione genera mostri"

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Vi proponiamo una lettera aperta inviata in redazione da Vincenzo Vivio, architetto e docente del Liceo Cotugno, su quanto sta accadendo, in città e in seno all'Istituto in particolare, a seguito delle scosse di terremoto del 18 gennaio scorso.

 

La sequenza sismica infinita che investe da mesi il cuore dell’Italia sta avendo a L’Aquila un effetto collaterale devastante.

Il legittimo timore del terremoto, amplificato oltremisura dalle note dichiarazioni della Commissione grandi rischi che paventano una sorta di big one prossimo venturo, ha letteralmente mandato in paranoia una intera popolazione, già duramente provata da anni di disagi e sofferenze. Ma la paura uccide la vita. E in questo contesto diventa veramente emblematica la vicenda del Liceo Cotugno.

Nel clima diffuso di panico generale del gennaio scorso, è circolata subito la voce che la scuola avrebbe un indice di vulnerabilità molto basso, come risulta da uno studio commissionato dalla Provincia nel 2013. I dati di quella relazione - destinati a un uso interno, a una lettura critica da parte di specialisti e funzionali alla richiesta di finanziamenti – vengono presi per oro colato e finiscono tout court in pasto al popolo sanguinario del web e dei twittanti. E qui naturalmente si è scatenato il finimondo.

In nome di una pericolosità tutta da dimostrare, ma ammantata di presunte ragioni scientifiche, si è subito gridato allo scandalo, con conseguente ridda di polemiche, caccia ai colpevoli, nonché rimpallo di responsabilità e competenze. E pur di dare una qualche risposta ai genitori preoccupati e agli studenti che disertavano da giorni le lezioni, si è deciso di trasferire tutti nella sede dell’ITIS (anch’essa con un indice di vulnerabilità basso) per un mese intero in turni pomeridiani, in attesa di compiere ulteriori esami sulla struttura del Cotugno. Terminate le verifiche - con esiti sostanzialmente rassicuranti - il presidente della provincia ha autorizzato il rientro nella sede, che era ed è tutt’ora agibile, pur prescrivendone in via prudenziale l’utilizzo della parte costruita negli anni ‘80.

Questo eccesso di precauzione ha però costretto a sacrificare ogni spazio utile per ricavarne aule, e a trasferire il Linguistico a Collesapone, togliendo nel contempo spazi all’I.T.S, al Musicale ed al Colecchi (pure con indice basso), con evidente disagio per tutti. Come se non bastasse, il ritorno a casa è stato subito funestato dal dover constatare la dolorosa scomparsa dei rariores della scuola, ovvero la strumentazione scientifica e i libri più antichi e preziosi, andati rubati durante l’esodo. E siccome al peggio non c’è mai fine, il 15 marzo un gruppo di genitori, alunni e docenti ha depositato un ricorso al TAR che, se accolto, potrebbe portare a una ulteriore chiusura dell’istituto, mentre spuntano improbabili proposte alternative, come quella di piazzare gli studenti in capannoni industriali dismessi, come si fece nella reale emergenza post-sisma.

Inutile dire degli inevitabili sospetti di interessi economici ed elettorali che si agitano dietro queste iniziative. In realtà l’edificio che ospita la scuola aveva resistito più che egregiamente al disastro epocale del 2009, tanto da richiedere solo interventi di riparazione delle tamponature e dei tramezzi, risultando nei fatti la struttura illesa e indenne alle fortissime sollecitazioni telluriche subìte. I lavori furono preceduti da una larghissima campagna di indagini che ne certificarono l’idoneità statica e antisismica. L’impianto venne così riparato, rinforzato e rinnovato completamente, tanto da essere restituito in tempi record all’uso scolastico, e diventando persino oggetto di una pubblicazione scientifica dell’Università di Napoli. Pertanto un’analisi un po’ più lucida della situazione avrebbe permesso di affrontare il caso in modo assai diverso, magari in termini di gestione del rischio, intensificando ad esempio le prove di evacuazione e senza preavviso, migliorando i dispositivi di sicurezza e la manutenzione, scaglionando le uscite ed evitando assembramenti. In sostanza, in attesa di avere il tempo e le risorse per costruire scuole a più alto standard di sicurezza, non si possono che usare meglio quelle che abbiamo, che sono abbastanza recenti e che non stanno poi tanto male.

