Martedì, 28 Novembre 2017 22:03

Sox, la verità dei Laboratori: "Confronto con Fukushima non è realistico"

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"Il confronto, o anche la semplice associazione di idee, tra il disastro di Fukushima e l’esperimento Sox non si fonda su argomenti concreti né realistici ed è un’operazione mediatica scorretta, che ha come effetto quello di diffondere tra le persone uno stato di ingiustificato allarme". E ancora: "A Sox non possono essere associati i rischi connessi a una centrale nucleare, perché non è un reattore nucleare, e non può esplodere, neppure a seguito di azioni deliberate, errori umani o calamità naturali". Come non bastasse, "la polvere di Cerio 144 è sigillata in una doppia capsula di acciaio, che a sua volta è chiusa all’interno di un contenitore di tungsteno dello spessore di 19 centimetri, del peso di 2.4 tonnellate, realizzato appositamente per Sox, con requisiti più alti rispetto agli standard di sicurezza richiesti e in grado di resistere fino a 1.500 gradi. Il contenitore di tungsteno è resistente a impatto, incendio, allagamento e terremoto, secondo studi rigorosi che sono stati svolti come previsto dalla legge e verificati dalle autorità competenti".

Giorni di polemiche e manifestazioni, di conferenze stampa, servizi televisi e articoli di stampa; giorni che hanno messo in dubbio la fattibilità stessa di Sox, con la mozione presentata dal Movimento 5 Stelle in Commissione regionale 'Attività produttive', e approvata all'unanimità, che chiede il blocco immediato e definitivo dell'esperimento. E alla fine, i Laboratori nazionali del Gran Sasso hanno inteso fare chiarezza, rispondendo, punto per punto, ai dubbi sollevati in queste ore. Ci avevano già provato, in realtà, timidamente [qui]; anche a seguito del servizio delle 'Iene', però, l'hanno fatto con più forza.

A partire dalla richiesta di autorizzazione all'utilizzo della sorgente radioattiva che, viene spiegato, "è stata presentata seguendo le istruzioni di tale procedura, in particolare quella di fornire indicazione precisa del luogo ospitante la sorgente presso i Laboratori sotterranei del Gran Sasso. Questo è stato fatto con dettaglio e chiarezza. La procedura prevede poi il coinvolgimento delle altre Amministrazioni, per valutare se l'istanza si pone in contrasto con altri interessi che possono precludere l'autorizzazione, o condizionarla con riserve o prescrizioni. Non c’è quindi alcun difetto di istruttoria imputabile ai Laboratori del Gran Sasso".

IL PARAGONE CON FUKUSHIMA "Il confronto, o anche la semplice associazione di idee, tra il disastro di Fukushima e l’esperimento Sox non si fonda su argomenti concreti né realistici ed è un’operazione mediatica scorretta, che ha come effetto quello di diffondere tra le persone uno stato di ingiustificato allarme", l'affondo dei Laboratori nazionali del Gran Sasso. "A Sox non possono essere associati i rischi connessi a una centrale nucleare, perché non è un reattore nucleare, e non può esplodere, neppure a seguito di azioni deliberate, errori umani o calamità naturali". E ancora: "la sorgente di Sox è sigillata come quelle che vengono usate, sia pure con una diversa potenza e differenti finalità, negli ospedali delle nostre città per eseguire esami diagnostici e terapie. Una sorgente come quella di Sox non dipende da alcun sistema di controllo attivo (sia esso elettronico, meccanico o idraulico) e non può quindi, in nessun caso, 'guastarsi' o 'andare fuori controllo'".

Sox si basa su una sorgente che decade spontaneamente, costituita da circa 40 grammi di polvere di Cerio 144, con una radioattività, al massimo, di 5,5 Pbq (Petabecquerel). "La potenza termica della sorgente di Sox non è paragonabile a quella di una centrale nucleare. La sorgente ha la potenza termica di un ferro da stiro, 1.200 Watt contro 1 miliardo di Watt di un reattore". Inoltre, "la polvere di Cerio 144 di Sox è sigillata in una doppia capsula di acciaio, che a sua volta è chiusa all’interno di un contenitore di tungsteno dello spessore di 19 centimetri, del peso di 2,4 tonnellate, realizzato appositamente per Sox, con requisiti più alti rispetto agli standard di sicurezza richiesti e in grado di resistere fino a 1.500 gradi. Il contenitore di tungsteno è resistente a impatto, incendio, allagamento e terremoto, secondo studi rigorosi che sono stati svolti come previsto dalla legge e verificati dalle autorità competenti".

La sorgente dell’esperimento Sox, per il quale si è seguito con rigore tutto l’iter di autorizzazione previsto per legge per il suo impiego, rimarrà nei Laboratori il tempo necessario allo svolgimento dell’esperimento, cioè 18 mesi, dopodiché sarà riconsegnata all’Istituto francese che ne è proprietario. "I Laboratori del Gran Sasso sono un’infrastruttura di ricerca. La presenza nei Laboratori di sostanze radioattive è legata alle attività in corso, durante le quali sono costantemente gestite in sicurezza".

