Si può iniziare a parlare di Abruzzoesto dicendo anzitutto quel che non è.
Non è un sito di marketing territoriale o di giornalismo d’inchiesta né tanto meno l’ennesimo blog sulle "bellezze d'Abruzzo", di quelli che spesso propinano un’immagine della regione più folkloristica che reale.
Allora cos’è? “E’ un laboratorio” dice uno dei suoi ideatori, il giornalista e videomaker indipendente aquilano Francesco Paolucci “un contenitore di storie con cui vogliamo provare a raccontare il nostro territorio e a farlo conoscere sia all’esterno che all’interno, perché spesso nemmeno noi che ci abitiamo conosciamo l’esistenza di alcuni posti”.
Nato quasi per gioco da un hashtag lanciato su Instagram in seguito alle suggestioni lasciate da una camminata condotta sulle tracce di Ignazio Silone e di Fontamara, Abruzzoesto è un progetto nato per raccontare l’aspra bellezza dell’Abruzzo più nascosto, quello delle aree interne, dei sentieri meno battuti e dei paesi semi abbandonati, ripercorsi col passo lento e misurato della riappropriazione e della riconquista in ogni loro sfumatura: case, grotte, animali, alberi, pietre, acqua, nuvole, vento.
Il punto di riferimento è Franco Arminio, l'inventore della paesologia, “disciplina indisciplinata” che “raccoglie le voci del mondo” e dà “risposte a domande mai formulate e quindi mai ricevute”.
E la domanda a cui Abruzzoesto prova a rispondere è la seguente: ha senso restare qui, in questa terra così difficile e per molti versi ancora così isolata, inospitale e impervia?
Siamo portati a credere che restare sia l’antitesi del viaggiare, del mettersi in discussione, dell’aprirsi alla scoperta e all’incontro. Invece, come ci ha insegnato l'antropologo Vito Teti nei suoi libri, non è così: “Restare non è sempre una scorciatoia, un atto di pigrizia, una scelta di comodità, una difesa di un appaesamento. Al contrario, può trasformarsi in un’avventura e in un atto di incoscienza. Restare è un arte, un’invenzione; un esercizio che mette in crisi le retoriche delle identità locali. Restare è una diversa pratica dei luoghi e una diversa esperienza del tempo”.
Francesco, come definiresti Abruzzoesto?
Come un laboratorio e un esperimento ancora in progress, un progetto, senza scopo di lucro, pensato per promuovere l’Abruzzo, all’esterno e all’interno, attraverso racconti, storie e narrazioni di vario genere: fotografiche, video, testuali e sonore. E' la voglia di guardare la regione in cui viviamo con occhi curiosi e appassionati. I membri di Abruzzoesto (Letizia Ciuffini, Andrea Mancini, Davide Sabatini, Luigi Tarquini, Anna Romano e Diana Giallonardo, ndr) vengono da ogni parte della regione, da percorsi professionali e umani diversi ma hanno tutte la passione dell’escursionismo e delle attività legate alla natura. Grazie a questo sito, abbiamo la possibilità di inserire, all’interno di un contenitore, queste esperienze e queste storie, che ogni membro racconta usando le proprie competenze. Il sito vuole essere anche una mappatura e un modo per conservare la memoria e creare dei legami e delle connessioni tra le varie zone dell’Abruzzo, dalla montagna alla costa.
Com'è nato il progetto?
Per gioco, come accade spesso. Abruzzoesto è il nome di un hashtag che abbiamo usato prima su Instagtram e poi su Facebook, il cui senso viene dal gioco delle carte, come quando si dice “banco e sto”. Abruzzoesto è un modo per dire che vogliamo giocare e scommettere con ciò che abbiamo qui, in questa regione bella e difficile, sapendo che possiamo anche perdere. Non vogliamo fare un’apologia dell’Abruzzo, affermare che sia una specie di paradiso in terra. Siamo semplicemente un gruppo di liberi professionisti che, restando qui, ha fatto una scelta che è anche una sfida, un gioco e una scommessa.
Il progetto è nato anche un po’ sull’onda emotiva di quel che accadde un anno fa, con Rigopiano e il terremoto? Altri fotografi e videomaker hanno sentito il bisogno, in seguito a quegli eventi, di rilanciare un’immagine positiva dell’Abruzzo, non legata solo a quelle tragedie.
Sicuramente quel che successe l’anno scorso ha inciso anche se non in maniera determinante. Quando facemmo la camminata sulle tracce di Fontamara, il viaggio da cui si è messo in moto un po’ tutto quanto, partimmo da Pescasseroli. Confrontandoci con le guide, venimmo a sapere che, dopo Rigopiano, anche a Pescasseroli, dove non era successo assolutamente niente, c’erano state molte disdette delle prenotazioni. Quella cosa sicuramente ci colpì. Il nostro progetto, però, non nasce con lo scopo di risollevare le sorti dell’immagine dell’Abruzzo. È stato più importante ritrovarsi, anche per caso, in determinati luoghi e contesti e sentire il bisogno e l’impulso di raccontarli.
Come scegliete le storie che raccontate?
Ci interessano le storie di luoghi e persone che non fanno la Storia, quella con la s maiuscola. Non abbiamo la pretese né i mezzi per raccontare la totalità di un territorio tanto vasto e complesso né ci interessano i grandi eventi. O meglio, ci interessano nella misura in cui troviamo una piccola storia che può aggiungere qualcosa a una narrazione già fatta negli anni, qualcosa che può offrirci uno sguardo o un punto di vista differenti.
Si parla spesso di ripopolare le aree interne, di non lasciarle morire, di riportarci a vivere i giovani. Poi però chi è realmente intenzionato a farlo deve affrontare mille difficoltà, dall’assenza di servizi e collegamenti alla mancanza di lavoro, e spesso deve rinunciare. Cosa si potrebbe fare, secondo voi, per incentivare il ritorno dei giovani nei paesi e nei borghi delle aree interne e per dare a questi luoghi un nuovo modello di sviluppo sostenibile?
Non abbiamo risposte da dare, il nostro spirito non è quello di offrire soluzioni a questi problemi, che sono molto complessi. Credo che in Italia le aree interne abbiano tutte le stesse criticità. Spero che questo diventi un tema di discussione a livello nazionale nei prossimi anni. Per parlare di aree interne però bisogna viverci. Chi sceglie di vivere in piccoli paesi di montagna sa che sono posti dove la natura ha una grande influenza sulle attività dell’uomo, dove i collegamenti sono difficili e i servizi scarsi. E sa che deve prendere il bello e il brutto. Per risolvere i problemi ci vuole lungimiranza, occorrono prima i progetti. E’ inutile continuare a spendere soldi per continuare a costruire alberghi. La prima cosa da fare è garantire la connettività, i collegamenti tra aree interne e città.
Vale la pena restare qui?
Abruzzoesto è un modo per provare a capirlo.