Martedì, 25 Aprile 2017 22:33

Al 'Vasto' per onorare il partigiano Vicenzo: il ricordo del pastore Spagnoli

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25 aprile, all'antica Masseria Cappelli per ricordare il partigiano Giovanni Vicenzo; è tradizione che si rinnova da oltre trent'anni, su iniziativa dell'Anpi coi compagni di Paganica, Camarda e Collebrincioni che raggiungono a piedi la Vallata, rendendo omaggio alla lapide che ricorda il giovane partigiano di Sepino (Campobasso), rimasto ucciso nel maggio '44, a 25 anni, in un casale poco a valle della Masseria Cappelli, con l'annessa chiesetta di S. Maria del Vasto risalente addirittura al 1300. Al 'Vasto', tra gli altri, c'erano il segretario cittadino dell'Anpi Fulvio Angelini, il consigliere comunale Alì Salem in rappresentanza dell'amministrazione comunale, il vice presidente della Giunta regionale Giovanni Lolli, il consigliere regionale Pierpaolo Pietrucci, il segretario provinciale della Cgil Umberto Trasatti, il segretario cittadino del Pd Stefano Albano, il presidente degli Usi civici di Paganica e San Gregorio Fernando Galletti.

Ricorda David Adacher dell'Istituto Abruzzese per la Storia della Resistenza che, tra le bande partigiane formatesi dopo l’8 settembre 1943, vi era il gruppo “Campo Imperatore” comandato da Alfredo Vivio (noto pugile) che operava nell’area Capannelle-Vasto-Gran Sasso. Ad inizio di maggio del 1944, una squadra aveva catturato presso Camarda due spie fasciste, in seguito uccise vicino alla Piana di Fugno. Per evitare rappresaglie, un gruppo (in cui erano presenti fra gli altri Vivio, Luigi Bruno e Gilberto Fioredonati) decise di spostarsi dal casale Cappelli presso la Genca, usuale luogo di sosta, verso il bosco di Chiarino.

Rimasero attardati sei partigiani guidati da Giovanni Ricottilli, scesi ad Assergi per fare rifornimento, che decisero di passare la notte nel casale a valle. Oltre a Ricottili, vi erano Dante Carosi, Aurelio Mascaretti, Giovanni Vicenzo e due slavi, Basekic e Badonic.

Poco dopo la mezzanotte il luogo vene circondato da un centinaio di repubblichini e tedeschi, che presero d’assalto il casale servendosi di corde e scale. Venne aggredito per primo Vicenzo che era di guardia. Egli fece in tempo a dare l’allarme, al quale per primo reagì uno slavo che sparò con il mitra: si scatenò un furibondo scontro a fuoco nel quale rimase ucciso il Vicenzo, colpito da una bomba a mano.

Verso le tre, i cinque tentarono di uscire ma vi riuscì il solo Ricottilli, che scese verso il torrente sottostante e si dette alla macchia. Quelli rimasti nel casale vennero catturati e condotti nel carcere di San Domenico. Tutti furono condannati a morte: i due slavi vennero impiccati, mentre gli altri sarebbero riusciti ad evadere il 10 giugno.

In onore del caduto, la banda (che arrivò a comprendere circa 150 uomini, prevalentemente comunisti e socialisti) assunse il nome di “Banda Patrioti Giovanni Di Vincenzo” storpiando il cognome del compagno; essa era formata dai due gruppi tra loro autonomi denominati “Campo Imperatore”e “Arischia” ed operò fino a Caporciano, arricchita di numero da russi, slavi, un inglese. Nel gruppo “Arischia” combattè anche il folignate Mario Tradardi, sostituto procuratore dell’Aquila, in seguito comandante della 2a Compagnia del Gruppo Patrioti della Maiella, morto a Brisighella (RA) nel dicembre successivo. Nello stesso maggio 1944 nella “Di Vincenzo” giunse dal CLN di Roma il monarchico e badogliano Aldo Rasero, maggiore degli alpini, incaricato di coordinare le bande aquilane, migliorare l’organizzazione e le capacità di rifornimento ed operative. Il bilancio di perdite, oltre a Vicenzo, fu di un caduto in combattimento (Giovanni Antonelli), nove fucilati e sei feriti.

All'epoca, il pastore Angelo Spagnoli aveva 13 anni.

Spagnoli - che il 14 luglio 2003 incontrò Giovanni Paolo II nel suo stazzo al Gran Sasso - stamane era al Vasto, casa sua, e ha rispolverato i ricordi di giovinetto. "Il partigiano Vicenzo - rammenta - la sera della sua morte era stato a cena con noi, a San Pietro della Jenca. Due paesani di Camarda, tradirono lui e i suoi compagni: gli dissero che avrebbero mandato al casale dei partigiani, al contrario li consegnarono a fascisti e nazisti. Verso le due e mezza di notte, sentimmo da San Pietro esplodere bombe a mano, seguite da una sparatoria; all'epoca, San Pietro era pieno di gente: in molti dissero di scappare, non si mosse nessuno però. La mattina seguente, con mia sorella andai sul colle e, guardando al Casale, notammo che parte del tetto fumicava".

Spagnoli ricorda che il Casale era composto dalla stalla al piano inferiore, e dal pagliaio con due stanze al piano superiore, una camera e una cucina: "Per salire in cucina, c'era una piccola scalinata: salendo, notammo il corpo del giovane. Soltanto in seguito capii che si trattava del partigiano che, la sera precedente, aveva cenato con noi; lo riconobbi dalla camicia a righe, altrimenti era irriconoscibile: era insanguinato, pugnalato in petto e gli mancava un braccio. Tre righe di sangue macchiarono il muro, sono rimaste lì trent'anni: col tempo sono diventate scure, nere. Fuori dal Casale, c'era un gran numero di bombe a mano inesplose oltre a decine di cartucce per i moschetti. Il corpo del partigiano rimase lì per una trentina di giorni: prima al piano superiore, poi venne portato giù alla stalla da un uomo di Aragno che, se non ricordo male, teneva il Casale in affitto, all'epoca".

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A seguito della Liberazione, i partigiani vennero a recuperare i resti di Vicenzo che vennero tumulati nel cimitero di Assergi, dove il giovane partigiano riposa ancora oggi. "Erano in 6, quella notte: in quattro vennero catturati, Riccottilli riuscì a scappare; tornò qui, al Casale, sessant'anni dopo. Lo ricordo come un vecchietto arzillo: raccontò che era scappato a valle, in realtà arrivò a Collebrincioni e, dunque, prese in salita; ma che doveva ricordarsi, sessant'anni dopo: all'epoca, era più rado di oggi. Quel giorno, raccontò che riuscì a scappare lanciando una pistola in faccia ad un fascista che presidiava la porta d'ingresso".

In seguito, al Casale è stata apposta una lapide, luogo di ricordo e memoria che si rinnova il 25 aprile di ogni anno; Spagnoli ricorda a memoria cosa c'è scritto: "Giovanni Di Vincenzo, con cuore italiano e fede purissima di partigiano, asserragliato in questa casa unitamente a cinque compagni, stretto da vicino dalle orde nazifasciste, alla resa disonorante preferiva la resistenza ed il supremo sacrificio. 5 maggio 1944".

Ultima modifica il Martedì, 25 Aprile 2017 22:56

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