CHE COSA E’ ACCADUTO AD AGOSTO 2016 Tra le maggiori preoccupazioni della cittadinanza, la rilevazione nell'acqua di diclorometano, 'colpa' delle attività svolte nei Laboratori, che dimostrerebbe come il sistema, in effetti, non sia affatto sicuro. "Parlare di 'incidente' e 'fuoriuscita di diclorometano' è improprio", sottolineano, però, gli scienziati. "In quell’occasione, è stata rilevata nell’acqua una concentrazione di diclorometano (Dcm, un comune solvente) pari a 0,335 microgrammi/litro, e le analisi della Asl (Azienda sanitaria locale) l'hanno segnalata come un’anomalia. Tuttavia, questa concentrazione non ha rappresentato assolutamente una criticità: l'Organizzazione mondiale della sanità per le acque potabili raccomanda un limite di 20 microgrammi/litro. Questo raffronto dimostra che ci si è trovati di fronte a valori ben al di sotto dei limiti: 60 volte inferiori. La sostanza, sebbene in concentrazioni notevolmente inferiori ai valori limite, è stata efficacemente rilevata dal sistema di monitoraggio delle acque, e di conseguenza si è adottata una corretta scelta precauzionale che ha determinato la 'messa a scarico' delle acque".

Dunque, le concentrazioni estremamente basse di Dcm non hanno determinato alcuna contaminazione. "L’acqua potabile immessa in rete in quei giorni non ha mai rappresentato un pericolo per la salute pubblica. In quei giorni erano in corso nei Laboratori operazioni di pulitura con diclorometano di alcuni cristalli di un esperimento, operazioni che erano già state condotte in precedenza seguendo gli stessi protocolli, e che non avevano mai portato alla presenza di diclorometano nelle acque".

L’EPISODIO DI MAGGIO 2017 I Laboratori hanno inteso anche ribadire la loro estraneità rispetto a un episodio verificatosi nel maggio 2017 quando, a seguito di una disposizione del Sian (Servizio igiene alimenti e nutrizione) dell’Asl di Teramo, il 9 maggio è stata dichiarata la sospensione dell’uso a fini potabili delle acque in uscita dal traforo del Gran Sasso, a seguito dei prelievi effettuati il giorno 8 maggio che ne rilevavano la non conformità per odore e sapore. "In quei giorni, l’acqua captata nell’area dei Laboratori non veniva immessa nell’acquedotto. È quindi impossibile che questo episodio sia da ricondurre alle attività dei Laboratori e nessuna responsabilità si può quindi imputare ai Laboratori. Oltretutto, dai monitoraggi costantemente eseguiti durante quei giorni dai Laboratori, le acque di scarico in uscita sono sempre risultate pulite e assolutamente conformi ai requisiti previsti per le acque potabili".

I LABORATORI E LA CAPTAZIONE La captazione è stata realizzata successivamente alla costruzione dei Laboratori, viene ribadito. "Durante i lavori di costruzione dei Laboratori, all’inizio degli anni Ottanta, sono state individuate falde acquifere, le cui acque sono state inizialmente convogliate a scarico, per evitare allagamenti all’interno dei Laboratori. In seguito, tali acque sono risultate di una qualità apprezzata per fini potabili ed è stato deciso da parte delle Istituzioni competenti di utilizzarle per l’approvvigionamento idrico".

In altre parole, la costruzione dei Laboratori del Gran Sasso è precedente alla realizzazione della captazione. "Circa 80 litri al secondo delle acque captate nell’area dei Laboratori confluisce nell’acquedotto, rispetto agli 800 litri al secondo complessivamente prelevati dall’acquedotto dal versante occidentale della falda acquifera del Gran Sasso. Il 90 per cento delle acque, provenienti dal Gran Sasso, sono captate lungo l’autostrada. I Laboratori sono dotati di un sistema di gestione ambientale nel rispetto dei relativi standard internazionali, e rispettano la zona di tutela assoluta (10 metri) prevista in materia ambientale dall’articolo 94 del decreto legislativo numero 152 del 3 aprile 2006. Per quanto riguarda la zona di rispetto (200 metri), poiché l’infrastruttura dei Laboratori sotterranei è anteriore all’entrata in vigore del decreto legislativo e con evidenza non è possibile il suo allontanamento, l’Istituto è continuamente impegnato a garantire la messa in sicurezza delle proprie attività, rendendosi da sempre disponibile ad attuare ulteriori miglioramenti, ove necessari".

La valutazione della qualità dell’acqua potabile captata dal Gran Sasso non è chiaramente di pertinenza dell’Istituto nazionale di fisica nucleare. "I controlli su tali acque sono effettuati dalle autorità competenti. L’Istituto comunque monitora di continuo esclusivamente le acque convogliate a scarico con strumentazione altamente tecnologica (spettrometro di massa) e recentemente si è dotato di un secondo spettrometro per garantire la ridondanza delle misure e la possibilità periodica di calibrare gli strumenti (fase in cui lo strumento non è in misura)".

Ultima modifica il Mercoledì, 29 Novembre 2017 16:42

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