Ma i genitori, che prima del terremoto si spendevano in crociate legali pur di tenere i propri figli nelle prestigiose, seppur decrepite e pericolose sedi del centro storico, oggi si ergono a difensori della sicurezza globale, spalleggiati purtroppo anche da qualche docente che non ha ben chiaro il principio del rispetto dei ruoli e delle istituzioni. E invece di pensare a fare – possibilmente bene – ognuno il proprio mestiere, sono tutti diventati fini giuristi ed esperti ingegneri, quando non procuratori immobiliari. Nessuno ricorda che la scuola è un sistema complesso e integrato che non si esaurisce nell’aula tradizionale, ma comprende laboratori (linguistico, informatico, chimico ecc.) biblioteca, aula magna, presidenza, segreterie, sale professori, uffici, archivi, magazzini, palestra ed impianti sportivi. E che una seria attività formativa è fatta anche di corsi pomeridiani di recupero e sportelli didattici, alternanza scuola-lavoro, progetti, conferenze, riunioni e consigli vari. Per non parlare poi della condizione preliminare di un ambiente educativo, quella indispensabile serenità che ora è quasi una chimera, tanto insopportabile è la pressione a cui tutti quanti - dai bidelli alla preside – vengono sottoposti da quasi tre mesi.

Il sonno della ragione genera mostri. E dal momento che oggi al Cotugno non è crollato nulla, tranne le iscrizioni e la certezza di una prospettiva, è amaro constatare che questo incredibile trambusto è soltanto la conseguenza abnorme di una scomposta e irragionevole reazione emotiva senza sbocchi. In definitiva ci stiamo facendo male da soli. E non è certo un bel segnale, specie per una città che ha un disperato bisogno di ritrovare un briciolo di normalità e di fiducia nel futuro.

Eco alla lettera aperta di Vivio... dell'avvocato Fabrizio Lazzaro, genitore di una studentessa del Cotugno

Ho letto le parole dell'Arch. Vincenzo Vivio, racchiuse nella sua lettera aperta di oggi, e torno sulla vicenda del Liceo Cotugno.

Premetto che è un piacere ascoltare finalmente una voce fuori dal coro, dopo avere assistito - come avevo paventato - alla strumentalizzazione politica di un delicato tema sociale ed alle passerelle di molti amministratori cittadini che (dopo il mio sfogo pubblico raccolto dalla stampa) hanno cavalcato l'onda della sicurezza delle scuole, dimentichi che avrebbero dovuto preoccuparsene, per loro specifico dovere, molto prima.

Mi permetto di aggiungere solo una cosa: siamo già ad aprile; mancano pochi giorni al fatidico momento in cui il Tribunale Amministrativo deciderà su ricorso e controricorso che vedono spettatori una manciata di persone (rispetto alla totalità di famiglie impelagate nel problema); manca assai poco alla fine di questo anno scolastico e regna ancora la totale incertezza e la fondata paura di nuovi traslochi. Ovemai questo dovesse accadare, sono certo che il nuovo viaggio, zaini e banchi in spalla, avrebbe la destinazione meno auspicabile: il rogo di un intero anno di apprendimento, che farebbe rimanere solo le ceneri a perimetro di un buco cognitivo che sarà difficile colmare.

Questa amara vicenda, utilissima ai colorati personaggi che rincorrono la poltrona di Sindaco, comunque finirà, avrà un epilogo tristissimo e mai nessuna discussione riuscirà a cancellare i mesi di didattica perduta. Meno liceali, ma certamente molti più ingegneri dell'ultima ora: su questo Vincenzo Vivio ha del tutto ragione, così come ha ragione quando sostiene che piuttosto che affrontare il problema da vicino s'è preferito andare caccia di colpevoli del malaffare o di fantasmi o di supertecnici, negando locali e ore di lezione ai ragazzi. A ben vedere nessuno ancora ha dato certezze per il Cotugno (nè per le altre scuole cittadine) ma questo non può essere un vago viatico scioperato per non affrontare responsabilità, specie se pensiamo al fatto che dal 2009 al 2017 quel plesso è stato quotidianamente frequentato da moltitudini di persone (anche convegni esterni al pomeriggio).

Un frate, incontrando un monaco zen e volendolo prendere in giro, gli disse "senza parlare, spiegami perchè la realtà è dura". Il monaco zen gli diede un pugno in faccia.

Vincenzo Vivio è il monaco zen. Noi siamo i frati. Amen.

 

Ultima modifica il Domenica, 02 Aprile 2017 23:52

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