Gli immigrati in Italia sono una risorsa economica. Il rapporto tra la spesa pubblica per l'immigrazione e le tasse pagate dai migranti è, infatti, positivo. Lo Stato, cioè, con gli immigrati ci guadagna. "Nel 2011 gli introiti riconducibili a cittadini stranieri sono pari a 13,3miliardi di euro, mentre le uscite sostenute per loro sono state pari a 11,9miliardi di euro, con una differenza in positivo per il sistema paese di 1,4miliardi".
A dirlo, il 'Dossier Statistico 2013 sull'immigrazione', realizzato dal Centro Studi Idos e dall'Ufficio antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio (Unar). Per la prima volta non hanno redatto il Dossier altri due protagonisti degli studi sull'immigrazione degli anni passati: la Fondazione Migrantes e la Caritas Italiana.
La novità emersa dal rapporto di quest'anno, il beneficio economico degli immigrati, mette a tacere tante voci che dipingono il sistema di assistenza statale nei confronti degli immigrati come un "nuovo carrozzone" dell'era della globalizzazione, che produce solo enormi spese. Tuttavia, la 'redditività' della presenza immigrata in Italia, oltre che un dato, costituisce anche un potenziale elemento del cosiddetto 'razzismo utilitarista', "quello che porta ad accettare il cittadino straniero - si spiega - solo nella misura in cui 'ci serve' e non avanza ulteriori esigenze".
Paradossalmente, argomentazione cara a tanti che si dicono antirazzisti e che, così, alimentano però la discriminazione utilitarista. E' difficile spiegare che essere razzisti è prima di tutto disumano. In Italia, secondo l’ENAR (European Network Against Racism), oltre alle discriminazioni dirette, è il caso di parlare di un "razzismo quotidiano diffuso e crescente che consiste in atteggiamenti, comportamenti, modi di relazionarsi umilianti e inferiorizzanti. Si riscontrano atti di discriminazione nell’accesso ai pubblici esercizi, nonché una certa sovrarappresentazione statistica degli immigrati nel controllo dei documenti, nelle perquisizioni e nelle verifiche amministrative".
Non si salva nemmeno il mondo dello Sport. "Nel campionato di calcio 2012-2013, - sottolinea il Dossier - ci sono stati 699 gli episodi di razzismo che hanno coinvolto le tifoserie, con ammende pari a quasi mezzo milione di euro e 29 società coinvolte".
Con il razzismo e l'odio sociale, nel periodo di instabilità economica che stiamo vivendo, si continua a registrare anche un aumento della popolazione straniera nel bel paese. In tutto, le persone immigrate regolarmente residenti nella penisola sono 5milioni e 186mila, circa l'8% della popolazione italiana complessiva. Ciò che caratterizza ancora la vita degli immigrati sul suolo italiano è proprio la discriminazione e la devianza sociale. Le carceri italiane, oltre ai Cie (Centri di identificazione ed espulsione), costituiscono troppo spesso il primo rifugio di persone la cui colpa si concretizza nell'essere entrati in Italia in modo 'clandestino'.
Sappiamo, anche ricordando la tragedia di Lampedusa e il dramma delle persone che fuggono da fame e guerra, che la causa di tutto ciò è ascrivibile più al nostro sistema di accoglienza normato dalla Bossi - Fini, che al comportamento dei migranti. Nonostante ben un terzo della popolazione carceraria in Italia sia straniera, il Dossier ricorda che "l’aumento delle denunce verso stranieri è stato costantemente più contenuto rispetto all’aumento delle presenze; gli stranieri regolarmente presenti hanno un tasso di criminalità equiparabile a quello degli italiani; tra gli irregolari incidono molto i reati legati allo stesso status di irregolarità".
Non è vero dunque che gli stranieri vengono in Italia per delinquere o che sono più propensi a violare la legge della popolazione italiana. Attenzione particolare è riservata, nel documento presentato ieri, ad una popolazione difficilmente definibile come 'straniera', ma che viene comunque inserita nel rapporto dedicato all'immigrazione per la particolare condizione in cui è costretta a vivere. Il documento ricorda che sono i Rom (circa 150mila tra italiani e stranieri) i nuovi ebrei dell'Italia del ventunesimo secolo, in quanto "emblema della stigmatizzazione, additati come 'abitanti dei campi', 'estranei', 'premoderni'. "Il presunto 'buon senso' con il quale ci si è rapportati alle loro comunità è stato ripetutamente censurato dai giudici e dagli organismi internazionali, - si legge nel documento - che hanno ribadito come le condizioni di emarginazione e ghettizzazione in cui versano siano in contrasto con la garanzia dei loro diritti".
Particolarmente drammatica è la condizione dell'infanzia rom. "La metà dei bambini lascia la scuola nel passaggio dalle elementari alle medie e sono solo 134 quelli iscritti nelle scuole superiori italiane (anche perché, nell’attuale contesto, molti si guardano bene dal dichiarare la loro origine)". E proprio ieri, mentre in tutta la penisola si discuteva del dossier, Il Messaggero titolava un articolo con queste parole: "Rapisce un neonato davanti alla madre, nomade arrestata a Ponte Mammolo".
Prima di tutto, bisogna ricordare che il termine 'nomade' non è sinonimo di rom e che i media hanno enormi responsabilità nella creazione della coscienza collettiva e dell'opinione pubblica. Inoltre, è lo stesso testo dell'Idos e dell'Unar a rispondere ad uno dei tanti titoli e delle tante semplificazioni con cui viene letta la realtà multiculturale di cui si compone il nostro paese. Si legge nella relazione: "Superare il discorso razzista e xenofobo è anche una questione di linguaggio, come ha sottolineato la stessa Commissione che opera in Europa contro il razzismo e l’intolleranza, stigmatizzando il linguaggio utilizzato in Italia da politici e giornalisti, e come si ribadisce nella Carta di Roma, il codice deontologico su migranti e richiedenti asilo siglato nel 2008 dagli organismi di categoria del giornalismo italiano".
Il giornalismo dovrebbe fare un mea culpa e riflettere sul ruolo e sui comportamenti che insieme alla condotta della classe politica, creano odio, xenofobia e razzismo, soprattutto in un periodo di crisi in cui la 'guerra tra poveri' costituisce il miglior ingrediente di una ricetta della disperazione che rischia di diventare esplosiva. Anche perché, come sottolinea l'Associazione 21 luglio, nello studio condotto da Sabrina Tosi Cambini che va dal 1986 al 2007 il risultato principale è che in Italia non esiste nessun caso in cui è stato commesso un rapimento di un bambino da parte di una persona rom. Nei tanti casi riportati dalla stampa, e poi rivelatisi infondati, si ripete una medesima struttura concettuale così descritta dalla ricercatrice: "Si tratta di 'donne contro donne' ossia è la madre ad accusare la donna rom di aver tentato di prendere il bambini. La madre è una sorta di 'madre coraggio': difatti è la sua decisa reazione ad impedire l'azione criminosa. Gli eventi accadono spesso in luoghi affollati. Non ci sono testimoni del fatto tranne i 'diretti interessati'. Nella storia riportata ieri dal Messaggero riemergono, puntuali, i medesimi elementi.
A questo link è possibile scaricare il dossier
L'intervento del ministro Kyenge