Domenica, 03 Novembre 2013 12:13

Praticamente innocua - Viaggio semiserio nell'Aquila post-sisma / 10: la zona rossa

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"Praticamente Innocua - Viaggio semiserio nell'Aquila post-sisma" è giunto al suo decimo appuntamento. Due mesi e mezzo in cui il misterioso Ford Prefect ha raccontato il capoluogo abruzzese guardandolo da prospettive diverse, sempre originali e autentiche. Questa settimana il nostro ci porterà alla scoperta di una peculiarità che, in Italia, esiste solo all'Aquila: la zona rossa.

 

C'è un qualcosa che distingue L'Aquila di questi anni da qualsiasi città dell'Occidente, da qualsiasi luogo che non sia scenario di guerra e non appartenga a qualche progetto di movimentazione di massa pianificata, di quelli che ogni tanto vengono attuati in Cina, dove se decidono di fare una diga non ci pensano due volte a spostare un milione di persone e svuotare città intere per ricostruirle altrove. Questo peculiarissimo qualcosa è un centro storico ancora largamente chiuso al pubblico, controllato da pattuglie militari, recintato e protetto da un'ordinanza che vieta l'accesso smontando le velleità dei curiosi con citazioni del codice penale.

La Zona Rossa dell'Aquila è ormai parte dell'immaginario cittadino, e svolge un ruolo fondamentale nella determinazione del rapporto di ogni aquilano con la sua città: si va dall'atteggiamento di negazione di chi non ha più rimesso piede in centro, a quello, rispettoso dei dettami dell'Autorità, di chi ne rasenta i limiti sbirciando dentro per controllare lo stato dei puntelli, all'insofferenza parossistica di chi ormai valica transenne per principio, fossero pure le gabbie dello zoo. C'è chi saluta rispettosamente i militari di pattuglia e chi li aggredisce verbalmente con il minimo pretesto. Loro, poveretti, stanno là come i rospi alle sassate a sorbirsi i nostri umori bipolari in attesa del cambio, maturando un'idea sempre più bassa della nostra stabilità mentale.

Continuamente riperimetrata, fluida, a volte autocontraddittoria (cammini in buona fede per un bel po' e improvvisamente ti trovi dal lato sbagliato di una transenna senza sapere come ci sei arrivato), la Zona Rossa ha l'innegabile fascino della realtà sospesa: è un posto impossibile, la città che non dovrebbe esistere, il labirinto incantato in cui c'era la vita, un giorno ci sarà di nuovo, eppure adesso, in questo iato sospeso tra due presenti normali, regna un'eccezionalità fiabesca.

E' difficile descriverla come luogo, tanto è estesa e multiforme. Ci sono zone in cui la devastazione è meno evidente, che paradossalmente colpiscono proprio per la loro quasi normalità sfregiata dall'assenza umana. Tra via Roio, San Marciano, via Rocca di Corno, via del Cardinale si respira l'aria dell'attesa che sta finendo, si odono rumori di presenza umana dai gruppi elettrogeni in funzione, si vedono i cantieri che crescono. Altrove, come a piazza San Pietro, sembra di sentire ancora l'eco del boato, e se le macerie rimosse hanno lasciato campo all'occhio per spaziare intorno, ancora più evidente è il segno del danno rimasto, come una ferita pulita dal sangue di cui si riesce finalmente a vedere la profondità.

Come ogni luogo di frontiera, anche la Zona Rossa evoca miti periferici e slatentizza intimistici desideri di fuga dal quotidiano: come il deserto per gli americani dell'Ovest, ci invita a immergerci nei suoi silenzi, con l'eco dei nostri passi che rimbomba dove c'erano i rumori della nostra quotidianità. Ci regala una parentesi privata tra noi e la nostra città nella quale possiamo cercare per un attimo il senso di questi anni sospesi. E, a proposito di miti di frontiera, eroicamente innestato in uno dei gangli di questo scenario, in uno di quei tanti anfratti dove si arriva ma non si arriva, sorge la reincarnazione della locanda di Lincosta, scheggia di aquilanità doc incastonata tra le macerie. Mangiare d'estate all'aperto tra via Antonelli e via Sallustio o d'inverno all'interno del locale è esperienza che va fatta e ripetuta per sentirsi, davvero, all'Aquila oggi.

Questa bolla irreale è nata da una firma e finirà con l'ultimo mattone posato. Ci auguriamo che tra i due eventi passi il minimo tempo possibile, anche se ormai quattro anni e mezzo sono già andati. Nel frattempo, la sua forma cambia. La natura tenta di riappropriarsi di ogni anfratto mutando il paesaggio, inghiottendo asfalto, prorompendo tra i selci dei vicoli. Dal recinto presidiatissimo dei primi mesi si è arrivati a un simulacro di zona di rispetto, violato in continuazione e, per fortuna, attraversato di continuo dai mezzi impegnati nella ricostruzione. Resta il danno, gravissimo, di aver marcato nella testa della gente una linea oltre la quale non si doveva andare, e che mano mano ha allontanato i cittadini dalla città.

Non tutti ovviamente. Qualcuno con le sue visite, la sua curiosità, la voglia di non dimenticare ha tenuto vivo questo posto in animazione sospesa. I giovanissimi ne hanno fatto la meta delle loro scorribande notturne, i meno giovani si sono limitati a una birra in splendida solitudine seduti sui gradini di una chiesa in una piazza deserta. Questa bolla di sopore che prima o poi esploderà ci riporterà una città diversa. Ma, finchè questo non avviene, andate a vedere L'Aquila, andatela a trovare.

Perchè la vostra memoria non avvizzisca.

Perchè questa città non diventi, veramente, praticamente innocua.

Ultima modifica il Domenica, 03 Novembre 2013 12:24

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