Si terrà domani, 7 aprile, a Casa Onna alle 17, la prima di "ANNO X", film documentario che racconta il paese di Onna e la sua gente a dieci anni dal terremoto che lo distrusse completamente e che provocò la morte di 40 persone. Nello stesso giorno sono previste, a seguire, altre proiezioni.
Frutto di un lavoro collettivo durato oltre un anno e coordinato dal regista aquilano Francesco Paolucci, il film ripercorre le vicende del paese duramente colpito dal sisma del 2009 attraverso i racconti e le testimonianze dei cittadini e delle associazioni locali.
Arrivato ad Onna la mattina del 6 aprile 2009 per documentare le prime drammatiche ore successive alla scossa, Francesco Paolucci, al tempo praticante giornalista, decide poco dopo di spegnere la telecamera e tornare dopo nove anni, "quasi come fosse un appuntamento lasciato in sospeso -scrive il regista- a raccontare e a raccontarmi".
Così il regista descrive la nascita del progetto:
Il vento suona delicato in un fitto pioppeto, appena fuori un piccolo paese; vicino ad un fiume ecco le luci di un'alba clemente nel caldo mese di luglio; delle figure vestite di bianco, uomini, donne, ragazzi ed anziani, camminano lente sull'erba ancora bagnata dall'umidità del mattino; una musica, un coro, un dolce lamento si diffonde, riempie l'aria e guida questo gruppo di persone verso il centro storico del paese, verso la chiesa di San Pietro Apostolo di Onna.
Come in un sogno queste figure sono indefinite e si confondono tra una leggera foschia e il bagliore della luce del sole.
Chi sono queste persone?
Queste anime, queste figure guidano tutto.
Ecco le prime parole e le prime immagini venute fuori durante il primo incontro con Giustino Parisse, ormai più di un anno fa, quando mi ha proposto di realizzare un documentario per raccontare Onna alle porte del decimo anniversario dal sisma del 6 aprile 2009.
Questa immagine forte e leggera allo stesso tempo è stata la lanterna che mi ha guidato durante tutto il lavoro. Un cammino appassionante, non semplice e ancora da completare.
Un cammino non semplice per diversi motivi. Alcuni legati al mio rapporto personale con il paese e altri di carattere prettamente professionale.
Forse i due aspetti sono connessi e provo, brevemente, a spiegare il perché.
6 aprile 2009. Alle 10.00 di mattina entro ad Onna dalla via di Monticchio. Una lunga crepa sull'asfalto taglia trasversalmente la strada, un uomo sui sessant'anni con un gilet amaranto ed un cappellino blu con la visiera parla a telefono, racconta a qualcuno cosa è accaduto facendo un elenco di persone ferite e decedute.
Nel tono sostenuto della sua voce la rabbia e al tempo stesso un sentimento al quale tutt'ora non saprei dare un nome; finita la telefonata si gira verso di me, portavo una piccola telecamera, e comincia a parlare come un fiume in piena: “...ondulatorio, sussultorio... ha fatto di tutti i tipi sto' figlio di puttana. Guarda quanto si è abbassata la strada... guarda...si è abbassata di trenta centimetri...”.
Poi un elicottero rumoroso sulla testa, il cartello bianco con scritto Onna e sullo sfondo il Gran Sasso ricoperto di neve, un cielo troppo blu, un uomo anziano seduto con la testa tra le mani su una sedia in mezzo alla strada e in lontananza qualcuno che si allontana con una coperta sulle spalle trascinando un trolley.
Poi ho spento la telecamera per accenderla di nuovo un mese dopo. Quel giorno ero un giovane giornalista praticante che stava di lì a poco per finire una scuola di giornalismo. Conoscevo persone ad Onna e quella mattina venni a sapere che non c'erano più.
Sono trascorsi dieci anni e torno ad Onna quasi come fosse un appuntamento lasciato in sospeso a raccontare e a raccontarmi. Sono un giornalista, ma sono anche un terremotato e mi riconosco negli sguardi delle persone incontrate per le interviste, ogni parola mi risuona come un'eco, il dolore e la voglia di riscatto appartengono, sicuramente in diversa misura, in qualche modo anche a me.
Un ringraziamento va al giornalista Giustino Parisse e a tutti i membri delle associazioni di Onna che mi hanno coinvolto, supportato e coadiuvato in questo viaggio iniziato più di un anno fa.
Grazie agli intervistati, alle persone che si sono prestate come figuranti e grazie al Coro della Portella per essersi prestata ad un ardito esperimento musicale.
E poi un ringraziamento speciale al giovane musicista Luigi Tarquini che, con le sue musiche, mi ha aiutato a portare il documentario nella giusta direzione.